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lunedì 31 marzo 2014

LA GENERAZIONE DIPENDENTE: LA META’ DEI GIOVANI EUROPEI VIVE CON I GENITORI



DI SHIV MALIK
The Guardian

Un rapporto di Eurofound riporta che non sono solo le persone che stanno per finire l’istruzione ad avere difficoltà a vivere in modo indipendente, ma anche i trentenni.
I nuovi dati dicono che quasi la metà dei giovani adulti europei vive con i propri genitori, un livello record di dipendenza che ha implicazioni sociali e demografiche per il futuro del continente.
Una delle indagini sociali più complete, che si è svolta in 28 paesi europei, ci ha rivelato martedì che la percentuale di persone di età compresa tra i 18 e i 30 anni che nel 2011 viveva ancora con i genitori è salita era al 48 %, 36,7 milioni di persone, che sperimentano anche livelli di deprivazione e di disoccupazione che sono aumentati anch'essi nei primi cinque anni di crisi economica.

Total, ecco un dossier coperto da "divieto di divulgazione"

Quello che la Regione Basilicata non ci ha mai detto

di Redazione Basilicata24




La Regione Basilicata ha stretto, negli anni passati, accordi con Total ed Eni, affinché i pareri scientifici esterni richieste dalle compagnie petrolifere a studi di analisi e consulenze ambientali rimanessero chiusi nei cassetti. Noi invece oggi ne parliamo, dopo essere venuti in possesso di uno studio "secretato" sulla incidenza ambientale delle prospezioni nella Valle del Sauro.
La Total Italia richiese all’incirca 4 anni fa al laboratorio toscano “pH s.r.l. – Analisi e consulenze” di redigere uno studio di valutazione d’incidenza ambientale per le sole prospezioni sismiche in Valle del Sauro, l’esito? Un no chiaro e preciso, scritto in grassetto a pag.347, dove si scrive: ”si ritiene di dover applicare il principio comunitario di precauzione e dichiarare in ragione di tale principio, una potenziale incidenza negativa sulle componenti biotiche dell’area”.
Giudizio chiaro ed inequivocabile: le sole attività di ricerca del petrolio e figuriamoci l’estrazione, sono giudicate pregiudizievoli per il mantenimento di flora e fauna nella zona, la Valle del Sauro, e quindi nel resto della Basilicata?
Il paragrafo conclusivo apre dando conferma ad una paura diffusa, ossia che la Basilicata sia un vero e proprio esperimento pionieristico volto a dimostrare la possibile convivenza tra attività estrattive e uomo. Stupidaggini millantate da Eni e Total che vogliono rendere solo più gradevole l’olezzo del denaro con cui pagano il nostro sottosviluppo, perché il laboratorio d’analisi toscano, leader nel suo settore, asserisce che il settore in questione non è conosciuto, e che nella letteratura scientifica non esistono precedenti: vale a dire che Eni e Total stanno cercando in Basilicata di creare un modello ibrido di sviluppo senza basi scientifiche a sostegno del loro tentativo. Lo studio in questione è datato ottobre 2010 e riporta sulla sua copertina la dicitura”Questo documento è di proprietà di Total Italia S.p.A.. Non potrà essere copiato, riprodotto o diffuso a terzi senza la sua autorizzazione.

Il Dottor Stranamore che vuole arrivare al Don

di Joseph Halevi.  

La recentissma pubblicazione dello studio della Bank of Englandconferma da fonte insospettabile che le banche creano moneta dal nulla (cioe' non la scavano da qualche miniera, né la pompano da qualche giacimento) prestandola a coloro che hanno piani di investimento o di acquisto di beni di consumo durevoli. Non ci sono quindi vincoli monetari in quanto tali. 
Analogamente per la Banca Centrale: può convalidare qualsiasi richiesta da parte del Tesoro e può in tutta tranquillità monetizzare debito e deficit pubblici. Scuole, ospedali, ferrovie, pensioni, università e ricerca possono essere finanziate senza vincoli di bilancio ma solo reali che dipendono dalle capacità produttive esistenti e utilizzabili. E' ovvio che se all'Istituzione che dovrebbe convalidare i flussi nel circuito monetario, cioe' la Banca Centrale, viene formalmente proibito di assecondare il processo, il circuito, da qualche parte finirà per troncarsi.

domenica 30 marzo 2014

Stanno derubando il nostro futuro





Riprendiamoci il nostro futuro.


I sistemi elettorali e l'equivoco della governabilità

di Aldo Giannuli.

Spesso si sente il ritornello della "governabilità: "Bisogna che il sistema elettorale assicuri la governabilità". Ed in nome di questo si caldeggiano premi di maggioranza, collegi uninominali, soglie di sbarramento e trappole varie. Lasciamo da parte se la governabilità sia un bene in sé e concentriamoci sul significato del termine: che significa governabilità? 

Grosso modo, possiamo definire il termine in questo modo: la stabilità di governo possibilmente per tutta la durata della legislatura. Dunque, garantire che non ci siano crisi di governo che interrompano l'attuazione dei programmi decisi. E siccome è più probabile che una crisi di governo si inneschi in un governo di coalizione piuttosto che in uno monocolore, occorre fare in modo che il partito vincitore abbia da solo i numeri per governare e non sia costretto ad allearsi a nessuno. 

Di qui deriva l'esigenza di trasformare una maggioranza relativa di voti in una maggioranza assoluta di seggi. Ragionamento apparentemente impeccabile che, in realtà, non si mantiene in piedi. 

