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giovedì 11 febbraio 2016

Il M5S: una democrazia nata sotto il cielo della Costituzione “più bella del mondo”.


di Davide Amerio

Negli ultimi giorni sono apparsi tre articoli (a cura di Aldo Giannuli, Giuseppe Cirillo e Marco Mori) che pongono, senza pregiudizi, alcune questioni sul M5S. Osservazioni genuine che meritano considerazione e alle quali provo a dare una risposta, a titolo personale, come simpatizzante/attivista (utilizzerò anche alcune parti di articoli da me già pubblicati).




Giuseppe Cirillo attribuisce a B.G. Una grande abilità politica nell’aver corretto il tiro sul decreto Cirinnà per non sbilanciarsi troppo a sinistra. La motivazione risiederebbe nel voler mantenere una pozione “equidistante” tra destra e sinistra mantenendo una centralità “populista” che soddisfi le richieste degli elettori. I numeri dei risultati elettorali confermerebbero questa chiave di lettura.


Non condivido questa analisi. Il movimento nasce da un incontro inusuale. Un bravo comico ha portato, nei suoi spettacoli, quella parte di “mondo” (tecnologico, scientifico, sociale e politico) cui il provincialismo italiano non ha mai dato peso, accontentandosi delle soluzioni proposte dalla maggioranza politica di turno. Il pubblico degli spettacoli ha appreso così l’esistenza di alternative possibili per risolvere i problemi della nostra società (che infatti permangono non essendo di fatto cambiata la classe politica). Questa unione tra pubblico, personaggio e idee si è via via spostata sul piano politico dando i natali a ciò che oggi è il M5S. Ma quel pubblico, che in buona parte costituisce l’elettorato dei pentastellati, copriva tutto l’arco politico, dalla destra alla sinistra. Se la crescita dei voti dei 5S ha coinciso con una decrescita della destra ciò è imputabile al tipo di consenso (qui si demagogico e populista) di cui ha beneficiato la destra berlusconiana. Il vizietto italico di affidarsi al personaggio forte, per poi rimanere delusa in un secondo tempo, è sempre presente; alla “caduta” berlusconiana corrisponde certamente uno spostamento di voti ma questi, all’origine, appartevevano anche a elettori che provenivano dalla sinistra e hanno votato Berlusconi o la Lega per disaffezione o delusione. Quindi non ritengo corretto definire il flusso di voti che proviene da “destra” come appartenente in esclusiva (ideologica) a quell’area politica.

Poco convincente è anche l’ipotesi di Cirillo per la quale si deve compiere una distinzione tra un indirizzo politico nazionale (più generale) che può passare meglio attraverso una “democrazia diretta” e quello più strettamente del “partito” dove è necessario una guida più diretta e immediata.

Ancorché imperfetti, i metodi della democrazia diretta sono rivolti a rendere più partecipi i cittadini in ogni ambito. Per esempio, il principio “dell’uno vale uno”, ha il significato “rivoluzionario” di voler realizzare ciò che viene definito dal termine “democrazia” e dall’assunto “liberale” per il quale a ciascuno devono essere garantite pari opportunità. Tutti i cittadini possono concorrere alla competizione politica e devono essere messi nelle condizioni di potersi esprimere sulle scelte che riguardano la loro vita.

Certe decisioni richiedono sicuramente immeditezza, ed è quindi vero che non tutto può gestito tramite consultazione degli iscritti. Questo desiderio di partecipazione è però uno dei fondamenti del movimento e non può essere eluso. La “testa” non può viaggiare per conto proprio senza rendere conto al “corpo” della direzione intrapresa.

La quasi “ossessione” per la coerenza, l’onestà, la trasparenza, l’anti leaderismo, l’avversità alle strutture organizzative gerarchiche, è figlia non di un banale “populismo” – come alcuni vogliono far credere, – ma della totale mancanza di credibilità che hanno assunto i “politici professionisti” e le loro organizzazioni negli ultimi 30 anni. Carenza che ha generato avversione e diffidenza in tutto ciò che è “gerarchico” e “burocratico”. L’aspettativa dell’ applicazione di nuovi strumenti idonei alla partecipazione politica è riversata pesantemente sul M5S.

