Nuit Debout. Intervista al filosofo Frédéric Lordon, uno dei protagonisti del movimento contro il Jobs Act di Hollande, la Loi Travail El Khomri: «Vogliamo realizzare una convergenza tra giovani, intellettuali precari, classi lavoratrici e la collera delle periferie. Allora il governo tremerà. Oggi bisogna cambiare la logica delle lotte in Europa: non basta dire né destra, né sinistra o l’1% contro il 99%. Bisogna essere costituenti».
Frédéric Lordon è un filosofo ed economista francese, direttore di ricerca al Centre National de la Recherche Scientifique (Cnrs). Nelle ultime settimane è stato protagonista dei dibattiti all’università di Tolbiac, occupata a seguito delle mobilitazioni contro la proposta di riforma del mercato del lavoro, Loi El Khomri, e del movimento Nuit Debout parigino che da queste mobilitazioni è nato. Nel 2015, per DeriveApprodi, ha pubblicato Capitalismo, desiderio e servitù, un saggio in cui Marx e Spinoza si incontrano e spiegano lo sfruttamento del capitalismo contemporaneo.
Qual è l’origine, le radici politiche e le parole d’ordine del movimento Nuit Debout?
All’origine di questo movimento c’è il film di François Ruffin Merci Patron! Il film racconta la storia di un lavoratore licenziato della LVMH per il quale Ruffin e la sua squadra sono riusciti a estorcere 40 mila euro a Bernard Arnault, uno dei più importanti imprenditori francesi, e a far reintegrare il lavoratore a tempo indeterminato all’interno del gruppo. Questo film è talmente rincuorante e dà una tale energia che qualcuno tra noi si è detto che avremmo dovuto farne qualcosa. Ci siamo detti soprattutto che conteneva forse qualcosa come un detonatore. La situazione generale ci sembrava molto ambivalente: triste e senza speranza per molti aspetti, ma allo stesso tempo molto promettente: satura di collera e in attesa di qualcosa che la facesse precipitare. Il film poteva essere il catalizzatore di questa precipitazione. Abbiamo quindi organizzato una serata, a fine febbraio, per parlare di cosa fare a partire dal film e di quel che potevamo fare in generale. Ci è sembrato che il gioco istituzionale dei partiti era ormai irrimediabilmente sclerotizzato, serviva un movimento di altro tipo, un movimento di occupazione dove le persone potessero riunirsi senza intermediari, come Occupy Wall Street e il 15M in Spagna. L’idea è partita da una proiezione pubblica del film a Piazza della Repubblica a Parigi, e poi aggregarvi altro. Là, la legge El Khomri arriva e aggiunge necessità e slancio alla nostra iniziativa. La parola d’ordine è diventata “dopo la manifestazione, non rientriamo a casa”. E siamo rimasti.
In Italia la debole battaglia contro il Jobs Act è stata completamente frammentata. In Francia si parla invece di «convergenza delle lotte». Cosa significa?
Sta già dando la risposta alla sua domanda. Finché le lotte rimangono locali, di settore e disperse, esse falliranno e sono destinate a ricominciare eternamente da capo. Tutto il nostro lavoro consiste nel cercare permanentemente il denominatore comune a tutte le lotte così da creare massa critica. È allora possibile riunire sia i lavoratori – di tutte le condizioni, anche i quadri – i disoccupati, i precari, ma anche gli studenti universitari e secondari che saranno i futuri precari. Ma possiamo anche raggiungere gli agricoltori, che seppur non sono dei salariati, soffrono ugualmente della logica del capitale, ma anche per la stessa ragione gli Zadisti di Notre Dame des Landes che si oppongono a progetti locali, dettati dalle stesse logiche economiche cieche. L’interesse è quello di fare incontrare e discutere delle frazioni di sinistra che stanno quotidianamente separate e si guardano con sospetto; in sintesi, da una parte i militanti delle città, giovani di un livello culturale e scolastico relativamente elevato, spesso intellettuali precari, e dall’altra parte, le classi lavoratrici sindacalizzate le cui tradizioni di lotte sono estremamente differenti. Ora, questa convergenza è decisiva per la potenza di un movimento sociale. E più decisiva ancora è la convergenza con la gioventù segregata delle periferie, caratterizzata da collera e lotte proprie, ma che gli altri due blocchi ignorano completamente. Credo che questa connessione è la più decisiva perché quando sarà fatta, allora veramente il governo tremerà: è in questo momento che il movimento diventerà inarrestabile.
Lei dice «noi non rivendichiamo niente» perché l’oggetto di questa rivendicazione è qualche briciola. Che cosa intende dire esattamente?
