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venerdì 27 ottobre 2017

Il Treno della Contestazione

Destinazione Italia doveva essere il viaggio che rimette in connessione il leader del Pd con gli italiani. Ma dopo la prima settimana tra fischi, insulti e proteste nelle stazioni lo staff cambia programma e decide di non divulgare più le tappe, sottraendo il segretario alle imboscate di chi non gradisce la sua passerella lungo i binari. Neppure l'organizzazione del Pd sa dove e quando ferma il treno. E passa la palla alle Fs, che a sua volta la ripassano al partito. Mentre il convoglio si arrende dove è più agevole spiccare il volo

di Thomas Mackinson

È partito da una stazione, è arrivato a nasconderle tutte. Fischi e insulti di cittadini arrabbiati a Polignano, striscioni a Porto San Elpidio, grida e dileggi a Reggio Calabria. Ogni tappa, una croce per il tour in treno di Matteo Renzi, partito il 17 ottobre per toccare in otto settimane le 107 province italiane.





“Destinazione Italia” voleva essere un “percorso di ascolto e confronto” ma alle prime fermate Renzi e i suoi hanno dovuto rimettere i piedi per terra: “Buffone, buffone!”, urlano a Vasto, dopo un’accoglienza non meno calorosa ad Ascoli Piceno, mentre a Reggio Calabria hanno dovuto far rientro in stazione dall’ingresso secondario.
Così, per evitare che ogni fermata del convoglio si trasformi in uno spot anti-Renzi, hanno deciso di cancellare ogni indicazione sul programma di viaggio. Neppure l’organizzazione del Partito, abbiamo fatto la prova, sa dove il convoglio fermerà.

Alla vigilia della partenza, sul sito del Partito Democratico erano invece indicate le tappe della prima settimana: martedì Farva,Civita Castellana, Narni, Spoleto, mercoledì Fano, Osimo e così via. Ma quella pagina (sotto lo screenshot) è scomparsa dopo le prime avvisaglie di un viaggio più faticoso del previsto, con video che raccontano il vero spirito di accoglienza che viene riservato a Renzi in giro per l’Italia. Così il sito su cui è transitata tutta l’operazione www.treno.partitodemocratico.it non indica più alcuna tappa, neppure per sbaglio fa riferimento alla “prossima fermata”, come recitava lo slogan della prima stazione (Leopolda) da cui Renzi era partito, nel lontano 2010.

Sembra impossibile. Sette anni dopo l’entourage renziano è costretto a cancellare le fermate del leader perché gli insulti non ne sporchino il viaggio. Basta chiamare in Via Sant’Andrea delle Fratteper avere conferma che non si tratti di un caso o di una svista, fingendoci simpatizzanti. Ci passano l’organizzazione. “No mi spiace ma non so dirle dove farà tappa, sinceramente noi veniamo avvertiti solo il giorno precedente ogni tappa“. Perfino per il partito quel treno naviga a vista per l’Italia. “Ora sappiamo che è in Calabria, oggi e domani in Campania poi in concomitanza della Conferenza programmatica a Napoli, ma poi da domenica non sappiamo nulla. Se c’è un calendario qui non ce lo danno, lo avranno le Ferrovie, perché devono ovviamente smistare i treni”.

Inutile chiamare le Fs che rimandano all’ufficio stampa del Pd, anche se il treno corre ancora sui suoi binari. O forse no, perché è anche successo che si sia fermato di fronte all’ineluttabile. Il quinto giorno il tour fa tappa a Matera dove – una volta arrivato sul binario morto della Linea Ferroviaria Jonica – il pezzo più antico e martoriato della rete ferroviaria nazionale, Renzi è sceso per raggiungere Reggio Calabria in aereo. Certificando così che quel tratto non fa parte dell’Italia ma di un Medioevo dei trasporti sul quale è meglio sorvolare. “In treno ci si arriverà per bene tra qualche anno”, ha però assicurato Renzi incontrando i rappresentanti dell’associazione che chiede la linea ferroviaria statale. Ma chi può, nel frattempo, prenda l’aereo.

Che il luminoso viaggio di Renzi proceda oggi a tentoni nel buio pone un qualche problema al leader democratico, già poco premiato dai sondaggi. Nasceva come un tour pre-elettorale grazie al quale le buone ragioni dell’ex premier venivano portate “sui territori”, come si dice. Renzi dichiarava di voler intercettare non chi la pensa come lui ma gli altri. Ma è costretto a ripiegare a suon di proteste e va da sé che le federazioni provinciali, avvisate sotto traccia della tappa, faranno radunare attorno al passaggio festosi simpatizzanti di Renzi. Così la reazione tattica al fallo di potenziali contestatori rischia di vanificare tutta l’operazione che non è proprio indolore sotto il profilo dei costi: 400mila euro, secondo stime non smentite, mentre ci sono 184 dipendenti in cassa e il bilancio è in rosso di quasi 10 milioni.

Altro paradosso: non avendo le tappe successive, il viaggio che guardava al futuro del Paese si limita a raccontare il passato, in forma di diario della fermata del giorno prima. Un diario-melassa tra foto opportunity sorridenti, comitati sempre festosi, interlocutori attenti e compiti di fronte al leader e ben edulcorato da spiacevoli, per quanto sistematici, episodi di dissenso. “Ogni sera, a fine giornata, quando è tardi e sei anche un po’ stanco, è la pienezza e l’intensità delle emozioni che il viaggio ti ha regalato a farti desiderare che venga presto il giorno dopo”. Così scriveva Renzi alla fine del terzo giorno. Non un accenno alle proteste. Niente detrattori, critici e cittadini comuni arrabbiati. Disturbano il macchinista.

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