Affrontare il toro per le corna

di EuroTruffa

Prof. Halevi, in un suo lavoro scritto con Riccardo Bellofiore dal titolo "La Grande Recessione e la Terza Crisi della Teoria Economica", sostenete che, con la grande crisi capitalistica del 2007-2008, siamo dinanzi alla terza crisi della teoria economica. Può spiegarci, brevemente, cosa intendete? Quali sono state, invece, le prime due crisi?
La crisi del 2007 è, ovviamente, anche una crisi di tutti quegli approcci teorici che celebravano l'efficienza dei mercati finanziari come trasmettitori di informazioni affidabili per non dire perfette. Ma questo non sarebbe un granché. La fase apertasi col 2007 mette in crisi anche le visioni secondo cui dal 1980 in poi, cioè con Ronald Reagan e Margaret Thatcher, il sistema economico sarebbe stato gestito da politiche neoliberiste volte a ridurre il ruolo dell Stato a favore del mercato.
Invece no, per molti versi lo Stato o organismi statuali insindacabili (come quelli dell'UE) hanno aumentato la loro azione ed ingerenza negli affari economici intervenendo attivamente nello spostamento dei rapporti economici e sociali a favore non solo del capitale in generale ma dei gruppi capitalistici prescelti (Bellofiore ha scritto delle cose fondamentali sulla falsa rappresentazione del neoliberismo da parte della sinistra). Infine si è dimostrata errata l'idea che la crisi sia il prodotto della moderazione e stagnazione dei salari (negli Usa prima e progressivamente anche in Europa) che ha spinto le famiglie ad indebitarsi. Credo che la dinamica sia stata differente.

sabato 29 marzo 2014

Il Presidente delle Province smentisce Renzi












“Fermiamo la svolta autoritaria di Renzi e Berlusconi”















di Rossella Guadagnini
Non si tratta di essere manichei: ci sono volte in cui una cosa è giusta oppure non lo è. In tema di riforme istituzionali, ad esempio, occorre pronunciarsi in modo chiaro. Chiarissimo, anzi, non solo perché si tratta di cambiamenti che investono tutto il Paese e i suoi cittadini, ma anche perché l'attuale governo, al di là dei propri meriti o demeriti ancora tutti da dimostrare, non ha avuto la legittimazione popolare del voto. Un particolare questo che sembra non preoccupare troppo i nostri attuali rappresentanti politici. 

Libertà e Giustizia ha lanciato ieri un appello, ripreso oggi dal Fatto Quotidiano, contro la "svolta autoritaria" impressa all'Italia dal duopolio Renzi-Berlusconi – uno al governo, l'altro che lo sostiene – a cui stanno aderendo in queste ore intellettuali, accademici e giuristi. Tra i primi firmatari del documento ci sono Nadia Urbinati, Gustavo Zagrebelsky, Sandra Bonsanti, Stefano Rodotà, Lorenza Carlassare, Alessandro Pace, Roberta De Monticelli, Salvatore Settis, Rosetta Loy, Nando dalla Chiesa e tanti altri 

Generazione decrescente: la crisi e la formica utopista

Fine del lavoro, del futuro, della società civile protetta dai diritti di cittadinanza. Fine di tutto quello che siamo stati abituati a pensare come destino, consuetudine, standard di vita, aspettative. E’ scoppiata una guerra: era pronta da trent’anni, ma quasi nessuno se n’era accorto – men che meno la sinistra, partiti e sindacati. Oggi vaghiamo smarriti tra macerie lungamente programmate: persino l’incresciosa elemosina degli 80 euro promessi da Matteo Renzi può apparire una buona notizia, anche se ha il sapore della minestra della Caritas o della distribuzione di aiuti umanitari nel Darfur. Siamo in guerra, ma c’è chi ragiona come se fossimo ancora in tempo di pace. Lo fanno i politici, naturalmente, professionisti dell’elusione della verità esattamente come i maggiori media. E lo fanno pure, a modo loro, gli illuminati sostenitori dell’eresia decrescista: dicono che il sistema si è rotto semplicemente perché “doveva” rompersi, non poteva durare.
Certo, l’attuale modello di sviluppo ha avvelenato la Terra e prodotto solitudine e depressione. E ora che s’è inceppato, abbandona al suo destino la prima “generazione decrescente” della storia occidentale moderna, quella che sa di non poter avere quello che ebbero tutte le generazioni precedenti: la legittima speranza di crescere ancora. Il che però non significa, di per sé, precipitare nell’abisso: ci si può attrezzare per vivere meglio, comunque, a prescindere dall’ecatombe del Pil. E’ la tesi di Andrea Bertaglio, classe 1979, espressa nella sua ultima dolente ricognizione editoriale presentata da Maurizio Pallante, di cui è stretto collaboratore. Il libro si affaccia con angoscia sul panorama desolante dei coetanei, traditi dalle false promesse dello sviluppo illimitato e condannati all’esilio o al call center, in precaria alternativa alla disoccupazione perenne, mentre intorno si sfasciano, giorno per giorno, tutte le certezze del sistema Italia. Sta franando, il nostro paese, che pure militava nel G7 – settima potenza industriale del mondo – e che l’Eurozona dell’austerity ha letteralmente declassato, stroncato, ridotto a mendicare clemenza dai potenti signori di Bruxelles, che peraltro nessuno ha mai eletto.

venerdì 28 marzo 2014

Brancaccio: “La dottrina della precarietà espansiva è la nuova illusione europea”



Intervista di Luca Sappino, da l’Espresso online, 18 marzo 2014
Non gliene passa una l’economista critico Emiliano Brancaccio a Matteo Renzi. La riforma del lavoro, «sarà un buco nell’acqua», perché è dimostrato «che più precarizzazione non vuol dire più occupazione». Anzi, «la scommessa sulla corsa al ribasso salariale può portare l’intera unione alla deflazione, e la deflazione rischia di aggravare la crisi del debito». Brancaccio però è sicuro che Renzi terrà fede alle sue promesse, nonostante le rassicurazioni date ad Angela Merkel sui vincoli del debito, a cominciare dagli ottanta euro in busta paga. «Sforando di qualche decimale», però, il vincolo che pubblicamente ha assicurato di rispettare, perché quello che «si stia profilando è lo scambio tra un po’ meno austerità e un po’ più riforme del lavoro».

