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sabato 30 novembre 2013

Un Comitato di Liberazione Nazionale contro le euro-tasse

Serve un nuovo Comitato di Liberazione Nazionale, per respingere il “fascismo finanziario” dell’Unione Europea e imporre il ritorno della democrazia e della sovranità in Italia. Paolo Barnard lo spiega “verticalizzando” il problema senza giri di parole. I “sociopatici” trattati-capestro su cui si fonda l’Ue? «Esautorano Stati, Costituzioni e Parlamenti, quindi i cittadini sovrani», che non hanno mai votato né per Maastricht né tantomeno per il Fiscal Compact. Su Bruxelles il Parlamento Europeo non ha potere, i popoli europei non possono esprimersi democraticamente né difendersi.  Imposizione fiscale, taglio dei deficit, austerità imposte dal regime europeo? «Sono strumenti del fascismo finanziario Ue per l’impoverimento delle masse e conseguente scadimento dellademocrazia». L’unica soluzione, secondo Barnard, sta nell’abolizione, «per legittima difesa», del reato di evasione fiscale. Inutile aspettarsi misure di salvezza dal governo: non le adotterà mai.
«La tragedia dell’economia attuale, quella del tuo reddito, del tuo mutuo e del futuro di tuo figlio – scrive Barnard nel suo blog – è che una generazione Barnarddi miserabili economisti prezzolati a suon di parcelle dal Potere ha fatto dimenticare a tutti il Dna dell’economia per l’Interesse Pubblico, quella che veramente creò la ricchezza moderna. Così ci hanno guadagnato quattro porci di speculatori, sulla pelle di milioni». Ed è successo. «Immaginate: è come se Maria De Filippi, il Gabibbo, Jovanotti e Mammuccari ci avessero fatto dimenticare che il Dna della lingua italiana sono Dante, Petrarca, Foscolo, Carducci o Pavese e Moravia – infatti è successo anche questo, e la lingua che parliamo è una cosa abominevole». Barnard cita un economista democratico di 70 anni fa, Michal Kalecki: «Basterebbe ricordare che razza di genio illuminato era costui e che cuore aveva per l’interesse della gente». Meglio si capirebbe che «la penicillina della salvezza delle nostre vite economiche è stata annientata, nascosta, con risultati orripilanti sulla vita di tutti noi».
Nel 2013, l’Italia si ritrova un governo «illegittimo», sorretto da un uomo come Napolitano, accusato di “cestinare” la Costituzione. «Il potere deve tornare ai cittadini», dice Barnard, attraverso un nuovo Cln come quello sorto nel 1943. Obiettivo, abbattere il “fascismo finanziario” di Bruxelles. Come? Con una sorta di rivolta fiscale. «Azione numero 1: Il reato di evasione fiscale è abolito. Lo decidono gli italiani per legittima difesa. Evaderemo tasse fino al raggiungimento del 9% di deficit, poiché le identità macroeconomiche dimostrano oltre ogni dubbio che il deficit dello Stato è la ricchezza di cittadini e aziende per la salvezza nazionale. O l’alza il governo (unitamente a un taglio delle tasse), o l’alziamo noi con l’evasione. Vita o morte dell’Italia è in gioco». Un appello che Barnard considera patriottico: «Nel nome della patria e della Costituzione italiana, oggi la salvezza del paese passa per l’evasione fiscale delle tasse dell’Economicidio impostoci dal fascismo tecnocratico europeo

I falsi dilemmi dell'euro



di Bruno Amoroso.

Consegnamo ai lettori un recente contributo di Bruno Amoroso. Dopo un'analisi del percorso che ha condotto alla nascita della moneta unica, quindi del perché essa ha contribuito a esplosivi squilibri, Amoroso passa in rassegna le soluzioni possibili, che tutte conducono alla riconsegna ai singoli paesi della loro sovranità monetaria. Una riconquista, tuttavia non fine a se stessa, ma funzionale a contrastare il processo di globalizzazione.

Il dibattito sull'euro, sul quale molto è stato detto e scritto, resta incollato ad alcune contrapposizioni che non hanno alcuna base reale, né nei fatti storici né nei dati empirici.

Euro o caos politico e istituzionale nel progetto europeo, quando è ormai un fatto acquisito che l'euro è la causa prima dell'attuale situazione di stallo e di crisi del progetto europeo. Questo per due ragioni. La prima è che la moneta unica introdotta in alcuni paesi per ragioni di compromesso e opportunità politica tra due stati europei, la Germania e la Francia, ha introdotto una divisione tra gli Stati membri dell'UE - tra i 17 dell'eurozona e i 10 che hanno conservato le monete nazionali - arrestando così quello che era e poteva essere il processo graduale di una ever closer union. La seconda è che l'auspicato processo di avanzamento verso forme più strette di cooperazione politica e istituzionale tra gli Stati membri è stato interrotto e compromesso proprio a causa dell'impopolarità, e quindi della delegittimazione di entrambi, prodotta dagli orientamenti neoliberisti delle politiche imposte dalla Troika, cioè dalla BCE, dal FMI e dalla CE come dimostrato dai referendum popolari in Francia, Danimarca, e dalla loro crescente impopolarità. 


Euro o crisi economica e sociale, quando noi siamo dentro la più grave crisi economica e sociale del dopoguerra della quale l'euro è divenuto uno degli strumenti che paralizzano le possibilità di risposta e di politiche economiche diverse. 
Gli effetti della crisi prodotta dall'euro e dal sistema di poteri che questo esprime hanno aggiunto un'ulteriore divisione tra gli Stati membri dell'UE, quella tra nord e sud dell'eurozona. Gli eventi dell'ultimo decennio, per ciò che si è fatto e che non si vuol fare, mettono in evidenza che non si tratta di politiche sbagliate o di passaggi necessari verso una maggiore efficienza dei mercati e una ripresa dei sistemi economici dei paesi del sud, ma di una vera e propria attività di rapina dei risparmi dei cittadini europei e di esproprio dei sistemi produttivi dei paesi del sud. Il successo ottenuto da queste politiche nel raggiungimento degli obiettivi perseguiti è dimostrato dal fatto che nessuna modifica è stata apportata alle politiche e al sistema di potere che ha causato la crisi, e che provvedimenti nella stessa direzione sono stati messi in atto nel corso degli ultimi mesi in preparazione di una nuova rapina nel prossimo autunno. Come documentato nell'indagine ufficiale statunitense sulle cause e la responsabilità della crisi del 2008 (Financial Crisis Inquiry Commission, Financial Crisis Inquiry Report, 2011) non si è trattato di avidità personale e corruzione, ma del fatto che, come scrive il Rapporto, dagli anni Ottanta sono state rimosse gradualmente tutte le forme di regolamentazione introdotte dopo la crisi degli anni Trenta senza introdurne di nuove.  Oltre alle responsabilità del direttore generale della FED Alan Greensplan che realizzò le idee neoliberiste rimuovendo ogni controllo, il Rapporto attribuisce le maggiori respnsabilità agli istituti di rating (Moodys, Standard & Poor og Fitch) che valutarono a pieni voti (AAA) i nuovi strumenti finanziari e crediti dubbiosi alimentando così la loro attrazione e legittimità verso I risparmiatori e i fondi pensione. Al contrario degli Stati Uniti, né l'Italia né l'Unione Europea hanno mai investigato quegli stessi eventi e i responsabili sono anzi stati promossi a incarichi di governo e al vertice BCE.

