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giovedì 24 marzo 2016

ISIS ed emergenza Immigrazione per salvare l'Europa ( Video la Gabbia )


Ripropongo un bellissimo articolo di Federico Dezzani pubblicato a Settembre 2015, quanto mai attuale alla luce di ciò che sta oggi accadendo in Europa. 

DI FEDERICO DEZZANI

È fallito il tentativo della BCE di infondere nuova vita all’eurozona attraverso l’allentamento quantitativo, come dimostrano i tassi di crescita economica e la deflazione incipiente: Italia e, soprattutto Francia, annaspano e rischiano di trascinare a fondo l’intera moneta unica. L’esplosiva situazione economica dell’eurozona è però offuscata dal fenomeno dell’immigrazione di massa cui si affiancano, di tanto in tanto, attentati di matrice islamista. Esiste un nesso causale? Lo stesso establishment euro-atlantico che tira i fili della UE è anche il registra dell’attuale ondata immigratoria: l’obbiettivo è creare una situazione di allarme permanente in Europa, sostenendo che solo l’unità politica e monetaria del continente possono salvare il continente da flussi immigratori “epocali”.




2011: l’anno della doppia destabilizzazione
Se si dovesse scegliere uno spartiacque tra il prima ed il dopo, tra la situazione internazionale statica in cui il mondo era abituato a vivere dopo il collasso dell’URSS e quella dinamica in cui siamo ora (dagli esiti potenzialmente esplosivi), bene, quell’anno non può che essere il 2011, etichettabile come l’anno della “doppia destabilizzazione”: a nord del Mediterraneo la destabilizzazione programmata dell’eurozona ed a Sud del Mediterraneo la distruzione della Libia, i falliti tentativi di incendiare l’Algeria, i cambi di regime in Tunisia ed Egitto e l’avvio della lunga guerra contro la Siria di Bashar Assad. 


Sono talmente incalzanti gli avvenimenti del 2011 da sembrare una riproposizione del 1821 o del 1848, quando i “carbonari” ed i “caudillos” incendiano all’unisono l’Europa ed il Sud America, fedeli agli ordini della massoneria.
Mentre Moody’s, Standard & Poor’s e Fitch avviano sin dai primi giorni dell’anno la macabra danza dei declassamenti (oggi, che la situazione economica è molto peggiorata rispetto a quattro anni fa, le agenzie di rating tacciono misteriosamente) ed il vocabolario delle famiglie italiane si arricchisce di nuovi termini come “spread” o “credit default swap”, le SAS inglesi aizzano gli islamisti di Bengasi contro il Colonnello Gheddafi, i rivoluzionari della CIA formati dalla rete Otpor!/CANVAS fomentano i disordini in Tunisia ed Egitto ed anonimi cecchini in Siria sparano sulla folla per alimentare lo sdegno e lo sconcerto tra la popolazione. Così, giorno dopo giorno, il caos cresce e non è chiaro se bisogna preoccuparsi di più delle finanze pubbliche o del mondo arabo in ebollizione: stordimento e spaesamento sono probabilmente gli stati d’animo più diffusi nel 2011.
Subito, palese, emerge una prima correlazione tra destabilizzazione del Medio Oriente da un lato ed eurocrisi dall’altro, che troverà poi conferma nell’inasprimento dell’embargo europeo contro l’Iran (primavera 2012) e nellle sanzioni contro la Russia (estate 2014): la prima, ovvero la destabilizzazione della Libia, della Tunisia, dell’Egitto e della Siria, è possibile solo grazie alla coercizione di Bruxelles ed alle turbolenze finanziarie generate da una moneta intrinsecamente destabilizzante come l’euro.
Le capitali europee che accettano di rovesciare governi arabi con cui erano in rapporti da decenni, danneggiare i propri rifornimenti energetici, privarsi di fonti di capitali, condannare alla somalizzazione i paesi dirimpettai e spalancare le porte dell’immigrazione incontrollata, sono infatti sotto ricatto, sotto il ricatto dello spread gestito dalla City e da Wall Street che fanno il bello ed il cattivo tempo sui mercati azionari ed obbligazionari, dettando i tempi della crisi cui Bruxelles si adegua ossequiosamente.