Le riforme immaginate da Renzi, lavoro in cima, hanno convinto la Germania. E’ questo il cuore del vertice, non più una revisione dell’austerità?
«Mi sembra che in realtà si stia profilando lo scenario che avevamo previsto nel “monito degli economisti”, pubblicato lo scorso settembre sul Financial Times. La dottrina della “austerità espansiva”, secondo cui l’austerità dovrebbe assicurare la crescita, viene messa almeno temporaneamente ai margini della discussione. Non a caso Merkel non si è concentrata molto sui vincoli di bilancio. Piuttosto ha insistito su una nuova dottrina, che potremmo chiamare della “precarietà espansiva”: l’idea è che attraverso ulteriori dosi di precarizzazione del lavoro si dovrebbe generare crescita dei redditi e dell’occupazione».

Elezioni europee, attenti al Trattato di libero scambio Usa-Ue

di Ignacio Ramonet, da democraziakmzero.org

Tra due mesi, dal 22 al 25 maggio, gli elettori di tutta l’Unione europea andranno alle urne per eleggere i loro rappresentanti al Parlamento europeo. E’ importante che questa volta, al momento di deporre la loro scheda, essi sappiano chiaramente quali sono le poste in gioco. Per motivi legati sia alla storia che alla psicologia, in alcuni paesi (Spagna, Portogallo, Grecia, ecc.), molti cittadini – troppo felici di essere finalmente considerati “europei” – si sono raramente presi la pena di leggere i programmi. Hanno letteralmente votato alla cieca. Questa volta però la brutalità della crisi e le crudeli politiche di austerità attuate dall’Unione europea (Ue) hanno loro aperto gli occhi. Ormai sanno che è soprattutto a Bruxelles che si decide il loro destino.

A questo proposito, in vista delle elezioni europee, c’è un tema che gli elettori dovranno osservare molto da vicino: il progetto di partenariato transatlantico per il commercio e gli investimenti (TTPI [ 1 ]) tra l’Unione europea e gli Stati uniti. Questo accordo viene attualmente negoziato nella massima discrezione, senza trasparenza democratica e nel silenzio complice dei grandi media. Esso mira a creare la più grande zona di libero scambio del pianeta, con circa 800 milioni di consumatori, che rappresenterà quasi la metà del prodotto mondiale lordo (PIL) e un terzo del commercio globale. Provocherà un grande sconvolgimento. Progressi sociali e ambientali sono in pericolo. La più grande vigilanza civica si impone.

giovedì 27 marzo 2014

Le Province: il solito Spot Elettorale

Abolizione delle Province, è una finzione: le poltrone aumentano



Il decano Licio Gelli se la ride: il ‘Piano di rinascita democratica’ della P2, si risveglia dal letargo per godersi una novella primavera. Con il controllo dell’informazione, la realtà soccombe. Gelli lo sapeva bene. La realtà è impotente di fronte a bugie ben orchestrate e martellanti.
Prendiamo il caso delle Province “abolite” da Renzi. I giornali titolano in coro: “Abolizione Province”, “Addio Province”, “Via le Province”. E così le Province sono sparite. Anche se ci sono ancora. Per eliminare sul serio le province bisognerebbe modificare la Costituzione e per Renzi non è possibile farlo così in fretta (cioè in tempo per le elezioni europee).

Se sbobino Renzi trovo Antani

di Andrea Scanzi.

Sarò "breve e circonciso", per dirla con il deputato e poeta 5 Stelle Davide Tripiedi. Voglio darvi un piccolo consiglio: ascoltate quello che dice Matteo Renzi e poi sbobinatelo.
Letteralmente.
Come faceva la Gialappa's con Trapattoni.
Scoprirete una cosa meravigliosa: Renzi non dice nulla. Assolutamente nulla.
Lasciamo stare la sua strategia politica, che non esiste o più esattamente è un continuo fare ciò che aveva giurato di non fare. Renzi mente con la stessa naturalezza con cui Alvaro Vitali scoreggiava, lui è fatto così. Gli ultimi casi di politica bipolare renziana sono la neutralizzazione della convalida per le dimissioni in bianco di lavoratrici giovani, neospose e neomamme (da Fabio Fazio aveva promesso il contrario); e poi il ddl Delrio che dice di cancellare le province ma non le cancella affatto: ovviamente, per farlo approvare, Renzi ha posto la fiducia al Senato, proprio come facevano i governi Berlusconi, Monti e Letta.
Tutte queste cose, chi vuole, le sa.