Euro come base per un'alleanza sociale, e per nuove politiche economiche di ripresa e innovazione dei sistemi produttivi (eurobonus, Tobin tax o altri simili strumenti).  Proposte tutte ben documentate e discusse ma puntualmente respinte o rielaborate per renderle impotenti, il che dimostra la loro inconciliabilità con le politiche monetarie perseguite.
Al contrario, l'euro ha introdotto una divisione tra paesi e tra gruppi sociali diversi che si è cementata con il diffondersi di una cultura che trova la sua più velenosa espressione nel "noi non siamo come i greci", "l'Italia è superiore alla Spagna", ecc. La concorrenza sullo spread e sul rating ha introdotto un elemento di divisione tra Stati che tende a diventare un elemento fondamentale del sentire comune.  Questo è stato fatto invece di unire i popoli dell'Europa del sud in un'opposizione e in un fronte politico comune per imporre ai paesi dell'euro nord una nuova negoziazione che rimetta sui binari il processo d'integrazione europea e tornando anche a un sistema monetario unico dei 27 paesi dell'UE.

Le ragioni del continuo riproporsi di queste contrapposizioni e false alternative sono diverse. Tra queste la più comune, a mio avviso, è la confusione che si fa tra processi reali e processi istituzionali, mentre la distanza tra i primi e i secondi, in modo particolare nell'Unione Europea, è enorme e paradigmatica. Esiste un percorso evolutivo di pensiero nell'Unione Europea intorno all'idea del modello sociale europeo (coesione sociale interna negli Stati e tra Stati), e della cooperazione economica e pacifica con altri grandi aree e meso-regioni (co-sviluppo) proclamato e continuamente riaffermato ma a fronte di una realtà politica e istituzionale che questi obiettivi contraddice e combatte. L'affermazione continua di democrazia e di diritti dei quali sono pieni i trattati e documenti dell'UE non ha alcun riscontro nelle scelte politiche e istituzionali adottate da Maastricht in poi. Dopo l'89 i ben noti "deficit democratico", "deficit sociale", "deficit strutturale" dell'UE si sono aggravati e organicamente inseriti nelle nuove configurazioni della governance europea. Tuttavia le dichiarazioni sono potenti armi di distrazione di massa che consentono ai sindacati e ai governi di portare a casa principi e diritti ai quali fanno puntualmente seguito decisioni contrarie che hanno ridotto sia i primi sia i secondi al ruolo di valletti del potere. In parallelo questo alimenta la cultura dei principi e dei diritti che tiene occupate le accademie con sofisticate elaborazioni giuridiche e di "scienza" sociale e mobilita sul nulla gran parte dei movimenti della società civile.


Il sistema monetario europeo (SME)

Gli eventi successivi al 2008 hanno diffuso la convinzione, o almeno il sospetto, che l'Unione Economica e Monetaria istituita nel 1999 sia stata costruita su premesse sbagliate e su un numero troppo ampio di paesi. 
I 17 paesi dell'eurozona hanno differenze troppo forti nelle loro strutture economiche e preferenze politiche che impediscono di trarre vantaggio da una moneta comune. Al contrario, si accrescono le differenze tra i paesi partecipanti come mostra con tutta chiarezza l'aumento della disoccupazione e il declino dei sistemi produttivi d'interi paesi e aree. Poiché al centro dell'attenzione ci sono i sistemi monetari è opportuno ripercorrere brevemente questo percorso storico.

Il sistema monetario in vigore in Europa nel secondo dopoguerra era quello deciso dagli Accordi di Bretton Wood (1944) e rimasto in vigore fino al 1971. Il sistema prevedeva un corso fisso con ridotte possibilità di variazione per le monete nazionali. Fu la decisione degli Stati Uniti nel 1971 di sganciare il valore del dollaro dall'oro, al quale facevano riferimento anche gli Stati europei, che spinse i paesi della Comunità Europea a istituire un sistema monetario europeo basato su una cooperazione tra valute nazionali.

Nacque così il Sistema Monetario Europeo (SME), detto anche Serpente Monetario Europeo, con una rapporto di cambio fisso e limitata possibilità di variazione delle valute nazionali (-/+ 2 ? %). Il sistema, in vigore dal 1971, fu aggiornato con l'introduzione di un nuovo meccanismo di cambio valutario (ERM2) nel 1979. La fissazione del corso fisso non impedisce ovviamente la possibilità di rinegoziare questo rapporto sia verso i singoli paesi sia le autorità centrali monetarie. La ragione di questi aggiustamenti è che si rendono necessari al variare delle condizioni di concorrenza dei sistemi produttivi e quindi una revisione semestrale è raccomandabile. Il limite rivelatosi con il primo serpente monetario (ERM1) fu quello che gli aggiustamenti dei corsi valutari non avveniva a brevi intervalli e che il margine di variazione consentito (-/+ 2 ? /%) era troppo limitato. Questo dette spazio alla speculazione di inserirsi in queste rigidità imponendo così rapporti reali di cambio maggiori di quelli previsti, come avvenne nel 1992 quando George Soros costrinse la Gran Bretagna e l'Italia a uscire dal serpente monetario. In conseguenza di questa crisi lo SME fu rinegoziato consentendo ai singoli Stati una più rapida reazione nell'aggiustamento dei corsi di cambio in caso di crisi valutaria e accrescendo il margine di variazione consentito del -/+ 15% (ERM2) rispetto al cambio concordato.

L'ERM2 è rimasto in vigore fino al 1999 e con risultati positivi per le economie e la Comunità Europea. L'introduzione dell'euro nel 1999 ha modificato questo sistema costituito oggi da 11 valute: le 10 valute nazionali e l'euro adottato da 17 paesi. Questo ha introdotto in tutto il sistema fattori di rigidità nei cambi con conseguenze negative per le singole economie e, per i paesi dell'eurozona in particolare, la perdita di autonomia nelle politiche economiche sancite nei vari trattati (Fiscal Compact, Patto di Stabilità, ecc.).  L'incapacità dei paesi europei di reagire alle conseguenze della crisi del 2008 ha origine in questo sistema divenuto una camicia di forza per i singoli paesi e la stessa UE.

Il buon senso dimostrato nelle precedenti occasioni suggerirebbe una reintroduzione dell'ERM3 con alcune integrazioni. Non c'è dubbio infatti che il margine di variazione previsto del -/+15% consentirebbe ai singoli paesi di difendersi verso le speculazioni. Inoltre, si potrebbe inserire una regola che obblighi i paesi con surplus nella bilancia dei pagamenti (Germania, Olanda, ecc.) a rivalutare la loro moneta il che può avvenire in varie forme tra cui il versamento di una quota (50%) del loro surplus a un Fondo europeo di solidarietà.


Politica ed economia nell'UE


La descrizione sin qui fatta e le conclusioni tratte corrispondono al contenuto essenziale delle varie proposte presentate in tal senso da economisti e movimenti. Il solo scopo è quello di ricordare che le proposte alternative e di buon senso esistono e che potrebbe aiutare a rimediare al clamoroso passo falso fatto con l'introduzione affrettata dell'euro. Resta allora da interrogarsi del perché la ripresa di un percorso di aggiustamenti graduali del sistema monetario europeo fatto durante i decenni appaia oggi impossibile e si scontri contro il macigno chiamato euro.