Paradigmatica è a questo proposito la condotta dell’Italia che, dopo aver siglato il “trattato di amicizia, partenariato e cooperazione” con la Libia nel 2008 (governo Berlusconi IV), arginando il fenomeno degli sbarchi e accaparrandosi importanti fette del mercato libico, è costretta ad assecondare l’impresa militare di USA, Regno Unito e Francia (si ricordi invece la contrarietà della Germania che si smarca per la prima volta dall’establishment euro-atlantico) contro il Colonnello Gheddafi.
È corretto parlare di costrizione perché sotto ricatto è il premier Silvio Berlusconi, tenuto sotto scacco dallo scandalo Ruby, e ben più grave, sotto scacco è tenuto l’intero Paese che, privatosi della fondamentale sovranità monetaria adottando l’euro, finisce nel tritacarne delle agenzie di rating e vede il differenziale Btp/Bund inanellare nuovi record ogni giorno, Piazza Affari sprofondare ed il termometro della bancarotta, i famosi “cds”, infuocarsi sempre di più: è facile immaginare che, qualora l’Italia si fosse opposta all’intervento in Libia, i centri finanziari anglofoni avrebbero martoriato il paese fino alla capitolazione.
Si arriva così al paradosso che l’allora ministro degli esteri italiano, Franco Frattini, avvalla l’intervento NATO in Libia pur conoscendone già lo sciagurato esito. Afferma Frattini nel febbraio del 2011, quando mancano pochi giorni all’avvio dei bombardamenti francesi contro il Colonnello1:
Sappiamo cosa ci aspetta quando verrà giù il sistema Paese Libia: un’ondata anomala di 2-300 mila immigrati. E sono stime al ribasso (…) In Libia un terzo della popolazione è subsahariana. Stiamo parlando di due milioni e mezzo di persone che se viene giù il sistema Paese scappano, perché rimangono senza lavoro. Non tutti in Italia, per carità: dalla Cirenaica, da Bengasi, è molto più vicina la Grecia, ma alla fine quelle stime sono decisamente basse. E’ un esodo biblico, un problema che ogni italiano non deve sottovalutare”.
È difficile che un governo scelga di attaccare una nazione limitrofa da cui riceve petrolio e capitali e di trasformarla in uno Stato fallito, fonte solo di immigrazione clandestina e terrorismo, a meno che non sia sotto il ricatto dello spread e della tecnocrazia di Bruxelles. Lo stesso avverrà quando gli Stati europei, contravvenendo nuovamente ai loro interessi, prima inaspriranno l’embargo all’Iran e poi metteranno sotto sanzioni la Russia.
L’obbiettivo dell’eurocrisi è quindi quello di ricattare i Paesi europei, costringendoli ad una politica estera contraria ai loro interessi? Se si rispondesse di sì, allora i flussi di profughi e clandestini che si riversano a decine di migliaia sulle coste di Grecia ed Italia sarebbero solo un effetto collaterale delle politiche angloamericane ed israeliane in Medio Oriente.
In verità, come abbiamo sempre sottolineato nei nostri lavori, l’obbiettivo della prevedibile crisi dell’eurozona (Milton Friedman la pronostica già nel 1998 2) è quello di fornire un assist alla tecnocrazia di Bruxelles ed ai collusi governi europei per l’accentramento dei poteri di bilancio e la fondazione degli Stati Uniti d’Europa, vecchio progetto massonico sin dai tempi della Rivoluzione Francese. Gli USEça va sans rien dire, sarebbero la copia speculare degli Stati Uniti d’America e la loro funzione geopolitica quella di diluire le nazioni europee in un sistema euro-atlantico o transatlantico.