Concordo piuttosto, al pari di Cirillo e Giannuli, sulla necessità di ri-definire, o meglio specificare, alcuni principi del movimento. Senza snaturarne il senso e il valore, è necessario che gli “slogan” nati dalla rete, affermati sui palchi durante gli incontri con Grillo, trovino una migliore definizione per evitare equivoci e false o sfalsate interpretazioni (anche a beneficio degli stessi attivisti/simpatizzanti). Un “congresso”, con tanto di dibattito, che abbia questo obiettivo non può che essere benvenuto. Concordo anche sulla necessità di una definizione di posizioni politiche specifiche (euro, immigrazione, nato, eccetera) sulle quali il paese attende una risposta e una proposta. Ugualmente per quanto riguarda i ruoli di Grillo, di Casaleggio e del direttorio.

Non concordo con Giannuli quando chiede l’abolizione del vincolo per il quale un parlamentare non può dimettersi per candidarsi a sindaco o altra posizione.

Se così fosse eleveremmo nuovamente la leadership a principio supremo accontendandoci di raccogliere voti per governare a qualunque costo. Le storie sui territori ci dimostrano invece che da essi, lavorando sulla partecipazione, è possibile far crescere persone degne di entrare nelle istituzioni a rappresentare i cittadini. Non tutti i territori viaggiano con lo stesso ritmo. Se a Torino è stata presentata una splendida candidata (Chiara Appendino) che fa tremare i polsi all’intero PD, ciò è frutto di un lavoro sul territorio dove centinaia di attivisti si sono prodigati nel crescere e maturare esperienze politiche e istituzionali. Questa candidatura è “sentita” sulterritorio e “vissuta” con partecipazione proprio perché scelta dai cittadini e non calata dall’alto.

Una critica in particolare viene mossa al movimento: la presunta subalternità al duo Grillo-Casaleggio e al loro ruolo. Questa presenza, unitamente all’affetto e alla riconoscenza che molti hanno per Grillo e quanto ha fatto, viene interpretata e tradotta come un autoritarismo vincolante. Qui occorre essere razionali su alcune questioni. In primo luogo il movimento non esisterebbe se BG (insieme a Casaleggio) non si fosse fatto carico del dar voce a questa parte di popolazione che ambisce a vivere in un paese “normale” nel quale ci sia corrispondenza tra le affermazioni della campagna elettorale e le azioni nelle istituzioni.

Qui entra in gioco il ruolo di “garante” di BG. Obbiettivamente questo ruolo è stato, ed è ancora, non ben gestito dal punto di vista della comunicazione e delle procedure di attuazione che prestano il fianco a critiche interessate. La necessità di avere “eletti” che vivano l’impegno politico non come privilegio personale ma come atto di responsabilità coerente tra il “dire” e il “fare, è un altro dei fondamenti del movimento. Con questa chiave è possibile leggere la recente iniziativa dei garanti per richiedere la sottoscrizione di un documento che preveda una penale qualora il candidato (poi eletto) venisse meno agli impegni assunti.

Quando ci furono le espulsioni si fece un gran baccano mediatico contro la “dittatura” interna al movimento. La storia politica dei fuoriusciti con doppi e tripli salti carpiati da una formazione politica all’altra, alla ricerca del miglior offerente o della posizione più vantaggiosa, mette una pietra tombale su quelle critiche ipocrite.

Certo scegliere le persone non è mai un’operazione facile; non sono sufficienti l’onestà e il curriculum: non esiste un esame del sangue o del DNA che mi dica se tizio è onesto e si manterrà tale. Si procede per tentativi ricercando il metodo che garantisca il miglio risultato. La differenza sostanziale (e coerente) è la filosofia del movimento: se tizio sbaglia, ruba, non è all’altezza del compito, non mantiene gli impegni assunti, viene dimesso e non “promosso”.

