di Andrea Succi
In Svizzera si fa sul serio. E non solo sul non buttare le cicche per terra o nel vendere quei meravigliosi profumatori per armadi che intere generazioni di italiani hanno potuto assaggiare. Signori, in Svizzera si fa sul serio anche sul reddito minimo nazionale da garantire a tutti. Roba che nemmeno il comunismo più spinto è riuscito a realizzare. Roba che i freddi svizzeri, invece, potrebbero presto ottenere.
Secondo il quotidiano elvetico Thelocal.ch le cifre in ballo sono già state delineate: 2,500 franchi svizzeri per gli adulti e 625 franchi svizzeri per i bambini. In totale il piano del governo verrebbe a costare 208 miliardi di franchi all’anno, di cui circa 150 verrebbero finanziati attraverso le tasse e la restante parte attraverso fondi trasferiti dalla previdenza sociale.
Se consideriamo che il cambio franco svizzero-euro è quasi pari (1-0,89) capiamo alla svelta che le cifre in ballo sono di tutto rispetto. E se poi vogliamo pensare alla storiella – semplicistica ma provocatoria e d’impatto – che in Italia ogni bambino nasce già con undebito pro-capite di € 36.853, allora ci viene subito una gran voglia di prendere il primo treno e chiedere l’immediata residenza in Svizzera.
Ovviamente le cose non sono così semplici, primo perché gli svizzeri non sono così stupidi da regalare soldi all’ultimo arrivato, secondo perché in Svizzera il tema del basic income è dibattuto dagli anni ’80.
Il vero punto di svolta c’è stato nel 2008, quando l’Università di San Gallo – fondata nel 1898, 4^ migliore Business School del mondo – ha prodotto una pubblicazione dal titolo inequivocabile, “The Basic Income Debate in Switzerland: Experiences and a Republican Perspective”, affrontando con prospettiva repubblicana il tema del reddito minimo, attraverso le esperienze altrui (qui il documento in pdf).
Il dibattito sollevato dall’Università San Gallo si è alimentato grazie al supporto di influenti personaggi pubblici – tra cui gli scrittori Adolf Muschg e Ruth Schweikert, il filosofo Hans Saner e l’esponente del Partito Social Democratico Oswald Sigg – e il tema del reddito minimo ha preso sempre più piede nella società elvetica.
E qui si arriva alla seconda svolta: il 4 ottobre 2013 un gruppo di militanti del basic income ha festeggiato a Berna il successo di un’iniziativa popolare che ha raccolto più di 125.000 firme per la richiesta di un referendum sull’introduzione del salario garantito. Nella foto qui sotto la festa dei militanti, che hanno fatto scaricare un camion pieno di monetine nella pubblica piazza.
A dirla tutta la proposta di dare soldi a chiunque non è affatto piaciuta ai politici della Svizzera, trasversalmente preoccupati all’idea che questa possa provocare una flessione, un lassismo generale, una crepa nella tradizionale operosità elvetica.
Ma gli svizzeri, in quanto tali altrimenti non sarebbero svizzeri, hanno già fatto sapere che “solo il 2% smetterebbe di lavorare se esistesse un reddito minimo”: il sondaggio è stato commissionato dai promotori del referendum e realizzato dal Demoscope Institute. Non ci pensano minimamente a mollare tutto e vivere da parassiti alle spalle dello Stato, forse perché sanno perfettamente che lo Stato sono essi stessi.
E arriviamo alla terza data di svolta, fissata per il 5 giugno 2016, quando si terranno quattro importanti referendum in Svizzera, tra cui quello in cui si chiede ai cittadini di votare o meno per l’introduzione del reddito minimo. I promotori hanno anche realizzato un sito per permettere a chiunque voglia farlo di informarsi e decidere, secondocoscienza, da che parte stare.
Una delle più entusiaste sostenitrici è la giornalista Martina Chyba, responsabile società e cultura di RTS, uno dei network più importanti nel panorama radiotelevisivo svizzero: “L’idea”, spiega la Chyba nel suo blog, “è quella di dare i soldi ad ogni cittadino per rivalorizzare il lavoro, ridare la possibilità di scegliere, poter lavorare part time, poter fare del volontariato, rendere servizio alla società”.
Standing ovation.
Fonte: l'Infiltrato