Rottamano la Costituzione perché hanno paura di noi

Pessima trovata, abolire il Senato. Segno di una politica senza idee, che ha paura degli elettori. E tenta di rifarsi il trucco per nascondere la sua incapacità di affrontare i veri problemi che abbiamo di fronte: «La concentrazione del potere economico e gli andamenti della finanza mondiale, l’impoverimento e il degrado del pianeta, le migrazioni di popolazioni. Ne subiamo le conseguenze, senza poter agire sulle cause». E la classe dirigente? «Non dirige un bel niente», accusa Gustavo Zagrebelsky. «Non tenta di mettere la testa fuori. Per far questo, occorrerebbe avere idee politiche e almeno tentare di metterle in pratica». Così, resta solo «il formicolio della lotta per occupare i posti migliori nella rete dei piccoli poteri oligarchici», un formicolio «che allontana e disgusta la gran parte che ne è fuori». Pura «autoconservazione del sistema di potere e dei suoi equilibri». Dietro ai tweet di Matteo Renzi, il giurista torinese vede «il blocco d’una politica che gira a vuoto, funzionale al mantenimento dello status quo».
Una volta, ricorda Zagrebelsky, Eugenio Scalfari e Giuseppe Turani definirono “razza padrona” un certo equilibrio oligarchico del potere. «Oggi, piuttosto Gustavo Zagrebelskyriduttivamente, la chiamiamo “casta”. Un’interpretazione è che un sistema di potere incartapecorito e costretto sulla difensiva, avesse bisogno di rifarsi il maquillage. Se questo è vero, è chiaro che occorrevano accessori, riverniciature: il renzismo mi pare un epifenomeno». La classe dirigente italiana? «E’ decaduta a un livello culturale imbarazzante. La ragione è semplice: di cultura politica, la gestione del potere per il potere non ha bisogno. Sarebbe non solo superflua, ma addirittura incompatibile», dice il presidente onorario della Consulta alla giornalista Silvia Truzzi del “Fatto Quotidiano”. Sgomenta la memoria degli uomini che gestirono la ricostruzione del paese nel dopoguerra: Parri, Nenni, De Gasperi, Einaudi, Togliatti. «Non è che avessero le stesse idee, ma ne avevano: e le idee davano un senso politico alla loro azione».

mercoledì 26 marzo 2014

Giannuli: punita la sinistra, complice dell’euro-dittatura

Il crollo dei socialisti e la parallela affermazione del Fn di Marine Le Pen non hanno sorpreso nessuno, ma l’entità degli spostamento è andata al di là delle previsioni. Il Ps paga l’impopolarità di Hollande, dovuta alle sue scelte di governo, ma, più in generale paga la sua posizione scomodissima di gestore della crisi. La sinistra “riformista” non ha e non può avere spazio nell’ordinamento liberista, perché la sua ragion d’essere sta nella mediazione fra capitale e lavoro, mentre il neoliberismo non cerca alcuna mediazione, perché postula semplicemente il dominio capitalistico e la totale subalternità del lavoro. C’è un errore di fondo: pensare che il liberismo sia la faccia economica del pensiero liberale. Sbagliato: il liberismo è indifferente alla qualità del regime politico e, nella sua variante neoliberista, ha un’anima essenzialmente totalitaria che sopporta la democrazia liberale (debitamente svuotata di senso e con istituzioni rappresentative prive di reale potere decisionale) solo perché teme che un regime autoritario potrebbe ridestare il fantasma del primato della politica.
Dunque, non ha bisogno di sindacati e Parlamento, che devono sopravvivere solo come feticci, mentre lo stato sociale deve semplicemente sparire e la Hollandestessa Costituzione diventa un inutile intralcio. Ma la sinistra riformista senza Parlamento, sindacati e stato sociale, semplicemente non esiste. E tanto più nel tempo della crisi, quando il capitalismo tende a fuoriuscire dalla democrazia in favore dello stato d’eccezione. La sinistra moderata, che si candida a gestire una forma temperata di dittatura neoliberista, può reggere con difficoltà questa posizione sin quando non precipiti la crisi; dopo, se conquista il governo è costretta solo a fare il lavoro sporco. Quello che rende debole la posizione della sinistra “riformista” è la sua incapacità di immaginare un “altro” rispetto all’ordinamento esistente. Costitutivamente, la sinistra moderata accetta la dittatura dell’esistente e ritiene che il suo compito sia quello di temperare le ingiustizie del capitalismo, con una serie di conquiste parziali e creando “nicchie” di giustizia sociale.

Contratti a termine, uno sconcio etico e incostituzionale

di Piergiovanni Alleva, da il manifesto, 25 marzo 2014

Il governo non ha perso tempo con il decreto legge (n. 34, 20 Marzo) che, libe­ra­liz­zando i con­tratti a ter­mine, dive­nuti ora sem­pre “acau­sali”, con­danna al “pre­ca­riato a vita” tutti quelli che, gio­vani e vec­chi, tro­ve­ranno o cam­bie­ranno lavoro. E’ un cri­mine sociale di enorme pro­por­zioni, com­messo nell’indifferenza quasi totale di par­titi e sin­da­cati, con l’eccezione — va rico­no­sciuto — della Cgil e di Susanna Camusso, da cui è giunta una vera ripulsa, un po’ ritar­data ma almeno molto netta.

Il fatto è che il decreto si è rile­vato ancora peg­giore di quanto si temesse: non si distin­gue più tra “primo” con­tratto a ter­mine e con­tratti suc­ces­sivi tra le stesse parti, e non si richiede più nes­suna cau­sale “obiet­tiva” né per il con­tratto e nean­che per le sue pro­ro­ghe o rin­novi. Il con­tratto a ter­mine, dun­que si può fare sem­pre per tutti senza spie­gare il per­ché e senza col­le­ga­mento ad una esi­genza tem­po­ra­nea, così come sem­pre si pos­sono uti­liz­zare con­tratti di som­mi­ni­stra­zione, null’altro che con­tratti a ter­mine “indiretti”.