Il problema, a mio avviso, non risiede nell'assenza di proposte credibili e alternative, come molti keynesianicontinuano a credere cercando di affinare i loro modelli di analisi e le loro proposte e proponendosi come improbabili mediatori, ma nel fatto che un'autocritica degli economisti e delle istituzioni europee non può avvenire perché questi ritengono a ragione di non avere nulla da rimproverarsi. Il meccanismo messo in moto con l'euro è l'atto finale di una riforma dei sistemi finanziati e bancari, e della trasformazione del modo di produzione capitalistico introdotta con la Globalizzazione, che ha potentemente contributo alla creazione di un nuovo potere in Europa affermatosi con grande successo. Sono riusciti in pochi decenni a mettere fuori gioco ogni forma di pensiero e di politica sociale e di riforma dei sistemi europei, ricostruendo un sistema di produzione e di finanza sostenibile che sorregge il nuovo modello di economia introdotto con laGlobalizzazione dagli anni Settanta. Cioè un modello di "apartheid globale" la cui sostenibilità è data dalla coraggiosa restrizione delle aree e delle persone da includere nel modello di società e economia previsto. Dal Welfare al Warfare, passando per il Workfare, come illustrato nella letteratura degli ultimi decenni.

Il discorso, quindi, si sposta inevitabilmente sul terreno delle forze sociali e politiche che possono mettere in moto la ripresa di richiesta di un diverso progetto europeo basato sulla pace e sulla solidarietà. Il punto di partenza è rappresentato dalla divisione oggi esistente tra nord e sud dell'eurozona risultato delle politiche della Troika e dellagovernance europea.

Come ricreare un blocco politico e sociale che ristabilisca un dialogo tra queste due zone euro e capace quindi di contrastare i centri del potere finanziario e militare di cui la Troika è espressione? Movimenti sociali di reazione a queste politiche esistono oggi nei paesi del sud: Movimento 5 stelle in Italia, Indignatos in Spagna, Syriza in Grecia, ecc.. Espressioni visibili di un malessere sociale e di una richiesta di cambiamento molto più ampia che deve comprendere per intero la riscrittura dei Trattati europei da Maastricht in poi.

Superare la divisione nazionale di questi movimenti, creare una proposta politica per una nuova Europa che parta dalla più stretta cooperazione dei paesi del sud, e riconquistare gli spazi della cosa pubblica e del potere politico per un asse sud europeo capace di imporre una rinegoziazione con i paesi dell'area nord dell'euro. L'eurozona ha due elementi centrali: il mercato unico e la moneta. Entrambi vanno rinegoziati imponendo un sistema sulle linee indicate nel punto precedente. Il risultato più probabile di questa situazione potrebbe essere l'uscita della Germania e affiliati dalla zona euro prospettiva peraltro già ventilata; ma se questi paesi restano nell'UE si può tornare a forme di cooperazione monetaria del tipo indicato (ERM3). I paesi dell'Europa del sud potrebbero partecipare a questo sistema mantenendo strutture di rappresentanza politica e con monete nazionali, in linea con quanto fanno oggi i paesi dell'UE fuori dell'eurozona, oppure iniziando in modo autonomo un processo di cooperazione economica e politica che possa fare da modello a tutti gli altri paesi europei: un modello di cooperazione democratica e di economia sociale.

Di entrambi le soluzioni esistono precedenti significativi. L'Irlanda, già parte dell'area monetaria della sterlina, se ne è distaccata e successivamente è entrata a far parte della zona euro senza disastri economici o guerre civili ma mediante un processo di negoziazione possibile e attuato. Un paese dell'UE, la Cecoslovacchia, ha scelto di dividersi in due entità nazionali distinte e con due monete nazionali diverse. Entrambi gli Stati sono rimasti nell'UE, e l'introduzione di due monete nazionali non ha significato flagelli e disastri. Per questo chi preannuncia tempesta in caso di modifiche dei sistemi monetari o si reintroduzione di valute nazionali fa solo del terrorismo politico per affermare principi che non hanno altrimenti alcuna consistenza. Lo stesso si può affermare quando si auspica il costituirsi di un'area di più avanzata cooperazione tra i paesi dell'Europa del sud. Esempi simili già esistono come dimostra sia l'esistenza di un asse tedesco comprendente Germania, Olanda, Austria e Finlandia, sia la cooperazione dei paesi Baltici. Inoltre la ricostruzione di aree omogenee dentro il quadro dell'Europa deve costituire la linea rossa di una ricostruzione del progetto europeo su basi confederali tra le quattro maggiori aree europee (Paesi nordici, Europa occidentale, Europa Centrale e Europa Mediterranea). Questo allontanerebbe dall'Europa le nuvole nere della Globalizzazione e della centralizzazione dei poteri da questa espressi. Le forme monetarie di questa cooperazione dovranno essere funzionali a questo progetto, politicamente dipendenti da questo e dalle scelte dei singoli paesi e aree.


Tratto da: http://www.sinistrainrete.info/europa/3085-bruno-amoroso-i-falsi-dilemmi.html.

venerdì 29 novembre 2013

Il papa: liberismo? E' tirannia che svuota gli stati



da Keynesblog.

I media italiani ne hanno parlato poco, ma la nuova "esortazione apostolica" di papa Francesco, "Evangelii Gaudium" (La gioia del vangelo), contiene una potente critica al capitalismo finanziario. Cosa più rilevante, come vedremo, è che il nuovo pontefice non si limita ad un discorso generalmente moralistico, sebbene parta da considerazioni etiche la cui valenza che non può essere derubricata alla "predica" di un vecchio prete.