Ecco allora che la politica di destabilizzazione del Medio Oriente torna utile anche alla gestione dell’eurocrisi: con un moto pendolare, prima gli angloamericani sfruttano la debolezza europea per destabilizzare il Nord Africa ed il Levante e poi sfruttano il caos generato in Libia e Siria per influenzare l’andamento della crisi in Europa, dove il processo federativo entra su un binario morto già nel 2012 quando la Germania (contravvenendo per una seconda volta ai desiderata atlantici) rende nota la sua contrarietà a qualsiasi condivisione del debito tra membri dell’eurozona.
Mentre nel giugno del 2012 si tengono a Bruxelles i fallimentari vertici che avrebbero dovuto avviare il processo federativo dell’eurozona (tanto che il governatore della BCE Mario Draghi, di fronte a continui tracolli delle borse, è costretto a pronunciare il famigerato “whatever it takes” che sigilla la fine dell’emergenza spread), l’ambasciatore americano in Libia Christopher Stevens si spende attivamente per la destabilizzazione del regime siriano, raccattando a Bengasi miliziani ed armi da inviare a Damasco per combattere il regime di Assad.
Nel 2013 la Libia è già nel caos ed il numero di sbarchi sulle coste italiane ammonta a 43.000 persone 3. Segna il passo invece la destabilizzazione della Siria, tanto che Barack Obama, sfruttando come pretesto il presunto uso di armi chimiche da parte di Assad, tenta di bombardare le infrastrutture del Paese e le postazioni dell’esercito: solo la tenacia e la fermezza russe riescono a sventare l’intervento degli angloamericani e dei francesi.
Nel 2014 la situazione in Libia si complica ulteriormente: il legittimo governo è costretto a fuggire a Tobruk mentre a Tripoli si installa la coalizione islamista Alba della Libia che, forte dell’appoggio di Qatar, Turchia, USA e Regno Unito, controlla buona parte della Tripolitania (a due passi dalle coste siciliane) e sovraintende ai traffici di clandestini: il numero di profughi e clandestini che raggiungono l’Italia inanella il nuovo record di 165.000 persone. In Siria, reduci dallo smacco dell’anno precedente, USA ed Israele optano invece per l’inoculazione dell’ISIS che, avvalendosi anche dell’assistenza logistica e finanziaria della Turchia e delle monarchie del Golfo, tenta la costituzione di un Califfato a cavallo di Siria ed Iraq.
Nel 2015 la situazione in Libia è talmente deteriorata che il sullodato Franco Frattini, sebbene si professi ancora fiero della sciagurata decisione di intervenire a fianco della NATO contro Gheddafi 4, auspica un intervento militare dell’ONU per sedare l’anarchia di cui è preda il Paese: Frattini non sa, o probabilmente finge di ignorare, che gli angloamericani ed Israele perseguono scientemente la somalizzazione della Libia, non solo negando qualsiasi aiuto militare al legittimo governo di Tobruk, che capito l’andazzo riallaccia i rapporti con Mosca, ma traghettando anche dalle coste turche i miliziani dell’ISIS fino alle città di Derna e Sirte. In Siria le forze governative sigillano con successo il confine libanese, grazie anche all’intervento di Hezbollah, ma faticano a riguadagnare il confine turco e giordano attraversano cui filtrano “ribelli moderati” ed i terroristi dell’ISIS: cresce il coinvolgimento russo (si parla del dispiegamento di truppe che avrebbero affiancato il personale tecnico e logistico da tempo in Siria 5) ed aumenta in parallelo la tensione con gli USA che esercitano forti pressioni sul governo greco e bulgaro affinché neghino il proprio spazio aereo ai voli russi diretti a Damasco 6.
La decomposizione della Libia e le stragi compiute dall’ISIS contro la popolazione siriana ed irachena innescano di conseguenza nuovi, prepotenti, flussi migratori.