Democrazia: perché è essenziale mantenere il Senato

I compiti del Parlamento possono essere svolti bene e conformemente ai principi costituzionali solo se il Parlamento si compone di due camere: la Camera della governabilità e il Senato delle garanzie. In una repubblica parlamentare, il Parlamento ha due generi di funzioni: assicurare governi stabili e fare le leggi in tempi brevi; rappresentare in modo eguale tutti i cittadini, eleggere gli organi di garanzia (capo dello Stato, giudici costituzionali, autorità di controllo), aggiornare la Costituzione, etc. Questi due generi di funzioni non possono essere svolti da un’unica camera, perché il primo tipo di funzioni esige una camera con maggioranza certa e stabile, che è ottenibile solamente limitando la
rappresentatività mediante soglie di sbarramento e premi di maggioranza, cioè limitando la sua capacità di rappresentare il corpo elettorale in modo corrispondente alla sua realtà, capacità che invece è l’essenza e il presupposto del secondo genere di funzioni, cioè della legittimazione democratica.
Mediante due camere, è possibile, però, soddisfare entrambe le suddette esigenze, conciliare cioè governance e rappresentatività: basta riformare una camera in modo che soddisfi la prima esigenza e svolga bene il primo insieme di funzioni, e riformare l’altra in modo che soddisfi la seconda esigenza e svolga bene le funzioni corrispondenti a questa esigenza.

martedì 25 marzo 2014

ORMAI E' UNA SORTA DI GARA: ESPLODERA' PRIMA LA GRECIA, LA SPAGNA O L'ITALIA ?

FONTE: TEMPO FERTILE (BLOG)

Questa notte c’è stata un’imponente manifestazione a Madrid contro l’austerità. Come d’uso in questi casi le cifre sulla partecipazione oscillano di un fattore venti, da 50.000 a un milione (secondo alcune fonti due).  Gli organizzatori erano il Movimento degli Indignados, i sindacati e le organizzazioni studentesche. Per tutto il mese erano state organizzate in tutta la Spagna manifestazioni di preparazione.
Quel che è certo, a dare credito alle foto, è che si è trattato della più imponente manifestazione degli ultimi anni in Europa. 


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Errori e illusioni della Renzinomics



Nessuna svalorizzazione del lavoro potrà risolvere i nodi strutturali di un sistema produttivo nazionale diventato progressivamente marginale nel consesso europeo. Le misure economiche del governo Renzi rischiano invece di riprodurre un modello che impoverirà sempre di più il Paese.

di Paolo Pini e Roberto Romano 
È stata una settimana indubbiamente impegnativa la scorsa per il primo ministro Matteo Renzi. Dopo lo show del 12 marzo, ha fatto il giro dell’Europa che conta e che decide per comunicare i sui impegni di governo. Prima Parigi, poi Berlino e quindi Bruxelles con tutti i presidenti e capi di governo per il Consiglio Europeo. L’Economist lo ha definito Gambler in a rush[1]. 

A Parigi si è rivolto al Presidente francese Hollande che era stato eletto per giocare il ruolo di baluardo nei confronti delle politiche di austerità tedesche e per propiziare una svolta per la crescita e l’occupazione. Peccato che nel frattempo si sia convertito alla tesi dell’”offerta che crea la sua propria domanda” e persegue ora la riduzione del cuneo fiscale a favore delle imprese francesi come unico modo per accrescere la loro competitività, mandando in soffitta Keynes, come noi peraltro lo abbiamo espurgato dalla Costituzione italiana nel 2012. I francesi gli hanno detto che il rapporto con gli amici tedeschi sarebbe rimasto la loro priorità, pur apprezzando gli sforzi italiani di uscire dal pantano. 

lunedì 24 marzo 2014

L'impero della vergogna e i famigerati mercati

di Peppe Carpentieri
Nell'epoca dell'avidità e delle guerre per massimizzare i profitti delle SpA nessun politico calato dall'alto avrà il coraggio di spegnere l'interruttore dell'immoralità. Mentre nessuno partito pensa di riformare il processo decisionale della politica - riforma dei partiti, elezioni primarie per legge, democrazia diretta - per avvicinare persone libere, capaci e meritevoli alle istituzioni; persone che potrebbero svegliare altre coscienze addormentate, accade che dobbiamo ancora annoiarci col teatrino della politica, tutta. Una delle più grandi menzogne spacciate dai media e dai politici nostrani è che l'euro zona avrebbe promesso un miglioramento del benessere collettivo.
I mantra della religione liberista sono crescita e competitività, com'è noto. Il cambio fisso dell'euro zona, il patto di stabilità e crescita, e il fiscal compact sono tutti strumenti che hanno sostenuto il processo di recessione avviato prima con lo SME, poi nel 1981 la separazione fra Tesoro e Banca d'Italia, e accelerato con la deregolamentazione bancaria e finanziaria, fino ad esplodere nel 2008 con la crisi dei mutui subprime che ha raggiunto l'euro zona.Gli stati che aderiscono all'euro abdicano alla sovranità monetaria, cioè rinunciano ad una propria politica monetaria, e decidono di farsi condizionare dallo spread e dalle opinioni dei mercati finanziari.

TORNO DALL'ARGENTINA: IL NOSTRO TRISTE FUTURO



DI MAURIZIO BLONDET
effedieffe.com

Cari lettori, sono stato a Buenos Aires. Ho indagato su miracolo eucaristico, evento passato sotto silenzio dalla Chiesa, su cui forse riuscirò a scrivere un libro.