Scrive Bergoglio (enfasi nostra):
Così come il comandamento "non uccidere" pone un limite chiaro per assicurare il valore della vita umana, oggi dobbiamo dire "no a un'economia dell'esclusione e della inequità". Questa economia uccide. Non è possibile che non faccia notizia il fatto che muoia assiderato un anziano ridotto a vivere per strada, mentre lo sia il ribasso di due punti in borsa. [...]Oggi tutto entra nel gioco della competitività e della legge del più forte, dove il potente mangia il più debole. Come conseguenza di questa situazione, grandi masse di popolazione si vedono escluse ed emarginate: senza lavoro, senza prospettive, senza vie di uscita. [...] Non si tratta più semplicemente del fenomeno dello sfruttamento e dell'oppressione, ma  di qualcosa di nuovo: con l'esclusione resta colpita, nella sua stessa radice, l'appartenenza alla società in cui si vive [...]
Papa Francesco passa poi a criticare la dottrina della "ricaduta favorevole" (trickle-down) secondo la quale il mercato è capace da solo di redistribuire le ricchezze, facendole "ricadere" dai ricchi verso i meno abbienti. Secondo i sostenitori di queste teorie, che andavano particolarmente di moda durante l'era Reagan-Thatcher e che hanno dato una copertura ideologica alle "riforme", l'arricchimento di pochi è a beneficio di tutti. Bergoglio rifiuta questa impostazione liberista:
In questo contesto, alcuni ancora difendono le teorie della"ricaduta favorevole", che presuppongono che ogni crescita economica, favorita dal libero mercato, riesce a produrre di per sé una maggiore equità e inclusione sociale nel mondo. Questa opinione, che non è mai stata confermata dai fatti, esprime una fiducia grossolana e ingenua nella bontà di coloro che detengono il potere economico e nei meccanismi sacralizzati del sistema economico imperante
Da qui Bergoglio parte per un poderoso attacco alla finanziarizzazione dell'economia che individua l'origine della disuguaglianza nella negazione del controllo degli Stati sull'economia e sui mercati finanziari, accusati di essere una nuova "tirannia" che agisce tramite "il debito e i suoi interessi":
Mentre i guadagni di pochi crescono esponenzialmente, quelli della maggioranza si collocano sempre più distanti dal benessere di questa minoranza felice. Tale squilibrio procede da ideologie che difendono l'autonomia assoluta dei mercati e la speculazione finanziaria. Perciò negano il diritto di controllo degli Stati, incaricati di vigilare per la tutela del bene comune. Si instaura una nuova tirannia invisibile, a volte virtuale, che impone, in modo unilaterale e implacabile, le sue leggi e le sue regole. Inoltre, il debito e i suoi interessi allontanano i Paesi dalle possibilità praticabili della loro economia e i cittadini dal loro reale potere d'acquisto.
Sul lato delle politiche, il testo sembra spesso limitarsi all'invocazione dei buoni sentimenti su base volontaristica: "i ricchi devono aiutare i poveri, rispettarli e promuoverli. Vi esorto alla solidarietà disinteressata". Ma l'impressione dura poco e Bergoglio diventa subito "politico":
Non possiamo più confidare nelle forze cieche e nella mano invisibile del mercato. La crescita in equità esige qualcosa di più della crescita economica, benché la presupponga, richiede decisioni, programmi, meccanismi e processi specificamente orientati a una migliore distribuzione delle entrate, alla creazione di opportunità di lavoro, a una promozione integrale dei poveri che superi il mero assistenzialismo. Lungi da me il proporre un populismo irresponsabile, ma l'economia non può più ricorrere a rimedi che sono un nuovo veleno, come quando si pretende di aumentare la redditività riducendo il mercato del lavoro e creando in tal modo nuovi esclusi.[...]
Bergoglio infine invoca la rimozione delle ineguaglianze come "riforma strutturale" del capitalismo, sottolineando ancora che senza di ciò arriveranno nuove crisi (come del resto una parte considerevole della professione economica sostiene da tempo):
La necessità di risolvere le cause strutturali della povertà non può attendere, non solo per una esigenza pragmatica di ottenere risultati e di ordinare la società, ma per guarirla da una malattia che la rende fragile e indegna e che potrà solo portarla a nuove crisi. I piani assistenziali, che fanno fronte ad alcune urgenze, si dovrebbero considerare solo come risposte provvisorieFinché non si risolveranno radicalmente i problemi dei poveri, rinunciando all'autonomia assoluta dei mercati e della speculazione finanziaria e aggredendo le cause strutturali della inequità, non si risolveranno i problemi del mondo e in definitiva nessun problema. L'inequità è la radice dei mali sociali.
Non si tratta, è evidente, di iscrivere Francesco alla "sinistra", tanto meno a quella "anticapitalista". Piuttosto l'Evangelii Gaudiumdovrebbe far riflettere quanti, nominalmente a sinistra e magari provenienti dal PCI, sono stati scavalcati a sinistra dal papa.

Il testo dell'esortazione "Evangelii Gaudium" di papa Francesco.

 http://keynesblog.com/2013/11/27/per-il-papa-il-liberismo-e-una-tirannia-che-svuota-di-potere-gli-stati/#more-4993.

La grande ritirata dall’Europa, ,,,,,,,solo l'Italia sta là a pensare



di Adriana Cerretelli, Il Sole 24 Ore, 28 novembre 2013

Sono anni che lo spirito europeo ha preso una brutta piega in Europa. Un quinquennio di crisi dell'euro poi, se non l'ha distrutto, ci è andato molto vicino. Quella pericolosa deriva ora però fa un salto di qualità ulteriore e spudorato: da stato d'animo diffuso si sostanzia in azioni, politiche e leggi nazionali. Tutte anti-europee e anti-mercato unico.
La disgregazione esce dalle parole per entrare nei fatti concreti. Paradossalmente, tra l'altro, mentre anche la retorica ufficiale tedesca celebra l'uscita della moneta comune dalla "terra incognita" per approdare su lidi più sicuri. L'involuzione colpisce in Germania come in Gran Bretagna ma il contagio lambisce anche Austria, Olanda e Paesi scandinavi, il pianeta dei ricchi dove nazionalismi ed estremismi sgomitano più che altrove.

Mentre si sgrana senza fare scalpore, c'è poco da stupirsi se l'Europa da tempo ha smesso di essere la calamita del continente. Al punto da ritrovarsi snobbata, sul fronte Nord, dalla piccola Islanda già impegnata nei negoziati di adesione e, su quello orientale, dalla minuscola Armenia nonché dalla grande Ucraina dopo ben sei anni di trattative per arrivare a un accordo di associazione e libero scambio.

Colpa dei ricatti di Vladimir Putin? Certo. Anche negli anni '90 però la Russia aveva disperatamente remato contro un altro partenariato orientale della Ue e della Nato senza però riuscire a fermare l'allargamento a Est di entrambe. Altri tempi, altri leader, altra Europa (e altra America), altri investimenti politici e finanziari nell'avventura della riunificazione europea.

Se oggi l'Europa perde sempre più consensi, seduce sempre meno in casa i propri cittadini, figuriamoci fuori. Ma il sentimento non è ingiustificati. Gli schiaffi non sono per caso. La cronaca di queste ore accumula nuovi segnali di sgretolamento dell'edificio europeo, eroso nelle sue fondamenta da egoismi nazionali e logiche di arroccamento.
Che dire infatti della patto costitutivo della grande coalizione in Germania che finalmente sblocca oltre sei mesi di paralisi della vita europea ma al tempo stesso annuncia l'imposizione di un pedaggio sulle autostrade tedesche applicabile ai soli stranieri che le percorrono? Misura discriminatoria, quasi certamente alla fine verrà bocciata da Bruxelles ma il fatto stesso che sia stata concepita e blindata nel patto di coalizione in barba al mercato unico e ai suoi principi di libera circolazione delle persone, delle merci, dei capitali e dei servizi, la dice lunga sul modo in cui oggi a Berlino si guardano e gestiscono macchina e responsabilità europee.

I nuovi mini-standard ecologici per l'auto Ue, le resistenze all'uso dell'anti-dumping contro i cinesi, quelle per impedire la tutela del "made in", il bilancio pluriennale Ue ridotto in termini reali sono alcune delle altre facce degli egoismi industriali e/o dello strisciante disimpegno tedesco in Europa. Del resto chi si illudeva che il ritorno dei socialdemocratici al governo avrebbe ammorbidito le politiche di rigore di Angela Merkel si ritrova smentito su tutta la linea: niente allentamenti, né mutualizzazione dei debiti né solidarietà finanziaria Ue nell'unione bancaria se non come ultimissima spiaggia. Silenzio sulla crescita europea (che non c'è). Invece contratti Ue vincolanti sulle riforme degli altri.