In Italia la quota dei 100.000 immigrati che approdano sulle coste italiane (essenzialmente africani della regione sub-sahariana) è superata nella prima decade di agosto 7 ed il fenomeno degli sbarchi di massa non solo non è arginato dal governo ma, al contrario, è utilizzato come “manovra fiscale espansiva” (per solo 2015 è stimata una spesa di 1,1 €mld 8) i cui beneficiari sono il mondo delle cooperative rosse e cattoliche e l’indotto di albergatori ed assistenti che si occupa dell’accoglienza (il bacino elettorale del ministro degli Interni Angelino Alfano gravita infatti attorno al CARA di Mineo). I profughi siriani invece, debordati dal Libano (di cui gli israeliani auspicano un nuovo collasso, simile alla ventennale guerra civile causata dal flusso di profughi palestinesi) e dalla Turchia (che ospita 1,8 mln di rifugiati 9, naturale prodotto della sua politica imperiale contro la Siria), raggiungono in massa le isole greche prospicienti la costa turca, per poi iniziare un lungo esodo lungo la penisola balcanica diretti verso il centro Europa. Sul finire della primavera la situazione è già esplosiva e l’inizio della bella stagione lascia presagire l’ennesima emergenza immigrazione.
Il 25 giugno si riunisce a Bruxelles un vertice a 28 incentrato sulla crisi migratoria: “UE alla prova” scrive l’Ansa 10, “test decisivo per la credibilità della UE” sostiene il governo italiano 11. Il punto di partenza dei negoziati è una bozza che prevede la ridistribuzione di 40.000 profughi eritrei e siriani tra i diversi membri della UE. Qual è l’esito? Un clamoroso fallimento.
Dopo estenuanti mediazioni e furiosi litigi, nella tarda notte del 25 si raggiunge un compromesso raffazzonato, il cui scopo è solo quello di fornire l’immagine di un’Unione Europea ancora politicamente viva: escluse le quote e l’obbligatorietà dell’accoglienza, i 40.000 profughi saranno ripartiti su base volontaria. Il giornalista Gad Lerner commenta rammaricato sul proprio blog 12: “Il naufragio dell’Europa…nessuna decisione sui migranti prima dell’estate”.
L’Unione Europea si conferma un paziente in stato comatoso, in attesa che gli sia staccata la spina. L’aria è resa ancora più greve dalla crisi greca che per attimo sembra sfociare nella “Grexit” e la deflagrazione dell’eurozona: l’establishment euro-atlantico inizia a temere che il proprio incubo peggiore, lo smembramento della UE ed il ritorno agli Stati nazionali e sovrani, si materializzi.
Il misterioso dietro-front di Alexis Tsipras e la sua capitolazione dinnanzi alla Troika salvano l’integrità dell’eurozona ma ai piani alti di Francoforte, Bruxelles e Washington, dove si conoscono le reali condizioni dell’eurozona, c’è fortissima apprensione per il futuro della UE.
L’allarmante condizione dell’economia europea e l’ondata migratoria “mediatica”
Mentre tutti i riflettori mediatici sono puntati sull’emergenza immigrazione, il venerabile governatore della BCE Mario Draghi parla, ed il suo verbo ci illumina sulle condizioni economiche dell’Eurozona: “ripresa ed inflazione più deboli del previsto”, “rischi al ribasso per l’economia 13, allentamento quantitativo prolungabile oltre il settembre del 2016, acquisti di titoli pubblici che salgono dal 25% al 33% di ogni emissione, e saggio di risconto confermato al 0,05% a tempo indefinito.
Ma non doveva essere l’allentamento quantitativo l’arma definitiva contro la deflazione e la depressione economica che attanaglia l’euro-periferia? Si direbbe, au contraire, che i miliardi immessi da Draghi abbiano gonfiato, come avvenuto negli USA in seguito alla politica monetaria espansiva delle FED, solo i valori di azioni ed obbligazioni, in mano a quella sparuta élite che esprime anche i governatori delle banche centrali, mentre l’economia reale restava al palo: tanti soldi per gonfiare il valore nominale dei btp, ma nessuno per rinnovare le obsolescenti infrastrutture, tanti solo per consentire alle aziende di ricomprare le proprie azioni ma nessuno in investimenti produttivi che generino occupazione. L’inflazione nella zona euro rasenta pericolosamente il territorio negativo (+0,2% ad agosto) ed il tasso di disoccupazione cala impercettibilmente (-0,2% ad agosto) nonostante l’euro debole che dovrebbe aiutare le aziende esportatrici.