Oggi, però, voglio anticiparvi la mia sensazione: Buenos Aires come immagine del nostro futuro. Più avanti di noi, precisamente, nella decadenza. Infissi divorati dalla ruggine e cadenti, spazzatura, auto e cellulari di seconda mano, computer ingrigiti con gli schermi a tubo catodico, marciapiedi resi impraticabili dalla rotture delle piastrelle (come si usano lì) che nessuna aggiusta, riparazioni malfatte, maniglie che (nell’albergo a 4 stelle) ti restano in mano, bagno che perde, tetti dove le tegole rotte vengono sempre più estesamente, spicciativamente e con minor costo sostituite da lastre di metallo ondulato, martellate e peste: la mancanza di manutenzione nell’illusione di risparmiare, primo colpo d’occhio che rivela, allo straniero, la decadenza.
La gente del posto non se ne accorge, s’è assuefatta al decadimento, in quanto è stato graduale, non vede più la stracca desolazione che la circonda. E l’inflazione, tornata al 30%. E gli scioperi dei dipendenti pubblici che vogliono aumenti sennò spaccano tutto, e la manifestazioni di piazza di questo o quel gruppo che esige sussidi, e la criminalità che risale, con la disoccupazione... Il tutto fra l’obelisco e la strada più larga del mondo, avenida Nueve de Julio, straordinari edifici copiati nel secolo scorso dalla Parigi di Luigi XIV o dalla Berlino neoclassica del ‘900, grattacieli di ieri e palazzi art déco, tutti i segni monumentali di quella che fu, fino agli anni ’40, se non un’epoca grande, un’epoca ricca, lussuosa – l’epoca in cui l’Argentina era esportatrice mondiale di carne e grani.
Tale è rimasta nell’età della globalizzazione e della new economy telecom-digitale, questo è il guaio. O uno dei guai, che si uniscono a tanti – e tutti, ahimé – i sintomi che vediamo in Italia. 

Lo Stato-mafia




di Giorgio Bongiovanni.

Una linea di pensiero si può tirare mirando a quanto avvenuto in questi giorni sull'asse Roma-Milano-Palermo. Da una parte Papa Francesco, don Ciotti ed i familiari delle vittime di mafia. Da un'altra Formigoni, la Regione Lombardia, Giuseppe De Donno. In mezzo il fenomeno della corruzione, sempre più imperante, e l'inchiesta sullo Stato-mafia. 
Potremmo chiederci cosa c'entrano queste figure, ed eventi, l'una con l'altra. Eppure c'entrano. 
Giuseppe De Donno, ex colonnello del Ros dei Carabinieri, figura tra gli imputati del processo trattativa Stato-mafia, accusato di attentato a corpo politico dello Stato e nello specifico di aver contattato Massimo Ciancimino (figlio di Vito, ex sindaco mafioso di Palermo) affinché intercedesse presso il padre per avviare così una trattativa con i capi di Cosa nostra. Al di là del procedimento, per il quale c'è la presunzione di innocenza fino all'emissione della sentenza del terzo  grado di giudizio, è un dato di fatto che Giuseppe De Donno, con il suo agire, ha violato il principio dell'etica del servizio dell'Arma parlando con un mafioso dal calibro di Vito Ciancimino. E' lo stesso ex colonnello ad aver dichiarato: "Decidemmo di contattare in qualche modo la mafia attraverso Vito Ciancimino per fermare le stragi".

domenica 23 marzo 2014

A Madrid la gente scende in piazza e chiede pane, lavoro e casa

Spagna, Marcia per la Dignità. La protesta finisce con 29 arresti e 101 feriti


Più di 300 organizzazioni, partiti, sindacati, collettivi di distinti colori a Madrid con un obiettivo comune: protestare contro le riforme “lacrime e sangue” dell’esecutivo di Rajoy e chiederne le dimissioni. Un malessere tradotto in numeri: quasi sei milioni di disoccupati, decine di migliaia di sfrattati e milioni di tagli alla spese sociale


Venivano da ogni parte della Spagna: sei colonne di persone, alcuni partiti un mese fa a piedi dalle proprie abitazioni, si sono date appuntamento a Madrid per chiedere “pane, lavoro e casa per tutti”, come si leggeva sui molti manifesti che inondavano le strade, insieme a centinaia di bandiere repubblicane. Ma il giorno della Dignità ha avuto un altro epilogo: 101 feriti e 29 arresti, tre di questi minorenni, come confermano fonti del Pronto soccorso e della Polizia nazionale.
Più di 300 organizzazioni, partiti, sindacati, collettivi di distinti colori con un obiettivo comune:protestare contro le riforme “lacrime e sangue” dell’esecutivo di Rajoy e chiederne le dimissioni. Un malessere tradotto in numeri: quasi sei milioni di disoccupati, decine di migliaia di sfrattati e milioni di tagli alla spese sociale.

Una nuova politica costituzionale

di Stefano Rodotà, da Republbica, 18 Marzo 2014

È ancora possibile una politica costituzionale? La questione non riguarda soltanto l’Italia, né si esaurisce nel controllo di conformità delle leggi a singole norme della Costituzione. Ma, quando si segnala questo tema, accade spesso di ricevere risposte infastidite, quasi che si volesse mettere la politica sotto una incombente e inammissibile tutela del diritto.

La realtà è del tutto diversa. Oggi la politica appare come l’ancella dell’economia, è declassata ad amministrazione, è affidata alla tecnica. Il recupero della sua autonomia, non dirò del suo primato, non può che essere affidato alla sua capacità di tornare ad essere espressione visibile di principi democraticamente definiti, appunto quelli che si rinvengono nei documenti costituzionali, dunque espressione di un progetto che ingloba il futuro, né volubile, né arbitrario. È una questione che ha un rilevante significato generale. E che, nell’attuale situazione italiana, va seriamente discussa, perché è destinata ad incidere fortemente sul modo in cui vengono affrontate la riforma elettorale e quella costituzionale.

