di Claudio Messora
Nel medioevo c’erano i laboratores, gli oratores e i bellatores. Anche oggi abbiamo questa tripartizione: i nuovi oratores sono il clero giornalistico e il circo mediatico, i quali svolgono una funzione analoga a quella dell’antico clero, perché formano i quadri ideologici di glorificazione del nuovo assoluto, cioè l’economia capitalistica trasformata in monoteismo del mercato e della produzione e santificata come il migliore dei mondi possibili. “Non avrai altra società all’infuori di questa“, è il grande comandamento che i nuovi oratores pronunciano senza tregua.
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I nuovi bellatores post-moderni del nuovo feudalesimo sono invece le stesse oligarchie finanziarie che, disponendo di un valore di scambio immenso e sempre crescente, producono la finanziarizzazione dell’economia e mirano ad abbattere, spesso con bombardamenti etici e con nuove crociate – non a caso -, ogni limite alla mondializzazione del mercato, rimuovendo le frontiere, i confini e producendo il piano liscio dell’unico mercato globale coincidente con il mondo.
Infine abbiamo i nuovi laboratores, che sono le masse dei lavoratori migranti e precari, costrette non solo a condizioni sempre più abiette e a una subalternità sempre più oscena, ma anche a una dipendenza che si fa ogni giorno più intensa e sempre più prossima a quella dell’antica servitù feudale. Noto per inciso che la parola precariato deriva dal latino “prex” (preghiera) e indica una condizione di subalternità in forza della quale il precario, per poter continuare a lavorare e quindi a esistere, deve dipendere, pregando, dalla volontà di chi gli concede il posto di lavoro.
Quindi una situazione davvero di rifeudalizzazione integrale, che implica un’asservimento sempre più radicale, che in altri tempi mai sarebbe stato concepibile. Una vera e propria rifeudalizzazione che emerge anche dall’aspetto seguente. Sappiamo che la grande narrazione universalizzante del mondo medioevale era quella della “Cristianitas“, cioè del mondo intero ridotto sotto l’unificazione cristiana. Oggi, nel nuovo feudalesimo del finanz-capitalismo, questa ideologia universalizzante si ridispone come ideologia della globalizzazione che, come hanno mostrato ad esempio Fredric Jameson e David Harvey nei loro studi sul postmodernismo, diventa la nuova forma dell’imperialismo del capitalismo contemporaneo, che non coincide affatto con l’irenica estensione dei diritti al mondo intero, ma invece coincide con una pratica di inclusione coattiva di tutti i popoli del pianeta all’interno dell’unico modello globalizzato della produzione e del mercato, coincidente appunto con la mondializzazione capitalistica.
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