di Andrea Spartaco
Energy citizens, fake grassroots groups, anziani con poca voglia di socializzare, uomini allergici all'informazione, giovani donne a basso reddito, e soprattutto le generazioni future. Tra istruzione e manipolazione della società un dossier della Union of Concerned Scientists con centinaia di documenti interni svela i trucchi usati dalle lobby per convincere politici e persone che le corporation dei combustibili fossili sono la cosa migliore per il pianeta.
Soldi per comprare mass media e zittire scuole. Nel 1998 un team dell'American Petroleum Institute (Api, ndr), una delle maggiori associazioni di categoria dei petrolieri che include BP, ConocoPhillips, Chevron, ExxonMobil, e Shell, scrisse un documento dal titolo "Global Climate Science Communications Plan".
Era il piano operativo elaborato col diretto coinvolgimento delle multinazionali del petrolio che specificava le operazioni commerciali per "confondere e disinformare il pubblico" sugli effetti negativi che i gas serra immessi in atmosfera dall'essere umano avevano. Perfino l'associazione di categoria degli insegnanti statunitense era tra gli obiettivi. Del resto il team aveva specificato che l'unico modo per invertire la tendenza comune a vedere nelle fonti fossili il principale responsabile del riscaldamento globale era di educare le generazioni future a non riconoscere più il problema. Optarono così per censurare a insegnanti e studenti qualsiasi materiale che riportava evidenze scientifiche sui cambiamenti climatici dovute ai combustibili fossili. Il team Api stimò un budget di 5,9 miliardi di dollari che includeva anche investimenti nella programmazione nazionale dei mass media e del loro raggio d'azione (web, tv, radio, stampa, agenzie di comunicazione, ecc.). Per le corporations del petrolio era importante ingigantire l'incertezza sulla scienza del clima al fine d'alzare "barriere contro i futuri tentativi di imporre le misure programmate a Kyoto", e ovviamente di imporre enormi costi di tasse. Nonostante Royal Dutch della Shell disse che le "attività umane, specialmente l'uso di fonti fossili, influenzano il clima", la stessa Shell supportò e supporta ancora questa campagna denigratoria sul Global Warming.
Fake petroliferi e astroturfing. Il piano vide comunque firmatarie parecchie lobby minerarie, organizzazioni di categoria, istituti. Ma non sono solo i soldi finanziati ai tanti gruppi attivi inventati dalle stesse multinazionali per destabilizzare l'opinione pubblica, come l'Information Council on the Environment (ICE, ndr), a fornire studi in cui individuare "target" di pubblico da indottrinare per diffamare i risultati di altri studi sui cambiamenti climatici o le azioni contrarie ai profitti delle multinazionali. Nel caso specifico l'ICE per 500 mila dollari è stata in grado di manipolare gente già predisposta all'agenda setting delle companies. Si trattava di "anziani poco educati all'idea di famiglia allargata, inattivi come ricercatori di informazioni, e improbabili consumatori green", e di "giovani donne a basso reddito". La posta in gioco sono miliardi di dollari e perciò la macchina dell'indottrinamento e della diffamazione non si è mai fermata per le company. La strategia della creazione di falsi contenuti è chiamata “astroturfing”, e funziona creando appunto un po' qua e là organizzazioni, gruppi, comunità di pressione e movimenti, che aiutano le multinazionali nei luoghi in cui operano. In Usa nel 2009 sono riusciti a mobilitare gruppi attivi di "cittadini dell'energia" in venti Stati, a organizzare manifestazioni che dovevano insinuare nella gente l'idea d'una significativa opposizione pubblica alla regolamentazione delle emissioni.