Forse la ritirata inglese è meno scandalosa perché in fondo da anni ampiamente mitridatizzata dal tessuto europeo. Però fa ancora un certo effetto sentire David Cameron annunciare futura libertà di movimento "ponderata" per gli immigrati Ue - non extra-comunitari - a poche settimana dalla fine delle restrizioni in vigore per rumeni e bulgari. Dal 2014 flussi e test di eligibilità più regolamentati per gli aiuti pubblici a alloggi e disoccupati. Per i nuovi arrivati niente sussidi di disoccupazione per tre mesi. Superato il test, sussidi solo per sei mesi, a meno che non dimostrino di avere serie prospettive di lavoro. Espulsione per senza tetto e mendicanti con divieto di reingresso per un anno. Idee analoghe, secondo il premier inglese, sono in gestazione in Germania, Olanda e Austria.

Europa, se ancora ci sei, batti un colpo, verrebbe da dire. Già, ma quale Europa? E poi a chi rivolgere l'appello?

(28 novembre 2013)

Desecretare i dossier sui rifiuti


di A. Palladino e A. Tornago
Sono più di seicento i dossier segreti dell'ultima commissione bicamerale d'inchiesta sui rifiuti coperti dal segreto parlamentare. Migliaia di pagine che neanche i deputati e i senatori possono oggi consultare. Un tesoro di verità nascoste che si aggiunge ad un numero simile di dossier accumulato nelle due precedenti commissioni, quella presieduta da Massimo Scalia e quella guidata da Paolo Russo.
Rapporti firmati nella stragrande maggioranza dai due servizi di intelligence italiani, l'Aisi e l'Aise, sigle che nel 2007 hanno sostituito il Sisde e il Sismi. E ancora, una fitta corrispondenza tra il Copasir diretto da Massimo D'Alema e la commissione presieduta da Gaetano Pecorella, con oggetto le «navi dei veleni», i traffici con la Somalia e la figura dell'imprenditore Giorgio Comerio, l'uomo che voleva affondare negli anni '90 le scorie radioattive in fondo al mare.

La lista degli omissis
Greenpeace - dopo la desecretazione dei verbali di Carmine Schiavone - ha chiesto nei giorni scorsi al presidente del Senato Pietro Grasso e della Camera Laura Boldrini di aprire definitivamente le porte degli archivi, rendendo pubbliche le migliaia di pagine accumulate durante i lavori parlamentari.
La lettera - firmata dal direttore esecutivo Giuseppe Onufrio - ricorda come «di "misteri irrisolti" italiani ce ne sono fin troppi». Per poi proseguire: «La Commissione parlamentare d'inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti ha raccolto una mole considerevole di atti e testimonianze che, sebbene non decisivi a livello giudiziario, ha contribuito a far luce su errori, omissioni, trascuratezze che hanno segnato il percorso pressoché impunito di individui che, in base a molti indizi, tracce e riscontri obbiettivi, apparivano come elementi di una rete di trafficanti che percorrevano i diversi sentieri del contrabbando di sigarette e di armi, di tecnologie avanzate e rifiuti, con solide basi e referenti finanziari all'estero».
Imprenditori, mediatori, broker che muovevano navi nel Mediterraneo, partendo da porti strategici come quello di La Spezia, di Marina di Carrara, di Livorno, di Talamone, su rotte dirette verso i paesi africani, come la Somalia. Contaminando milioni di persone, sversando - come dimostrato ampiamente da diverse inchieste giudiziarie e giornalistiche - i veleni delle «grandi marche» europee sulle spiagge di Koko in Nigeria, nell'entroterra di Beirut, a Puerto Cabello in Venezuela e nel nord del Corno d'Africa, zona tradizionalmente sotto l'influenza italiana.
Rotte di rifiuti e molto spesso di armi, trame che hanno visto la partecipazione - o almeno la vigilanza discreta - dei nostri servizi di sicurezza. Chiara, alla fine, la richiesta di Greenpeace: «Per tale ragione La preghiamo di adoperarsi affinché tutti i materiali acquisiti in oltre dieci anni di attività dalla Commissione, sui traffici internazionali di rifiuti e sulle cosiddette "navi a perdere" vengano resi pubblici, inclusi quelli ancora sottoposti a segretezza».

I silenzi dei servizi segreti
Un passo avanti lo aveva fatto la commissione guidata da Gaetano Pecorella alla fine della scorsa legislatura, desecretando le audizioni dei vertici dei servizi segreti italiani. Di fronte ai commissari parlamentari nel 2011 si sono presentati l'ex direttore del Sismi Sergio Siracusail direttore dell'Aise Adriano Santini e quello dell'Aisi Giorgio Piccirillo, proponendo una lunga serie di «non so», «non ho memoria», al punto da far concludere la commissione bicamerale con una nota di censura nei confronti della «dedotta ignoranza ufficiale dei servizi» dovuta «a negligenza o a ragioni inconfessabili».
Nel corso dell'audizione al generale Siracusa, ad esempio, Gaetano Pecorella cita un documento del Sismi del 2004 in cui risulterebbero contatti avvenuti tra gli anni '90 e il 2001 tra Giorgio Comerio e il personale dell'ottava divisione del Sismi, grazie all'interessamento della Guardia di Finanza. Non solo dunque l'ingegnere delle scorie nucleari sarebbe stato «attenzionato» dai servizi - come vorrebbe la verità «ufficiale» - ma avrebbe avuto contatti con i funzionari per instaurare un rapporto fiduciario con l'intelligence italiana. Peccato che quel documento sia sottoposto a segreto. Come l'informativa del Sismi del 2 agosto 1995 in cui il servizio militare farebbe riferimento a un «traffico abusivo di rifiuti radioattivi» e a una «nave di Comerio»:quale nave?
Nell'estate del '95, snodo cruciale delle indagini sulle navi a perdere, il legame tra Giorgio Comerio e l'affondamento delle navi era un risultato investigativo strettamente riservato dovuto al lavoro di Natale De Grazia - l'ufficiale della marina morto per «causa tossica» durante le indagini il 13 dicembre del 1995 - e degli agenti della Forestale di Brescia.
Dunque i servizi si sono in realtà occupati delle navi scomparse? Oppure il documento spiegherebbe le denunce degli investigatori che ricordano di essere stati inseguiti e controllati da «apparati occulti» nei mesi che precedono la morte di De Grazia?Anche sul documento 294/27, però, c'è il segreto.

Somalia connection
Non è possibile, poi, leggere la fitta letteratura sulla Somalia e sui traffici di armi e rifiuti che hanno coinvolto il nostro paese. Al «manifesto» risulta che almeno una decina di fascicoli sul paese del Corno d'Africa sarebbero stati inviati dal Copasir diretto da Massimo D'Alema alla commissione bicamerale d'inchiesta sui rifiuti. Su tutti questi documenti c'è il vincolo del segreto. Come ancora segreti sono moltissimi dossier contenuti negli atti della commissione parlamentare d'inchiesta sulla morte di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin.
E qui c'è un'evidente contraddizione: i servizi di sicurezza hanno sempre affermato di non sapere nulla sui viaggi verso la Somalia. Eppure i loro archivi sarebbero infarciti di documentazione riservata, nonostante siano ormai passati quasi vent'anni dall'agguato di Mogadiscio che colpì la giornalista e l'operatore del Tg3.
Per il momento le presidenze del Senato e della Camera non commentano ufficialmente la richiesta arrivata da Greenpeace. La procedura prevede l'avvio di una istruttoria interna per stabilire se la divulgazione delle carte segrete possa creare problemi ad inchieste giudiziarie. Una procedura che è stata seguita prima di desecretare il verbale di Carmine Schiavone. In quel caso il testo dell'audizione è stato inviato per un parere alla Direzione nazionale antimafia, che - in pochi giorni - ha dato il proprio assenso.In questo caso il segreto è stato imposto, probabilmente, dai servizi d'intelligence italiani ed è probabile che a loro verrà chiesto il consenso alla divulgazione. Sarà una verifica importante per capire la trasparenza degli apparati di sicurezza civile e militare, forse la prima dopo la riforma del 2007.

