Un recente articolo di Giorgio La Malfa sintetizza il dilemma in cui si trovano attualmente molti sinceri europeisti. Nelle sue parole:
“La moneta unica, così come è stata pensata, è stata uno sbaglio perché essa richiede e richiederebbe una solidarietà sostanziale tra i paesi che ne fanno parte che non vi potrà essere… Se si vuole creare una terza posizione che si frapponga tra i due opposti estremismi di chi non vuole andare avanti e di chi vuole andare indietro bisogna dire con chiarezza che si prende atto che l’Unione Monetaria va ripensata dalle fondamenta poiché i paesi membri dell’Unione Monetaria hanno visioni radicalmente opposte di quello che significa un passo in avanti…
Bisogna fare in modo di tranquillizzare i tedeschi che non saranno chiamati a pagare i debiti ma nello stesso tempo bisogna consentire che un paese possa fare una politica di sostegno della crescita e dell’occupazione senza passare per dei vincoli europei senza contropartite…
Bisogna studiare il modo, in contropartita di minori impegni di solidarietà, di concedere una maggiore possibilità per i singoli paesi di fare politiche economiche indipendenti”.
La Moneta Fiscale è stata concepita esattamente per risolvere questo dilemma.
Un punto chiave di qualsiasi riflessione in merito è che non esiste il consenso politico necessario affinché la Banca Centrale Europea garantisca incondizionatamente i debiti pubblici degli stati dell’Eurozona. La garanzia introdotta dall’OMT è vincolata all’attuazione di politiche da definire caso per caso, ma comunque basate su principi che portano a compressioni della domanda, dell’attività economica e dell’occupazione. Non è su queste basi che l’Eurosistema può raggiungere condizioni di efficienza e di sostenibilità.
La logica della Moneta Fiscale – da attuarsi ad esempio nella forma (operativamente di semplice e rapida attuazione) dei Certificati di Credito Fiscale – si riassume come segue.
Il debito pubblico che deve essere collocato e rifinanziato, e rispetto al quale l’andamento dei mercati può forzare l’emittente al default (quello che è regolamentato con precisione dai trattati di governo dell’Eurosistema, e che per questo motivo viene denominato “Maastricht Debt”) smette definitivamente di incrementarsi. L’Italia definisce un livello soglia corrispondente per esempio all’attuale – circa 2.350 miliardi di euro – e non lo incrementa più, neanche di un centesimo.
Tutte le politiche macroeconomiche necessarie ad incrementare la domanda interna, migliorare la competitività delle aziende (per esempio riducendo gli oneri fiscali e contributivi a loro carico), nonché a ripristinare il pieno impiego, vengono attuate emettendo CCF.
Tutte le politiche macroeconomiche necessarie ad incrementare la domanda interna, migliorare la competitività delle aziende (per esempio riducendo gli oneri fiscali e contributivi a loro carico), nonché a ripristinare il pieno impiego, vengono attuate emettendo CCF.
Il CCF è un titolo accettato dallo Stato emittente, a partire da una data futura prestabilita (la proposta è due anni dopo l’emissione) per ridurre pagamenti altrimenti dovuti nei suoi confronti. Ma non sussiste alcun obbligo di rimborsarlo in cash. E il CCF non rientra nel Maastricht Debt.
Non potrà quindi mai accadere che lo Stato emittente sia forzato a dichiarare default su un CCF. Potrà al massimo accadere che l’emittente ne emetta una quantità eccessiva, rendendo in pratica problematico utilizzare tutti i CCF in possesso del pubblico nel momento in cui giungono a maturazione. Si allungherebbero quindi i tempi di utilizzo, il che svilirebbe il valore del titolo.
Ma questo rischio è in pratica remoto, perché i CCF non supererebbero mai, anche in scenari pessimistici, una modesta frazione degli incassi pubblici lordi a fronte dei quali sono utilizzabili.
E i titolari del debito pubblico italiano constaterebbero che il Maastricht Debt del paese cessa completamente di incrementarsi e diminuisce costantemente in proporzione al PIL, via via che la crescita dell’economia e un minimo di inflazione innalzano il PIL reale e (ancora di più) il PIL nominale.
Più che una terza via, questo percorso mi appare una strada obbligata per mettere l’Eurosistema in condizioni di funzionalità e sostenibilità.
Non potrà quindi mai accadere che lo Stato emittente sia forzato a dichiarare default su un CCF. Potrà al massimo accadere che l’emittente ne emetta una quantità eccessiva, rendendo in pratica problematico utilizzare tutti i CCF in possesso del pubblico nel momento in cui giungono a maturazione. Si allungherebbero quindi i tempi di utilizzo, il che svilirebbe il valore del titolo.
Ma questo rischio è in pratica remoto, perché i CCF non supererebbero mai, anche in scenari pessimistici, una modesta frazione degli incassi pubblici lordi a fronte dei quali sono utilizzabili.
E i titolari del debito pubblico italiano constaterebbero che il Maastricht Debt del paese cessa completamente di incrementarsi e diminuisce costantemente in proporzione al PIL, via via che la crescita dell’economia e un minimo di inflazione innalzano il PIL reale e (ancora di più) il PIL nominale.
Più che una terza via, questo percorso mi appare una strada obbligata per mettere l’Eurosistema in condizioni di funzionalità e sostenibilità.
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