Merkel - Renzi: Disoccupazione? Risolta con lavori da 480 Euro al mese

Più lavoro ma precario: Hartz IV e Jobs act, i programmi che uniscono Renzi e Merkel

Dietro ai sorrisi nel primo incontro con il premier, la condivisione della cancelliera per un modello per l'impiego vicino a quello varato da Schroeder che poi pagò con un pesante travaso di voti a sinistra. La Cdu si "impossessò" di quel sistema e lo portò a compimento. Oggi la disoccupazione tedesca è ferma al 6,9%, ma su 42 milioni di lavoratori 5 hanno redditi basati sul mini-impiego

Sorrisi, strette di mano e pose fotogeniche, meglio di così non poteva andare, almeno all’apparenza, il primo incontro da premier di Matteo Renzi con Angela Merkel. Non c’è stata nessuna provocazione, come aveva azzardato il quotidiano Die Welt alla vigilia. Nessuna prova di forza per ottenere il permesso a fare qualche debito in più per finanziare il programma anti-crisi. Non c’è stato bisogno di incrociare le armi perché Angela Merkel desse il via libera alle misure sin qui annunciate da Renzi, incluso il famoso taglio dell’Irpef per i redditi inferiori a 25000 euro lordi che fa ottanta euro in più al mese in busta paga. Dieci miliardi in più sui conti dello Stato (7 se si conta quel che resta dell’anno) che in teoria avrebbero dovuto far saltare su tutte le furie l’alleata. E invece niente. Angela Merkel non ha fatto una piega. Nessuno però ignora – men che mai la cancelliera – che la promessa di Renzi di chiudere il 2014 con un deficit al di sotto del fatidico tre per cento del Pil è un azzardo. La scommessa si gioca sulla speranza che il prodotto interno cresca quel tanto necessario a far scendere in termini percentuali il deficit. Difficile. L’effetto espansivo della riduzione delle tasse potrebbe essere molto più modesto del previsto. La spending review e i tagli alla spesa pubblica possono neutralizzare i benefici sulla domanda interna.

sabato 22 marzo 2014

ECCO L'ULTIMO MOSTRO TARGATO UE: IL DEBT REDEMPTION FUND. MILLE EURO ALL'ANNO PER PERSONA PER VENT'ANNI



LEONARDO MAZZEI
antimperialista.it

E' in arrivo la maxi-tassa per l'Europa: mille euro all'anno per persona per vent'anni
L'ultimo mostro targato UE: il Debt Redemption Fund (Fondo di Redenzione del Debito)

Altro che le buffonate del berluschino fiorentino! Altro che l'altra Europa dei sinistrati dalla vista corta! E' in arrivo sul binario n° 20 (anni) un trenino carico di tasse targate Europa. Ma come!? E le riduzioni dell'Irpef dell'emulo del Berluska? Roba per le urne, che le cose serie verranno subito dopo.
Di cosa si tratta è presto detto. Tutti avranno notato lo strano silenzio della politica italiana sul Fiscal Compact, quasi che se lo fossero scordato, magari con la nascosta speranza di un abbuono dell'ultimo minuto, un po' come avvenne al momento dell'ingresso nell'eurozona per i famosi parametri di Maastricht.

Grillo intervistato da Mentana a Bersaglio Mobile - 21/03/14



Fonte: Il Fatto Quotidiano

Il leader del Movimento 5 stelle, intervistato da Enrico Mentana per la trasmissione “Bersaglio Mobile”, racconta il suo retroscena sulla decisione di formare il governo Letta ed escludere Pier Luigi Bersani. Poi parla di Europee: “Non escludo alleanze con altri gruppi. Sceglieremo i nostri candidati online con il doppio turno”. E sull’Ucraina dice: “In piazza a Kiev non sparavano i russi, erano gli Stati Uniti”.
C’era un piano per rovesciare Pier Luigi Bersani. Beppe Grillo torna in televisione e spiega “il suo retroscena”. La campagna elettorale per le elezioni Europee è partita e, in una lunga intervista a Enrico Mentana per il programma “Bersaglio mobile” racconta quello che, secondo la sua ricostruzione, sarebbe successo nei giorni prima della nascita del governo di Enrico Letta. “Bersani”, rivela, “è stato mandato al massacro dai suoi.

Bank of England vuota il sacco: il sistema è truffa



di David Graeber.
Quella dose di onestà della Banca d'Inghilterra che butta dalla finestra le basi teoriche dell'austerità

Sembra che Henry Ford, negli anni 30, avesse osservato come fosse una buona cosa il fatto che la maggior parte degli americani ignorassero come funzioni davvero il mondo bancario, perché altrimenti "avrebbero dato inizio ad una rivoluzione prima di domani mattina".

La scorsa settimana è successo qualcosa di notevole. La Banca d'Inghilterra ha vuotato il sacco. In un documento intitolato "La creazione della moneta nell'economia moderna", redatto da tre economisti del dipartimento di Analisi Monetaria della banca, hanno dichiarato in maniera inequivocabile che le convinzioni generali riguardanti le modalità con cui lavorano le banche sono sbagliate, e che invece le posizioni del tipo più eterodosso e populista, più comunemente associate a gruppi come ad esempio Occupy Wall Street, sono corrette. In questo modo, hanno di fatto gettato dalla finestra l'intera teoria alla base dell'austerità.

venerdì 21 marzo 2014

QUIZ DEL GIORNO: Spending review, cifre in libertà. Chi dice le bugie?

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- Carlo Cottarelli parla alla Commissione Bilancio del Senato di 3 miliardi risparmiati per il 2014;
- Renzi in conferenza stampa di 7 miliardi;
- Pier Paolo Baretta, sottosegretario all'Economia di 34 miliardi in tre anni, dai 5 ai 7 per il 2014;
- Il "piano Cottarelli" parla di 7 miliardi per il 2014, 18 per il 2015 e 34 per il 2016 toccando pensioni e anche sicurezza e ordine pubblico;
- Decreto del governo Letta impegna 488,4 milioni per il 2014, 1.372 milioni per il 2015, 1.874 milioni per 2016/2017. Tutti fondi derivanti sempre dalla spending review

De Palma (Fiom): “Renzi rottama il lavoro, la Cgil di Camusso resta subalterna”



Michele De Palma, esponente della Fiom, boccia le misure di Renzi: “Nel provvedimento manca una vera politica di redistribuzione delle ricchezze, intenzione del governo è dividere ulteriormente il già frammentato mondo del lavoro”. E anche sulla Cgil, i toni sono duri: “Rischia di subire l’unilateralismo azendale finendo soltanto per erogare dei servizi”.