giovedì 28 novembre 2013

Il discorso di Paola Taverna nel giorno della decadenza di Berlusconi - video

27 novembre 2013, aula del Senato, ore 16.20. Paola Taverna legge il suo discorso in aula nel giorno della decadenza da Senatore di Silvio Berlusconi.
Signor Presidente,
Onorevoli Colleghi,


si chiude, oggi, impietosamente, una «storia italiana»: segnata dal fallimento politico, dall'imbarbarimento morale, etico e civile della Nazione e da una pesantissima storia criminale. Storie che si intrecciano, maledettamente, ai danni di un Paese sfinito e che riconducono ad un preciso soggetto, con un preciso nome e cognome: Silvio Berlusconi.
La sua lunga e folgorante carriera l'abbiamo già ricordata in passato: un percorso umano e politico costellato di contatti e rapporti mai veramente chiariti con la Mafia, passando per società occulte, P2, corruzione in atti giudiziari, corruzione semplice, concussione, falsa testimonianza, finanziamento illecito, falso in bilancio, frode fiscale, corruzione di senatori, induzione alla prostituzione, sfruttamento della prostituzione e prostituzione minorile. Insomma un delinquente abituale, recidivo e dedito al crimine, anche organizzato, visti i suoi sodali. Ideatore, organizzatore e «utilizzatore finale» dei reati da lui commessi.
Senatore Berlusconi, anzi Signor Berlusconi
Forse alcuni hanno dimenticato che la sua "discesa in campo" ha avuto soprattutto, per non dire esclusivamente, ragioni imprenditoriali: la situazione della Fininvest nei primi anni novanta, con più di 5 mila miliardi di debiti, parlava fin troppo chiaro. Il rischio di bancarotta era dietro l'angolo. Alcuni suoi dirigenti vedevano come unica via d'uscita il deposito dei libri contabili in tribunale.
La cura Forza Italia è stata fantastica per le sue finanze. Perché, ricordiamolo, lei non è entrato in politica per il bene di questo paese, come declamava da dietro una scrivania su tutte le SUE televisioni.
Le elezioni politiche del 1994 hanno segnato l'inizio di una carriera parlamentare ILLEGITTIMA, sulla base della violazione di una legge vigente sin dal '57, la 361, secondo la quale Silvio Berlusconi era ed è palesemente ineleggibile. Quella legge che non è mai stata applicata, benché fosse chiarissima, grazie alla complicità «inciucista» del Centro-Sinistra di «D'Alemiana» e «Violantiana» memoria. Per non parlare dell'eterna promessa, mai mantenuta, di risolvere il conflitto di interessi. E tutto ciò è avvenuto non per ragioni giuridiche, come ora qualcuno mentendo vorrebbe farci credere, ma per onorare patti scellerati, firmati sottobanco per dividersi le spoglie di un Paese.
Forse qualcuno si indignerà urlando che queste sono semplici illazioni...lasciamo che sia la storia a rispondere: Camera dei Deputati, 28 febbraio 2002, resoconto stenografico della seduta n. 106 della XIV Legislatura... queste le parole dell'Onorevole Luciano Violante, al tempo capogruppo dei DS, oggi PD, mentre si rivolge a un collega dell'apparentemente opposto schieramento: "l'onorevole Berlusconi sa per certo che gli è stata data la garanzia piena, e non adesso, nel 1994, che non sarebbero state toccate le televisioni quando ci fu il cambio di Governo. Lo sa, lo sa lui e lo sa l'onorevole Letta («zio»). Voi ci avete accusato di regime nonostante, ripeto, non avessimo fatto il conflitto di interessi, avessimo dichiarato eleggibile Berlusconi nonostante le concessioni, avessimo aumentato durante il centrosinistra il fatturato di Mediaset di 25 volte".
Questa è storia. Come storia è la sua discesa in campo fatta di promesse mai mantenute, dal taglio delle tasse al milione di posti di lavoro. Ma non era lei l'imprenditore illuminato che avrebbe salvato l'Italia? Anzi l'azienda Italia? Quello che doveva pensare alla "cosa pubblica"?
Dal suo discorso del 1994: "la vecchia classe politica è stata travolta dai fatti e superata dai tempi"... l'autofondamento dei vecchi governanti, schiacciati dal debito pubblico e dal finanziamento illegale dei partiti lascia il paese impreparato e incerto nel momento difficile del rinnovamento e del passaggio ad una nuova Repubblica".
Incredibile ma vero... sono proprio sue parole.... potrà sorgerci però legittimamente il dubbio che lei si sia preso gioco di noi per 20 anni?
E ancora adesso. Due mesi fa abbiamo visto diversi Ministri, in suo nome, presentare le dimissioni, dando inizio al siparietto della prima crisi di un Governo nato precario.
Per non parlare della legge di Stabilità che giaceva ormai da settimane nella V Commissione, in totale spregio di quanto previsto dalla procedura. Ieri ne abbiamo visto la triste conclusione: fiducia... fiducia verso chi e verso cosa?
Lo vogliamo dire agli italiani che la legge che dovrebbe assicurare i conti, ma soprattutto garantire la ripartenza economica del nostro paese, la sua "stabilità" appunto, è stata svilita e degradata a semplice espediente dilatorio per farle guadagnare qualche altro giorno in carica?
Vogliamo ricordar loro, inoltre, i due bei regali che riceverà a spese di tutti noi contribuenti? Assegno di "solidarietà" pari a circa 180.000 euro. Assegno vitalizio, circa a 8.000 euro al mese.
C'è bisogno poi di ricordare perché ancora oggi qualcuno, nonostante l'evidenza dei fatti, nonostante una sentenza passata in giudicato, voglia un voto, uno stramaledetto voto, per applicare una legge? Ha senso ribadire lo sfacelo di 20 anni di indottrinamento fondato sull'apparire, sul dire e non sul fare? Sull'avere e non sull'essere?
Anche nell'ultimo atto della sua storia parlamentare, comunque, riuscirà a segnare un record. L'illegittimità e l'indegnità della sua carica senatorialesono addirittura triple: incandidabilità sopravvenuta, ineleggibilità e interdizione dai pubblici uffici per indegnità morale. Un vero capolavoro!
Questo Senato, poi, sentirà una enorme mancanza dell'operato parlamentare del Signor Berlusconi. Dall'inizio della legislatura, i dati dimostrano la sua dedizione al lavoro in questa istituzione; dimostrano la passione con cui ha interpretato il proprio mandato nell'interesse del Paese.
Disegni di legge presentati: zero!
Emendamenti presentati: zero!
Ordini del giorno presentati: zero!
Interrogazioni: zero!
Interpellanze: zero!
Mozioni: zero!
Risoluzioni: zero!
Interventi in Aula: uno, il 2 ottobre, per annunciare la fiducia al Governo!
Interventi in Commissione: zero!
Presenze in Aula: zero virgola zero uno per cento!
Di cosa stiamo discutendo quindi? Della decadenza dalla carica di Senatore di un personaggio che il suo mandato non lo ha mai, neppur lontanamente, svolto. Di un signore che però ha puntualmente portato a Palazzo Grazioli e ad Arcore ben 16 mila euro al mese! Per non fare assolutamente nulla, se non godere dell'immunità parlamentare.
In questi 20 anni lei è stato:
4 volte presidente del Consiglio dei Ministri
Presidente del Consiglio dell'Unione Europea
2 volte Ministro dell'Economia e delle Finanze
1 volta Ministro dello Sviluppo Economico
Ministro degli Affari Esteri
Ministro della Salute.
Soprattutto, è stato il Presidente del Consiglio che ha mantenuto per più tempo la carica di Governo e che ha disposto della più ampia maggioranza parlamentare della storia.
Un immenso potere, svilito e addomesticato esclusivamente ai propri fini, cioè architettare reati e incrementare il suo personale patrimonio economico.
Quante cose avrebbe potuto fare per questo nostro paese, se solo avesse anteposto il bene comune ai suoi interessi personali? Le riforme strutturali alle leggi ad personam? E invece... dopo tutto questo tempo ci ritroviamo con la disoccupazione giovanile al 40%, pensionati a 400 euro mensili, nessun diritto alla salute, nessun diritto all'istruzione, un territorio devastato dalle Alpi alla Sicilia, le nostre città sommerse dalle piogge e le nostre campagne avvelenate... era il 1997 quando Schiavone veniva a denunciare dove erano stati riversati quintali di rifiuti tossici... lo stesso anno in cui questo Stato decise di segretare tali informazioni.
E tutto ciò con l'Iva al 22% e un carico fiscale che si conferma il più alto d'Europa, pari al 65,8% dei profitti commerciali... e gli imprenditori che si suicidano per disperazione. Spesso nemmeno per i debiti... ma per i crediti non pagati dalla pubblica amministrazione, cioè dallo STATO stesso!!!!
Di tutto questo lei non sembra preoccuparsi. La decadenza di un intero paese sembra non interessarle minimamente: conta solo la sua, giusto? Ha il terrore di espiare la propria pena ai servizi sociali, di svolgere mansioni che ritiene "non alla sua altezza". Beh, sappia che quelli sono lavori che centinaia di migliaia di italiani perbene svolgono con una dignità e un'onestà che lei può solo sognare!!!
Le auguriamo che questa possa essere, invece, un'occasione per uscire dal suo mondo dorato. Così, forse, potrà rendersi conto del disastro e del baratro in cui i cittadini normali si trovano, a causa del sistema da lei generato e alimentato.
Questo però non deve essere un discorso di rabbia. Questo vuole essere un discorso di speranza. Perché stiamo già percorrendo, a grandi passi, la lunga e faticosa strada del cambiamento.
8 settembre 2007. Il Primo V-day. Il giorno in cui abbiamo presentato l'iniziativa "Parlamento Pulito". Riforme semplici e chiare: nessun condannato in Parlamento, un massimo di due legislature, ripristino della preferenza diretta.
350.000 firme di cittadini raccolte in un solo giorno. Firme che, da allora, sono state prima ignorate, derise, e poi completamente dimenticate.
Speravate che ci saremmo arresi. Che, per l'ennesima volta, ci saremmo abbandonati ai due mali più terribili dell'Italia. La rassegnazione e il fatalismo.
Beh, vi sbagliavate.
Ci avete costretti ad entrare nelle istituzioni per combattere quella che non è solo la nostra battaglia, ma è la battaglia di tutti i cittadini onesti.
Una battaglia che prima di essere politica è soprattutto ETICA.
Stiamo cominciando a raggiungere il nostro scopo: riportare nella politica trasparenza e legalità. La classe partitica italiana è stata costretta a votare la legge Severino, ponendo qualche "paletto" alla candidabilità degli improponibili: si poteva e si doveva fare meglio. Ma è già un segnale.
Si è tentato di dichiararla anticostituzionale per non applicarla a una persona che si ritiene al di sopra della giustizia. Ma il MoVimento 5 Stelle ha tenuto altissima l'attenzione dell'opinione pubblica, spingendo anche le altre forze politiche a reagire per non essere travolte dall'indignazione popolare.
La nostra presenza in quest'aula, oggi, rappresenta un solo, semplice concetto: non vogliamo chiamarci politici ma restituire il potere ai cittadini.
Signor Berlusconi accetti la decadenza o rassegni le sue dimissioni!
Questa non è una vendetta. Qui non c'è nessuna ingiustizia o persecuzione.La sua immagine per noi è già piccola, sfuocata e lontana. È già passato. E qui ci sono solo cittadini italiani che vogliono riprendersi il proprio presente. Perché altrimenti non avranno più un futuro.
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E ora liberiamoci dal berlusconismo