Credo il M5S abbia dimostrato di saper scegliere candidati validi e credibili nei posti chiave istituzionali, con persone che non sono del movimento (si veda la candidatura di Carlo Freccero alla Rai). Opinabile quella della Corte Costituzionale (che non piace a Giannuli) ma che ritengo adeguata al contesto politico nel quale è maturata (ovvero lo schifo delle nomine partitiche che occupano tutti gli spazi istituzionali).

Per qunato riguarda il documento sottoposto ai candidati, sono tutt’altro che banali le osservazioni poste da Marco Mori che ci ricorda come il nostro ordinamento non ammetta il vincolo di mandato e il perché. Il documento proposto, per sottoscrivere gli impegni, è facilmente impugnabile dal punto di vista legale configurandosi come incostituzionale.

Diversamente da quanto affermato da alcuni, per i quali il documento rappresenterebbe una imposizione contro il dissenso, la questione riguarda, non banalmente, la coerenza dei principi professati e per i quali si è richiesto il voto ai cittadini. La ratio di cui parla Mori è ragionevole in un contesto in cui la maggioranza degli eletti si assume l’onere degli impegni assunti. Recentemente in Spagna è apparso un articolo (QUI su Tgvallesusa) nel quale è stato preso in esame il cambio di “casacca” da parte dei deputati nella corrente legislatura. Il totale, calcolando coloro che hanno cambiato una volta e quelli che l’hanno fatto più di una, è di 325 tra Parlamentari e Senatori.

Possiamo dire, seguendo il ragionamento di Mori, che costoro hanno cambiato schieramento per affermare la propria libertà rispetto ai vincoli del gruppo di appartenza, al fine di soddisfare il mandato elettorale? Oppure per quanto riguarda la maggioranza di costoro siamo in presenza di becera convenienza personale?

La questione è aperta. Non so come sia risolvibile. Se i tentativi del M5S per porre freno al fenomeno sono non idonei, il problema permane. Ci dobbiamo davvero accontentare del male minore privilegiando in modo assoluto la libertà di scelta dei deputati e restando a guardare?
I disastri di questa classe politica di “nominati”, e eletti con un sistema elettorale incostituzionale, produce quegli effetti disastrosi da “Figli destituenti” – come li ha definti Giuseppe Palma, – che sotto sotto i nostri occhi. E il futuro si prospetta drammatico a riguardo.

Diversamente dalle facilonerie ideologiche che liquidano il M5S come composto da una mandria di beoti al soldo del due Grillo-Casaleggio, il movimento (e i suoi “fondatori” ora garanti) si trova nella difficile situazione di mettere in opera strumenti e procedure che riconducano il rapporto tra cittadini e istituzioni su binari di coerenza e credibilità. Sul piano politico il movimento è “adolescente”, con tutte le potenzialità, le ansie “ormonali” e le contraddizioni che questo comporta (concordo qui con Giannuli). Ma è un “ragazzo” speciale: è cresciuto senza genitori (le ideologie) e si trova nella condizione di dover affrontare una crescita forzata – e rapida – dettata dagli eventi che incombono.

Ben vengano le osservazioni e le critiche ma senza perdere di vista i principi costituenti. Questi rappresentano, nel loro insieme, un cambiamento “culturale” nel modo di intendere la politica, riportando il cittadino al centro della scena con i suoi diritti ma anche i suoi doveri. Perché la libertà “autentica”, come diceva Kant, c’è quando le nostre azioni si conformano a ciò che è “giusto” fare, a priori, non in dipendenza delle nostre convenienze personali. Su questa libertà possiamo tornare a costruire una democrazia, degna di questo nome, sotto il cielo della Costituzione “più bella del mondo”.


Fonte:Scenari Economici