Le parole di Draghi certificano il clamoroso fallimento dell’allentamento quantitativo, confermato dai dati che provengono dalla seconda e dalla terza economia dell’eurozona: la Francia registra una crescita pari a zero (0,0%) nel secondo trimestre mentre l’Italia si ferma ad un misero +0,2% , i rispettivi debiti pubblici hanno raggiunto i record di 2.090 ed 2.200 €mld, il tasso di disoccupazione è fermo all’allarmante cifra di 10% e 12% della forza lavoro, il sistema bancario di entrambi i paesi è carente di capitale. Quanto può ancora reggere l’edificio dell’Unione Europea quando Roma, ma soprattutto Parigi, mostrano sintomi di sfinimento? L’interrogativo diventa ancora più pressante dopo l’ultimo atto della crisi greca, che ha reso noto a tutti che l’uscita di un paese dall’eurozona non è più tabù.
È questo il contesto in cui va collocata l’emergenza immigrazione: un’Europa vicina alla deflagrazione politica e monetaria, dove ogni mezzo idoneo a scongiurare la dissoluzione della UE è adottato senza alcuna remora, si tratti di terrorismo di Stato (finita l’era delle BR e delle RAF, oggi si ricorre all’ISIS) o di ondate di profughi. Sul ruolo del terrorismo targato ISIS e della strategia della tensione sottostante agli attentati islamisti ci siamo più volte soffermati, ragion per cui in questa sede analizzeremo solo il fenomeno dell’immigrazione incontrollata.
Abbiamo detto che il vertice sull’immigrazione del 25 giugno termina con un sostanziale fallimento che rafforza l’impressione che la UE sia ormai a capolinea: occorre rimediare all’incidente e rianimare il defunto “spirito europeo”. A tavolino è organizzata un’ondata di profughi diretta verso il centro-nord Europa che, per i mezzi mediatici impiegati, la retorica di accompagnamento e le implicazioni politiche, denota un’attenta regia, da collocarsi nelle più alte sfere dell’establishment euro-atlantico.
La rotta dei profughi sull’asse Grecia-Ungheria non è certo una novità di queste ultime settimane: la decisione del premier magiaro Viktror Orban (che gli angloamericani avrebbero già volentieri rovesciato se l’Ungheria non fosse un paese etnicamente compatto e politicamente coeso) di costruire un muro anti-clandestini lungo la frontiere con la Serbia risale infatti alla prima metà di giugno 14. Orban avrà sicuramente preventivato le ire dell’establishment, ma difficilmente avrebbe immaginato che quel muro fosse impiegato per una campagna mediatica sulla falsariga dell’abbattimento del muro di Berlino dell’89.
Nell’ultima decade di agosto sul confine tra Macedonia e Grecia si registrano i primi scontri tra le forze di polizia macedoni ed i profughi siriani ed iracheni, intenzionati a raggiungere la ferrovia che attraverso la Serbia li porterà fino al confine con l’Ungheria: il governo di Skopje accusa l’omologo greco non solo di non arginare in nessun modo il flusso migratorio ma di organizzare addirittura un servizio di navette che trasporta i profughi dal porto di Salonicco fino alla frontiera 15.