di Barbara Spinelli, da Repubblica, 27 novembre 2013
La tentazione sarà grande, dopo il voto sulla decadenza di Berlusconi al Senato, di chiudere il ventennio mettendolo tra parentesi. È una tentazione che conosciamo bene: immaginando d'aver cancellato l'anomalia, si torna alla normalità come se mai l'anomalia - non fu che momentanea digressione - ci avesse abitati.

Nel 1944, non fu un italiano ma un giornalista americano, Herbert Matthews, a dire sulla rivista Mercurio di Alba de Céspedes: "Non l'avete ucciso!" Tutt'altro che morto, il fascismo avrebbe continuato a vivere dentro gli italiani. Non certo nelle forme di ieri ma in tanti modi di pensare, di agire.

L'infezione, "nostro mal du siècle", sarebbe durata a lungo: a ciascuno toccava "combatterlo per tutta la vita", dentro di sé. Lo stesso vale per la cosiddetta caduta di Berlusconi. È un sollievo sapere che non sarà più decisivo, in Parlamento e nel governo, ma il berlusconismo è sempre lì, e non sarà semplice disabituarsi a una droga che ha cattivato non solo politici e partiti, ma la società. Sylos Labini lo aveva detto, nell'ottobre 2004: "Non c'è un potere politico corrotto e una società civile sana". Fosse stata sana, la società avrebbe resistito subito all'ascesa del capopopolo, che fu invece irresistibile: "Siamo tutti immersi nella corruzione", avvertì Sylos. La servitù volontaria a dominatori stranieri e predatori ce l'abbiamo nel sangue dal Medioevo, anche se riscattata da Risorgimento e Resistenza. La stessa fine della guerra, l'8 settembre '43, fu disastrosamente ambigua: "Tutti a casa", disse Badoglio, ma senza rompere con Hitler, permettendogli di occupare mezza Italia. Tutte le nostre transizioni sono fangose doppiezze.

Dico cosiddetta caduta perché il berlusconismo continua, dopo la decadenza. Il che vuol dire: continua pure la battaglia di chi aspira a ricostruire, non solo stabilizzare la democrazia. Il ventennio dovrà essere finalmente giudicato: per come è nato, come ha potuto attecchire. Al pari di Mussolini non cadde dal cielo, non creò ma aggravò la crisi italiana. Nel '94 irruppe per corazzare la cultura di illegalità e corruzione della Dc, di Craxi, della P2, e debellare non già la Prima repubblica ma la rigenerazione (una sorta di Risorgimento, anche se trascurò la dipendenza del Pci dall'oro di Mosca) avviata a Milano da Mani Pulite, e poco prima a Palermo da Falcone e Borsellino.