colloquio con Michele De Palma di Giacomo Russo Spena
“Nessuna svolta, anzi”. La spending review? “Senza un aumento della tassazione sulle ricchezze è in discussione il diritto stesso di cittadinanza”. E sulla Cgil, la critica è dura: “Ormai si va verso un sindacato unico”. Michele De Palma, esponente di spicco della Fiom, boccia il Jobs Act di Matteo Renzi senza mezzi termini. Per lui il vero cambiamento nel mondo del lavoro sarebbe “la riduzione delle tipologie contrattuali, non la sua moltiplicazione”.

giovedì 20 marzo 2014

Loretta Napoleoni: ora siamo tutti euroscettici…



E’ scoppiata anche in Italia la moda anti-euro, è quanto si evince dal sondaggio di Demopolis per l’Espresso. Colpisce, in particolare, la composizione politica degli euroscettici: 41 per cento Forza Italia e 45 per cento Movimento 5 Stelle. I fedeli del Pd, invece, continuano a difendere a spada tratta la moneta comune. L’euroscetticismo è anche più diffuso del desiderio di tornare alla lira, solo un terzo degli italiani sarebbe favorevole a questo passo, il resto ha paura che l’uscita dall’Euro diminuisca l’importanza dell’Italia sulla scacchiera politico economica europea ed internazionale. Quindi più che di euroscetticismo si dovrebbe parlare di euroarrabbiatura, prodotta dal pessimo trattamento a noi riservato.
Bastano queste poche pennellate per dipingere una nazione che solo adesso si interroga sui pro ed i contro della moneta unica, un paese dove il dibattito su questi temi è stato volutamente oscurato da una coalizione di forze politiche, istituzioni e mezzi di informazione. I pochissimi che hanno tentato di avviarlo, come chi scrive, sono stati attaccati ed infangati da una banda di cattedratici e giornalisti di regime, e cioè ben poco democratici. Nel 2010 tutti in Italia cantavano all’unisono ed oggi la nazione paga le conseguenze della poca professionalità di chi ci governa e ci indottrina.

Brancaccio: “La dottrina della precarietà espansiva è la nuova illusione europea”



Intervista di Luca Sappino, da l’Espresso online, 18 marzo 2014
Non gliene passa una l’economista critico Emiliano Brancaccio a Matteo Renzi. La riforma del lavoro, «sarà un buco nell’acqua», perché è dimostrato «che più precarizzazione non vuol dire più occupazione». Anzi, «la scommessa sulla corsa al ribasso salariale può portare l’intera unione alla deflazione, e la deflazione rischia di aggravare la crisi del debito». Brancaccio però è sicuro che Renzi terrà fede alle sue promesse, nonostante le rassicurazioni date ad Angela Merkel sui vincoli del debito, a cominciare dagli ottanta euro in busta paga. «Sforando di qualche decimale», però, il vincolo che pubblicamente ha assicurato di rispettare, perché quello che «si stia profilando è lo scambio tra un po’ meno austerità e un po’ più riforme del lavoro».

Navarro: crisi finita, se la Bce finanziasse gli Stati


Da almeno trent’anni, il nostro potere d’acquisto è in caduta libera, mentre le ricchezze finanziarie sono aumentate in modo esplosivo. Per metter fine alla crisi, ovvero alla Grande Recessione, basterebbe invertire semplicemente la rotta: aumentare i redditi da lavoro e tagliare le unghie alla finanza. Nel solo modo possibile: restituendo sovranità finanziaria agli Stati. Lo sostiene l’economista Vicenc Navarro, docente dell’università Upf “Johns Hopkins” di Baltimora, analizzando le cause della depressione economica. Certo, la deregulation ha creato uno sviluppo “mostruoso” del capitale finanziario, non puù legato alla produzione. Ma chi l’ha voluto? Semplice: gli stessi super-poteri che, dagli anni ‘80, hanno costantemente colpito i lavoratori, tagliando i salari. Di qui la «enorme crescita delle disuguaglianze di reddito» negli Stati dell’Ocse, «il club dei paesi più ricchi del mondo». La causa? La diminuzione dei redditi da lavoro, cioè i redditi del 99% della popolazione. Un dramma, perché proprio un’equa distribuzione dei redditi è il fattore determinante per l’evoluzione economica, sociale e politica di un paese.
La maggior parte della popolazione ottiene i propri redditi dal lavoro. E quando questi diminuiscono (tagli ai salari, disoccupazione), anche la domanda di prodotti e servizi, e quindi la loro produzione, decresce. L’economia subisce una caduta: è quello che si chiama recessione. La “scoperta” di questo nesso tra discesa della domanda e crisi economica, scrive Navarro in un’analisi ripresa da “Come Don Chisciotte”, viene spesso attribuita al celebre economista inglese John Maynard Keynes, ma in realtà fu Karl Marx il primo ad avvertire che «l’accumulazione di capitale, a scapito del lavoro, porta alla crisi del capitalismo». Tesi approfondita da uno dei suoi più brillanti seguaci, il polacco Michal Kalecki, il quale a sua volta influenzò economisti come Joan Robinson e Paul Sweezy. Sintetizza Navarro: «Quando la gente non ha soldi, li chiede in prestito. E questo spiega la crescita del sistema bancario». Il super-indebitamento delle famiglie e delle piccole e medie «si deve precisamente alla diminuzione dei redditi da lavoro». Attenzione: «Sin dagli anni ‘80, c’è un’opposta relazione tra la diminuzione dei redditi da lavoro di un paese e la crescita del sistema bancario». Più calano i primi, più cresce il secondo.