Affossare leggi e creare consumatori nervosi. L'Api tentò addirittura di non far passare l'American Clean Energy and Security Act. Una nota interna rivela che i dirigenti di BP, Chevron, ExxonMobil, e Shell avevano persino inviato i loro dipendenti a manifestazioni indette contro la legge. Nel 2011 l'Api protestò contro la decisione dell'Ente ambientale Usa di far rientrare la regolamentazione dell'inquinamento da CO2 sotto il Clean Air Act, la più restrittiva legge sulle immissioni in aria e i "fake grassroots groups", i falsi gruppi di supporto alle politiche delle multinazionali petrolifere col compito di generare opposizione pubblica a leggi e atti contrari alle major del petrolio, rientrarono in azione. Ancora l'anno scorso Catherine Reheis-Boyd, presidente della Western States Petroleum Association (WSPA, ndr), una lobby dell'industria petrolifera negli Stati Uniti occidentali in cui convergono gli interessi delle stesse company presenti nell'Api e altre vecchie associazioni di categoria del petrolio, annunciò al gruppo d'affari Washington Research Council il piano per "attivare" un "significante numero" di campagne pubblicitarie e coalizioni. La WSPA aveva "investito in molte coalizioni che sono le più idonee a guidare i consumatori e i messaggi della società per legislatori e politici". Ben 7,2 milioni di dollari sugli 8,9 previsti per l'attività di lobby erano destinati a "creare e promuovere gruppi astroturf" tra cui il California Driver’s Alliance e il Fed Up at the Pump che nel 2014 tramite radio e molte agenzie di comunicazione lanciarono massicce campagne di proselitismo contro la legge sul clima. In pratica crearono "consumatori innervositi" dalla legge sul clima e ad essa contrari.
Lo "shadow lobbying". Quando nel 2009 in Usa si discuteva la legge su energia e sicurezza e si proponeva la tassa per ridurre le emissioni, oltre all'Api a fare pressioni c'era pure l'American Coalition for Clean Coal Electricity (ACCCE, ndr), lobby del carbone questa volta, che tramite la Bonner and Associates, una società esterna, perpetrò una frode politica inviando lettere false ai deputati per convincerli a non votare a favore della legge. Ci si spinse quindi fino a truffare deputati, e durante la Commissione investigativa del Congresso venne fuori che la Bonner era già conosciuta per la sua attività di "astroturfing" (creazione di falsi gruppi e false opinioni, ndr) per conto di industrie farmaceutiche, del tabacco e dello zucchero. Nel 2009 l'ACCCE aveva pagato 3 milioni di dollari per aumentare il numero di comunità avverse alla legge con specifica attenzione a minoranze, adulti e veterani. Edward Markey, presidente del Committee on Energy Independence and Global Warming, definì questa operazione "il sintomo dei milioni di dollari spesi in operazioni di shadow lobbyng", i fondi neri usati per affossare le politiche energetiche pulite e le tasse contro l'uso delle fonti fossili. Un tipo di manipolazione della realtà che sfiora il surrealismo se pensiamo allo slogan “I still believe in Global Warming. Do you?” sbandierato l'anno scorso al meeting annuale dell'American Legislative Exchange Council (ALEC, ndr) da Joseph Bast, presidente del Heartland Institute che ruota intorno ai fondi dell'ennesimo Consiglio dei petrolieri. Si trattava d'un manifesto in cui alla fototessera d'un trasandato e crudelmente conosciuto Unabomber si sovrapponeva il testo "io credo ancora nel Riscaldamento Globale. Tu?".
Business is business. Certo ALEC, gruppo schierato a favore del libero mercato e che fornisce ai petrolieri una sede per influenzare i politici, è sostenuta da Chevron, ExxonMobil, Peabody Energy, e Shell, che continuano a essere importanti canali di disinformazione sul riscaldamento globale e sulle proposte politiche per fermare oggi l'azione negativa sul clima. ALEC continua a fare in modo che le principali multinazionali del petrolio facciano qualcosa solo a parole, nei loro materiali pubblicitari, mentre i suoi membri e i suoi sponsor supportano la disinformazione e l'azione di blocco alla legge contro le emissioni. Per l'industria fossile ALEC ha perfezionato molti strumenti per azioni di lobby e pubbliche relazioni, come tenere le proprie "porte chiuse" ai politici favorevoli alla legge, si parla di più di duemila giudici e una rete che include molti membri del Congresso, e di sviluppare una legislatura "amica" di gruppi industriali che possa essere usata come esempio nelle leggi regionali in Usa. Un po' come quando in Italia le corporation del petrolio assieme ad Assomineraria, Confindustria, qualche sindacato e università, e tutto l'indotto del petrolio hanno fatto pressioni per far approvare una legge nazionale favorevole alle politiche fossili. Resta che già dal '95 un report interno della Mobil Oil Corporation affermava che gli impatti delle emissioni umane di gas serra come la CO2 sul clima "non possono essere negati", e che David Hone della Shell abbia spiegato di recente che "il business non può risolvere i problemi climatici di tasca propria".
fonte: mondo.basilicata24.it/
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