Il berlusconismo resta innanzitutto come dispositivo del presente. Anche decaduto, assegnato ai servizi sociali, il leader di Forza Italia disporrà di due armi insalubri e temibili: un apparato mediatico immutato, e gli enormi (Sylos li definiva mostruosi) mezzi finanziari. Tanto più mostruosi in tempi di magra. Assente in Senato, parlerà con video trasmessi a reti unificate. E in campagna elettorale avrà a fianco la destra di Alfano: nessuno da quelle parti ha i suoi mezzi, la sua maestria. Monti contava su 15-16 punti, prima del voto a febbraio. Alfano solo su 8-9 punti. La scissione potrebbe favorire Berlusconi, e farlo vincere contro ogni nuova gioiosa macchina di guerra.

Ma ancora più fondamentale è l'eredità culturale e politica del ventennio: i suoi modi di pensare, d'agire, il mal du siècle che perdura. Senza uno spietato esame di coscienza non cesseranno d'intossicare l'Italia.
Il conflitto d'interessi in primis, e l'ibrido politica-affarismo: ambedue persistono, come modus vivendi della politica. La decadenza non li delegittima affatto. La famosa legge del '57 dichiara ineleggibili i titolari di importanti concessioni pubbliche (la Tv per esempio): marchiata di obsolescenza, cade nell'oblio. Sylos Labini sostenne che fu l'opposizione a inventare il trucco per aggirarla. Non fu smentito. L'onta non è lavata né pianta.

Altro lascito: la politica non distinta ma separata dalla morale, anzi contrapposta. È un'abitudine mentale ormai, un credo epidemico. Già Leopardi dice che gli italiani sono cinici proprio perché più astuti, smagati, meno romantici dei nordici. Non sono cambiati. Ci si aggrappa a Machiavelli, che disgiunse politica e morale. Ci si serve di lui, per dire che il fine giustifica i mezzi. Ma è un abuso che autorizza i peggiori nostri vizi: i mezzi divengono il fine (il potere per il potere) e lo storcono. Il falso machiavellismo vive a destra, a sinistra, al Quirinale. La questione morale, poco pragmatica, soffre spregio. Berlinguer la pose nel '77: nel Pd vien chiamata una sua devianza fuorviante.

Anche il mito della società civile è retaggio del ventennio: il popolo è meglio dei leader, i suoi responsi sovrastano legalmente i tribunali. Democraticamente sovrano, esso incarna la volontà generale, che non erra. Salvatore Settis critica l'ambiguità di questa formula-passe-partout: è un'"etichetta legittimante, che designa portatori di interessi il cui peso è proporzionale alla potenza economica, e non alla cura del bene comune; tipicamente, imprenditori e banchieri che per difendere interessi propri e altrui si degnano di scendere in politica", ritenendo inabili politici e partiti. Non solo: la società civile "viene spesso intesa non solo come diversa dallo Stato, ma come sua avversaria; quasi che lo Stato (identificato con i governi pro tempore) debba essere per sua natura il nemico del bene comune". (Azione popolare, Einaudi 2012, pp. 207, 212).

Così deturpata, la formula ha fatto proseliti: grazie all'uso oligarchico della società civile (o dei tecnici), la politica è vieppiù screditata, la cultura dell'amoralità o illegalità vieppiù accreditata. Il caso Cancellieri è emblematico: la mala educazione diventa attributo di un'élite invogliata per istinto a maneggiare la politica come forza, contro le regole. A creare artificiosi stati di eccezione permanente, coincidenze perfette fra necessità, assenza di alternative, stabilità.

Simile destino tocca alla laicità, non più tenuta a bada ma aborrita nel ventennio. Il pontificato di Francesco non aiuta, perché la Chiesa gode di un pregiudizio favorevole mai tanto diffuso, perfino su temi estranei alla promessa "conversione del papato". Difficilmente si faranno battaglie laiche, in un'Italia politica che mena vanto della dipendenza dal Vaticano. La nuova destra di Alfano è dominata da Comunione e Liberazione. Dai tempi di Prodi, i democratici evitano di smarcarsi sulla laicità. Tutti i leader del momento (Letta, Alfano, Renzi) vengono dalla Dc o dal Partito popolare. Diretto com'è da Napolitano, il Pd non ha modo di liberarsi del ventennio (a che pro le primarie quando è stato il Colle a dettare la linea sul caso Cancellieri?). Permane la vergogna d'esser stati anticapitalisti, antiamericani, anticlericali (l'ultima accusa è falsa da sessantasei anni: fu Togliatti ad accettare l'innesto nella Costituzione dei Patti Lateranensi di Mussolini).

Infine l'Europa. Nel discorso ai giovani di Forza Italia, Berlusconi ha cominciato la sua campagna antieuropea, deciso a svuotare Cinque Stelle. La ricostruzione della sua caduta nel 2011 è un concentrato di scaltrezza: sotto accusa l'Unione, la Germania, la Francia. Ancora una volta, con maestria demagogica, ha puntato il dito sul principale difetto italiano: la Serva Italia smascherata da Dante.

No, Berlusconi non l'abbiamo cancellato. Perché la società è guasta: "Siamo tutti immersi nella corruzione". Da un ventennio amorale, immorale, illegale, usciremo solo se guardando nello specchio vedremo noi stessi dietro il mostro. Altrimenti dovremo dire, parafrasando Remarque: niente di nuovo sul fronte italiano. La guerra civile ed emergenziale narrata da Berlusconi ha bloccato la nostra crescita civile oltre che economica, e perpetuato la "putrefazione morale" svelata da Piero Calamandrei. Un'intera generazione è stata immolata a finte stabilità. La decadenza di Berlusconi, se verrà, è un primo atto. Sarà vana, se non decadrà anche l'atroce giudizio di Calamandrei.

(27 novembre 2013)

mercoledì 27 novembre 2013

Abolizione Irap? Forza Italia come il Pd vota NO!

Sentinelle del fisco...o di un frodatore del fisco? Tutti i partiti hanno bocciato la proposta del Movimento 5 Stelle per abolire l'Irap per le micro imprese. Il "no" è arrivato anche dagli esponenti di Forza Italia che a parole tuonano contro le tasse, nei fatti sanno solo difendere il loro capo che ha frodato il fisco.
La proposta di abolizione dell'Irap per tutte le imprese con meno di 10 occupati ed un fatturato fatturato annuo o un totale di bilancio-annuo non superiore a 2 milioni di euro, era contenuta in uno dei 281 emendamenti alla legge di stabilità presentati dal Movimento 5 Stelle. Prendeva spunto dallaproposta di legge depositata alla Camera a prima del nostro portavoce Mattia Fantinati.
La bocciatura da parte di Pd, Forza Italia, Nuovo Centro Destra, è ancora più grave se si pensa che la misura aveva la necessaria copertura finanziaria. Copertura certificata dall'ammissibilità del presidente della Commissione Bilancio del Senato e dai tecnici e funzionari del settore Bilancio del Parlamento.
Questi i fatti. Ai piccoli imprenditori, artigiani, commercianti, liberi professionisti che non ce la fanno più le conclusioni.
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