[18 marzo 2016]
Lo scontro all’interno del Partito democratico sul referendum sulle trivelle del 17 aprile è al calor bianco e le altre forze politiche guardano con malcelata soddisfazione – e Renzi probabilmente con un discreto fastidio – il pasticcio combinato da una dirigenza che prende una posizione senza convocare i suoi organismi e contro 7 suoi presidenti di Regione. Infatti, la co-portavoce di Green Italia Annalisa Corrado , interviene sulle alle affermazioni dei vicesegretari del Pd Lorenzo Guerini e Debora Serracchiani, «Senza entrare nel merito delle divisioni interne del Pd», ma per dire «ai due vice segretari del maggior partito italiano che la consultazione referendaria è utilissima, e che le bugie hanno le gambe corte: il quesito può fermare eccome le trivelle, non facciano disinformazione alle spalle dei cittadini».
La Corrado dice che «Occorre fare chiarezza perché sono state dette cose del tutto inverosimili: la vittoria del Sì impedirebbe che tutte le concessioni per estrarre il petrolio entro le 12 miglia dalla costa alla scadenza possano continuare oltre la scadenza dei contratti attualmente attivi. Parliamo di 21 concessioni, sparse lungo la costa Adriatica, nel golfo Ionico e nel Sud della Sicilia. Queste concessioni non sarebbero più prorogabili, e dunque nel giro di alcuni anni le attività estrattive attualmente in corso, tra cui quelle di Eni, Shell e di altre compagnie internazionali, saranno interrotte. Parliamo in ogni caso di pozzi che contribuiscono rispettivamente al 3% e 1% dei consumi di gas e petrolio italiani, dunque facilmente recuperabili aumentando l’efficienza energetica e l’uso delle energie rinnovabili. E una volta terminato il tempo le compagnie, con buona pace della sconcertante opinione di Guerini e Serracchiani, saranno obbligate dalla legge a rimuovere le strutture».
La co-portavoce di Green Italia conclude: «Gli italiani possono fermare le trivelle che sono a poca distanza dalle nostre coste, e possono lanciare un messaggio forte e chiaro in merito alla politica energetica che sarebbe realmente utile per il Paese, basata sulle rinnovabili e non su riserve fossili vantaggiose solo per le casse dei petrolieri».
Dopo l’ennesimo invito di politici agli elettori ad astenersi al voto referendario del 17 aprile, interviene anche Tiziana Medici del Coordinamento nazionale No Triv: «La partecipazione alle decisioni che interessano tutti è l’essenza stessa dello Stato democratico. Istigare alla non partecipazione è un atto di per sé antidemocratico. Se ciò è grave per i cittadini, lo è ancor di più per chi è investito di ruoli di responsabilità istituzionale».
Secondo il Coordinamento nazionale No Triv, «In nessun Paese democratico il governo dovrebbe disertare il confronto e sabotare questa forma di democrazia diretta». Invece, dopo il sottosegretario Luca Lotti, è arrivata Debora Serracchiani a dire che la votazione sarebbe inutile e che «Il referendum voluto dalle Regioni costerà 300 milioni agli italiani. La legge prevede che non possa essere accorpato ad altre elezioni. Pensiamo che, nello specifico, i soldi per questo referendum potevano andare ad asili nido, a scuole, alla sicurezza, all’ambiente». Secondo i NO-Triv, «Affermazioni come queste, costituiscono per tutti, indipendentemente che si appartenga al partito del Sì o del No, un pessimo modello in cui non specchiarsi».
Anche il costituzionalista Enzo Di Salvatore risponde alla Serracchiani: «Proprio così. Il referendum costerà agli italiani 300 milioni di euro. E questo perché il Governo Renzi non ha voluto accorpare il referendum alle elezioni amministrative. Sarebbe stato sufficiente adottare un decreto-legge ed indire l’election day. Se quei soldi non sono potuti andare agli asili nido, alle scuole, alla sicurezza e all’ambiente è per via di una precisa scelta del Governo Renzi. Nessuno l’ha dimenticato. Come dimenticarlo?».
La Corrado dice che «Occorre fare chiarezza perché sono state dette cose del tutto inverosimili: la vittoria del Sì impedirebbe che tutte le concessioni per estrarre il petrolio entro le 12 miglia dalla costa alla scadenza possano continuare oltre la scadenza dei contratti attualmente attivi. Parliamo di 21 concessioni, sparse lungo la costa Adriatica, nel golfo Ionico e nel Sud della Sicilia. Queste concessioni non sarebbero più prorogabili, e dunque nel giro di alcuni anni le attività estrattive attualmente in corso, tra cui quelle di Eni, Shell e di altre compagnie internazionali, saranno interrotte. Parliamo in ogni caso di pozzi che contribuiscono rispettivamente al 3% e 1% dei consumi di gas e petrolio italiani, dunque facilmente recuperabili aumentando l’efficienza energetica e l’uso delle energie rinnovabili. E una volta terminato il tempo le compagnie, con buona pace della sconcertante opinione di Guerini e Serracchiani, saranno obbligate dalla legge a rimuovere le strutture».
La co-portavoce di Green Italia conclude: «Gli italiani possono fermare le trivelle che sono a poca distanza dalle nostre coste, e possono lanciare un messaggio forte e chiaro in merito alla politica energetica che sarebbe realmente utile per il Paese, basata sulle rinnovabili e non su riserve fossili vantaggiose solo per le casse dei petrolieri».
Dopo l’ennesimo invito di politici agli elettori ad astenersi al voto referendario del 17 aprile, interviene anche Tiziana Medici del Coordinamento nazionale No Triv: «La partecipazione alle decisioni che interessano tutti è l’essenza stessa dello Stato democratico. Istigare alla non partecipazione è un atto di per sé antidemocratico. Se ciò è grave per i cittadini, lo è ancor di più per chi è investito di ruoli di responsabilità istituzionale».
Secondo il Coordinamento nazionale No Triv, «In nessun Paese democratico il governo dovrebbe disertare il confronto e sabotare questa forma di democrazia diretta». Invece, dopo il sottosegretario Luca Lotti, è arrivata Debora Serracchiani a dire che la votazione sarebbe inutile e che «Il referendum voluto dalle Regioni costerà 300 milioni agli italiani. La legge prevede che non possa essere accorpato ad altre elezioni. Pensiamo che, nello specifico, i soldi per questo referendum potevano andare ad asili nido, a scuole, alla sicurezza, all’ambiente». Secondo i NO-Triv, «Affermazioni come queste, costituiscono per tutti, indipendentemente che si appartenga al partito del Sì o del No, un pessimo modello in cui non specchiarsi».
Anche il costituzionalista Enzo Di Salvatore risponde alla Serracchiani: «Proprio così. Il referendum costerà agli italiani 300 milioni di euro. E questo perché il Governo Renzi non ha voluto accorpare il referendum alle elezioni amministrative. Sarebbe stato sufficiente adottare un decreto-legge ed indire l’election day. Se quei soldi non sono potuti andare agli asili nido, alle scuole, alla sicurezza e all’ambiente è per via di una precisa scelta del Governo Renzi. Nessuno l’ha dimenticato. Come dimenticarlo?».
fonte: Green Report