Il 23 agosto il governo macedone inverte improvvisamente rotta e decide di aprire il passaggio ai profughi in arrivo dalla Grecia16  e diretti in l’Ungheria. Il 2 settembre Budapest è “nel caos”: a causa dell’ammassarsi degli immigrati che tentano di prendere i treni verso l’Austria, la polizia è prima costretta a chiudere la stazione ferroviaria di Keleti e poi la sgombera con la forza17Sempre il 2 settembre è pubblicata la foto del bambino siriano Aylan che giace morto sul bagnasciuga di Bodrum: la foto, che rimbalza immediatamente su tutti i mezzi d’informazione, diventa l’immagine simbolo della campagna. È alla foto di Aylan che il filosofo francese Bernard Henri Lévy fa riferimento quando afferma che “ci sono foto che hanno la virtù paradossale di risvegliare all’improvviso le coscienze18: si ricordi che Henri Levy è l’intellettuale che Tel Aviv e Washington usano per ammantare di nobiltà le loro guerre sporche in Libia, Siria ed Ucraina, vera causa dei flussi migratori e dei martirii cui sono sottoposte le popolazioni.
Il 3 settembre entra in Ungheria, in una sola giornata, la cifra record di 3.300 immigrati e qualche centinaio di profughi imbocca a piedi l’autostrada che porta in Austria, prontamente immortalati in un’altra foto che diventa subito virale: il governo magiaro assurge immediatamente a prototipo dell’anti-Europa. Tutto ciò che c’è di male nel Vecchio Continente è incarnato da Viktor Orban: brutalità contro i profughi, campi di concentramento, bestialità contro gli innocenti. Il Sole 24 Ore titola: “In marcia per fuggire dall’Ungheria, la polizia usa gli spray urticanti”.
Varcata la frontiera austriaca, i profughi siriani si lasciano finalmente alle spalle l’Ungheria del fiorino e delle barbarie asiatiche ed entrano nell’Europa civile, quella della moneta unica!
Il racconto ha raggiunto il climax e si può sfumare dolcemente: i profughi accolti alla stazione di Monaco di Baviera con l’inno europeo, la nona sinfonia di Beethoven, cittadini tedeschi ed immigrati residenti che salutano festosi, volontari austriaci che mettono a disposizione le proprie auto per trasportare i profughi fino a Vienna, il tutto sapientemente ingigantito dai media che spacciano le reazioni di qualche centinaio di persone come il sentire dell’opinione pubblica. Sintomatico è un articolo che appare su Famiglia Cristiana 19: “Benvenuti in Europa, Benvenuta Europa. Angela Merkel annuncia: niente limiti alle richieste d’asilo dei migranti. Poliziotti e volontari accolgono i profughi sulle note dell’Inno alla gioia. Nel momento più critico, l’Europa dà un sussulto e ritrova sé stessa nel nome dell’accoglienza”.
Scongiurata la sospensione di Schengen (che avrebbe inflitto il colpo letale alla UE) bisogna ora rimediare alla debacle del vertice del 25 giugno: i media fanno circolare una bozza stilata dalla Commissione Europea per il prossimo summit del 14 settembre che prevede la ricollocazione in Germania, Spagna e Francia del 60% dei 120.000 profughi attualmente in Italia, Grecia ed Ungheria 20.
In una fase critica dell’eurozona, che nemmeno l’allentamento quantitativo della BCE è riuscita a rivitalizzare, l’ondata di profughi e di clandestini è, alla stregua del terrorismo islamico, presentata come un’emergenza destinata a durare negli anni, cui solo l’Europa unita è in grado di far fronte: il fenomeno è spacciato dai media come ineluttabile e nessun sforzo è effettuato per risalire all’origine del problema (la distruzione ad opera di USA, Regno Unito, Israele e Francia di Libia, Siria ed Iraq).
Il moto pendolare torna quindi verso il Vecchio Continente e la destabilizzazione del Medio Oriente è ora impiegata per sedare le spinte centrifughe in seno all’Unione Europea, generando fenomeni allarmanti in grado di essere risolti (insistono media, politici ed intellettuali)solo se l’Europa rimane unita.
Conviene sempre citare qualche documento o discorso a sostegno delle proprie analisi, evitando così al lettore dubbi sulla fondatezza della chiave interpretativa proposta. A questo proposito, tre ci sembrano le enunciazioni più significative.
