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lunedì 9 novembre 2015

L'Italia rantola, l'UE è il morbo

Marco Fontana

Viene spontaneo domandarsi come si possa abboccare ancora alla balla renziana della ripresa economica, perchè non c'è stata volta in cui non sia arrivata una doccia gelata proprio dopo i dati positivi snocciolati dal premier italiota.
Mai nella storia della Repubblica una maggioranza parlamentare è stata smentita nei dati così tante volte. Così, dopo che Renzi aveva appena terminato la sua consueta settimana di propaganda a suon di dati Istat, si è abbattuta sul Governo la notizia della chiusura o riorganizzazione di alcuni stabilimenti Michelin. Il conto è presto fatto: oltre 600 lavoratori perderanno il loro posto. Alla faccia della tanto decantata ripresa a cui Renzi si aggrappa con tutta la forza che ha, ma coi suoi roboanti annunci non può certo far quadrare le malridotte finanze italiane.

 



Il fido Ministro dell'Economia Padoan ha chiarito poco fa come la Legge di Stabilità si poggi sulla speranza che il Pil continui ad aumentare, con i cordiali saluti alla spending review che da anni riempie la bocca dei nostri politici quando devono varcare le porte di Bruxelles per farsi approvare le manovre, ma che ad oggi ha prodotto solo maggiori tasse, spesa incontrollata e un debito pubblico di proporzioni record.
D'altra parte, per comprendere come il quadro fornito dall'Istat non sia altro che un "numeri in libertà" di gusto futurista, basterebbe leggere in modo sereno i dati sulla Global Consumer Confidence Survey realizzata da Nielsen Italia. Seguendo le cifre fornite da questa multinazionale americana, la fiducia degli italiani rispetto a un anno fa è sì cresciuta del 10%, ma l'89% dei cittadini ritiene che il Paese non sia ancora uscito dalla crisi. Visto che oggi l'Italia cresce molto meno della media europea, non c'è nulla da stare allegri, anzi.
Sarebbe ora di prendere le statistiche per quello che sono: 63 statistiche su 100 sono inventate. Compresa questa, diceva Scott Adams; Ci sono tre generi di bugie: le bugie, le dannate bugie e le statistiche, ammoniva Benjamin Disraeli. Certo, l'attenuante c'è: la debolezza dei media italiani che offrono la propria penna e i propri servigi al presidente del Consiglio. La messa in dubbio delle fonti non è uno sport molto praticato dai giornalisti nostrani, laddove è noto che il presidente dell'Istat è di nomina governativa: nomina che nel caso di Giorgio Alleva ha scatenato il fuoco di fila di ben 43 docenti di Università italiane e straniere. 
In un tale contesto è inquietante vedere come nonostante le dichiarazioni di facciata Renzi non faccia altro che piegarsi ai diktat europei. La Legge di Stabilità è infatti figlia dei "compiti a casa" imposti da Bruxelles. Per un Paese che dovrebbe rialzare la testa pare veramente complicato attuare vere misure espansive quando a ogni secondo la spada di Damocle delle coperture economiche potrebbe abbattarsi sulla testa. E così anche la Finanziaria di quest'anno non sarà altro che una partita di giro in cui si sposta da un cittadino all'altro la pressione fiscale.
Il solito bluff, già smascherato dalle Regioni, che hanno rimandato al mittente una proposta di Legge di Stabilità che addossa agli Enti decentrati l'onere o di fare spending review o di tagliare i servizi aumentando le tasse. Insomma, l'Italia rantola, ed è presto detto qual è il morbo che l'ammazza: l'Unione Europea.
Per comprendere la difficoltà che vive il Governo basta leggere tre dichiarazioni del ministro Padoan sul documento finanziario da lui stesso creato. Dopo la bocciatura della Corte dei Conti di parti consistenti del suo documento, ha infatti affermato:
E' un errore valutare le singole misure. Sarebbe interessante capire cosa vorrebbe che valutassero gli italiani: forse solo le slide di Renzi? E poi: Dopo otto anni di aumento ininterrotto il rapporto tra debito pubblico e Pil scenderà dal 2016 ed è previsto in continuo calo negli anni successivi. Cioè di spending review non si parla proprio, ma si spera solo nell'aumento del Pil grazie alla ripresa economica internazionale. E infine la perla: La riduzione del debito beneficerà della prosecuzione del piano di privatizzazioni.
Posto che nessuno crede che i soldi delle privatizzazioni vengano utilizzati per diminuire il debito pubblico (aumentato ancora lo scorso mese), resta il fatto che questo magnifico piano concepito da Renzi e dal suo Ministro non è altro che uno spostare i debiti sui cittadini.
L'esempio è quello della collocazione in borsa delle Poste Italiane, con una quotazione fuori mercato che ha già portato i risparmiatori a una perdita a due zeri. Ecco dimostrato quindi che non c'è margine di movimento per un'Italia piegata in due e inginocchiata di fronte alle cortesi richieste dell'UE.


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