Il nostro tentativo è quello di cambiare la logica delle lotte. Evidentemente bisogna continuare a rivendicare ovunque dove ci sia bisogno di farlo! Ma bisogna esser coscienti che rivendicare è una prospettiva difensiva che accetta implicitamente i presupposti del quadro in cui la si chiude, senza possibilità di mettere in discussione il quadro stesso. È quindi urgente mettere in discussione il quadro generale! Il che vuol dire passare dalla rivendicazione all’affermazione di un quadro generale che vogliamo ridisegnare. Non c’è nessuno a cui possiamo “rivendicare” un altro quadro. Sta a noi impadronirci di ciò e farlo! Ecco allora come noi articoliamo rivendicazione e affermazione: noi diciamo “no alla legge e al mondo El Khomri”. Noi rivendichiamo contro la legge ma affermiamo che ambiamo a un altro mondo rispetto a quello che ripropone costantemente leggi come quella. Finché rimaniamo nel registro rivendicativo non faremo che parare i colpi, uno dopo l’altro, in questo registro esclusivamente difensivo in cui il neoliberismo ci ha rinchiusi da tre decenni. Bisogna passare all’offensiva, e passare all’offensiva significa smetterla di dire ciò che non vogliamo per iniziare a dire invece quel che vogliamo.
Podemos, come movimento che ha saputo guadagnarsi il sostegno popolare, ripete sempre che non bisogna parlare di destra e sinistra, ma di alto/basso, quindi 1% contro il 99%. Lei è d’accordo?
Sono in totale disaccordo con questa linea di Podemos. In Francia, le degenerazioni della frattura destra-sinistra hanno delle pessime eco. Chi ne parla fa parte sia di quella che io chiamo la “destra generale”, cioè la destra classica e quella nuova destra che è il Partito Socialista – il partito indifferenziato della globalizzazione neoliberista-, sia dell’estrema destra. In Francia, chi dice “né di destra né di sinistra” è immancabilmente di destra, o finirà per esserlo. Allo stesso tempo, io non credo che le diseguaglianze monetarie (da cui Podemos converte la divisione destra/sinistra in 1%/99%) sia un tema politicamente molto perentorio. Oggi, il tema delle disuguaglianze sta diventando una specie di consenso molle – ci ritroviamo pure l’OCSE e l’Economist… La vera questione non è quella delle disuguaglianza di reddito o ricchezza, ma la questione della disuguaglianza politica fondamentale insista nel capitalismo: i lavoratori vivono un rapporto di subordinazione e di obbedienza. Il rapporto salariale, prima ancora di essere all’origine delle disuguaglianze monetarie, è un rapporto di dominio e questo è il principio di una disuguaglianza fondamentale che è la diseguaglianza politica. Che sia questo l’oggetto in discussione con la legge El Khomri, le persone l’hanno ormai capito: questa legge rafforza come non mai l’arbitrio sovrano degli imprenditori, che possono ormai fare quel che vogliono della forza lavoro. È questa la vera questione: l’impero del capitale sugli individui e sulla società intera. La sinistra è questo: il progetto di lottare contro la sovranità del capitale. Allontanare l’idea di sinistra nel momento in cui invece la lotta deve radicalizzarsi e chiamare in causa i suoi veri obiettivi- il salariato come ricatto, il capitale come potenza tirannica- significa a mio avviso farsi sfuggire ciò che sta accadendo dopo decenni di martellamento neoliberista, e proprio nel momento in cui le persone emergono dal KO per iniziare ad alzar la testa. Se è così, temo, si commetterà un errore strategico considerevole.
Qual è la finalità di questa mobilitazione: la rappresentanza politica, la creazione di un processo costituente?
È ciò che credo fondamentalmente. Lo sbocco costituente s’impone ai miei occhi per due ragioni. La prima è che offre una soluzione a quella che io chiamerei la contraddizione di OWS/Podemos. OWS è stato un gran bel movimento… ma completamente improduttivo. Non riuscendo a dotarsi di obiettivi politici e una struttura, questo movimento si è autocondannato alla dissoluzione e all’inutilità. All’esatto opposto, Podemos rappresenta lo sbocco politico del 15M, ma in una forma ultra classica, al prezzo di tradire le sue origini: un partito classico, con un leader classico che fa il gioco classico delle istituzioni elettorali… e si ritrova nella melma delle coalizioni parlamentari, come il più classico dei partiti tradizionali… Come sfuggire all’antinomia tra l’improduttività e il ritorno alle stanze parlamentari? La sola risposta ai miei occhi è: strutturarsi non per ritornare nelle istituzioni ma per rifare le istituzioni. Rifare le istituzioni significa riscrivere una costituzione. Ed ecco allora la seconda ragione per cui l’uscita dalla costituzione ha senso: la lotta contro il capitale. Per farla finita con il salariato come rapporto di ricatto, bisogna farla finita con la proprietà a scopo di lucro dei mezzi di produzione, che è pure sancita negli stessi testi costituzionali. Per farla finita con l’impero del capitale, che è un impero costituzionalizzato, bisogna rifare una costituzione. Una costituzione che abolisca la proprietà privata dei mezzi di produzioni e istituisca la proprietà d’uso: i mezzi di produzione appartengono a chi li usa e a chi li userà per fare cose che non siano la valorizzazione del capitale.
da http://ilmanifesto.info