La prima è quella di Laura Boldrini che, attenta a non calpestare mai i piedi al Potere con la “p” maiuscola ma paladina, al contrario, di un pietismo catto-comunista che cresce bene all’ombra della UE e della NATO, scala prima la gerarchia delle Nazioni Unite e poi della Repubblica italiana. Scrive il 3 settembre il presidente della Camera sull’Huffington Post 21:
“I have a dream”, I still have a dream. (…) Questo sogno ha un nome, ed è Stati Uniti d’Europa. Le crisi che stanno affliggendo l’Europa ci costringono a vedere il progetto federale come la soluzione, anzi l’unica soluzione possibile.(…) La questione dell’immigrazione, con i suoi quotidiani bollettini di morte, parla dell’impotenza alla quale ci condanna l’incapacità di ragionare come un’unica entità. Gli sconvolgimenti in atto e l’esistenza di regimi autoritari non lontano dalle frontiere dell’Unione – dalla Siria all’Iraq alla Libia, dalla Somalia all’Eritrea – producono migrazioni forzate che nessuno Stato europeo può fronteggiare da solo (…). Dovremmo anche essere ispirati dalla fondamentale lezione del federalismo statunitense: “United we stand, divided we fall”, come cantavano più di due secoli fa nelle prime battaglie per l’indipendenza.
C’è poco da commentare e bisogna solo evidenziare come la somalizzazione in atto del Nord Africa e del Levante non sia attribuita dalla Boldrini dall’evidente azione degli USA e di Israele, bensì sembrerebbe frutto di cause naturali e di “regimi autoritari”, che per totalizzare un numero di assassini tra oppositori e dissidenti pari alla mattanza avviata nel 2003 da angloamericani ed israeliani avrebbero impiegato diverse ere geologiche.
Tocca poi al presidente israeliano Shimon Peres: Israele non figura tra i membri della UE ma parrebbe comunque tra gli azionisti di maggioranza, considerato che la politica mediorientale della UE si adagia su quella di Tel Aviv. Afferma il 7 settembre il presidente Peres, ospite del Forum Ambrosetti 22, commentando l’ultima ondata migratoria:
L’Europa resti unita, perché la tragedia è di proporzioni talmente immense che nessuno può affrontarla da solo. Non può l’Italia, che sta facendo cose grandiose nei salvataggi in mare, e non può la Germania. L’Europa se è unita può farcela, ha risorse economiche e morali per risolvere la crisi”.
Della crisi siriana nessuno è certamente più esperto degli israeliani, che a forza di sostenere i ribelli ed i terroristi attivi in Siria hanno esasperato la popolazione araba locale: decisi a farsi giustizia da sé, gli abitanti del Golan hanno assaltato le ambulanze dell’esercito di Tel Aviv che facevano la spola con il confine e linciato i guerriglieri feriti a bordo 23.
Dulcis un fundo, un parere militare: quello del generale Martin Dempsey, capo di stato maggiore delle forze armate americane. Afferma Dempsey in un’intervista all’emittente ABC, commentanto i recenti flussi di profughi 24:
È un problema enorme (…) Dobbiamo affrontare sia unilateralmente che con i nostri partner questa questione come un problema generazionale, e organizzarci e preparare le risorse ad un livello sostenibile per gestire questa crisi dei migranti per i prossimi venti anni.
Chi ha bombardato la Libia? Chi fomenta il caos in Egitto? Chi ha inoculato l’ISIS in Siria ed Iraq? Chi sostiene la mattanza saudita in Yemen? O forse qualcuno ha la sfacciataggine di dire che non c’è un nesso causale tra questi fenomeni e l’ondata immigratoria in atto?
È fuori di dubbio che l’establishment euro-atlantico voglia implementare il piano Kalergi nel medio-lungo periodo, ma l’attuale ondata immigratoria risponde a logiche di breve periodo: arrestare, con un’emergenza dopo l’altra, il disfacimento dell’eurozona. Oggi i profughi, domani i terroristi dell’ISIS, dopodomani la guerra in Ucraina: Bruxelles, salvaci tu!


Fonte: http://federicodezzani.altervista.org