Ve lo immaginate un Governo - cancelleria tedesca esclusa - negoziare col coltello dalla parte del manico le condizioni di permanenza o meno nell'UE? Vogliamo ricordare cosa è successo ad Alexis Tsipras, quando forte di un referendum vinto contro la Troika (quindi contro FMI, Commissione Europea e BCE) è stato costretto ad inginocchiarsi dinanzi al volere dei tecnocrati continentali capeggiati da Schaeuble-Merkel-Dijsselbloem e compagnia bella?
Ma senza andare troppo indietro nel tempo, basti pensare al finto litigio tra Renzi e Juncker e ai sonori ceffoni ricevuti dall'esecutivo italiano sulla concessione di una deroga dello 0,2% (3 miliardi di Euro, ovvero i soldi che l'UE regalerà alla Turchia di Erdogan) sul rapporto deficit/PIL italiano per il 2016. David Cameron può sedersi al tavolo con l'UE in posizione negoziale forte solo perché gli inglesi non adottano, e mai lo faranno, l'Euro: l'arma di ricatto perfetta. Ma cosa si nasconde davvero dietro l'accordo siglato venerdì notte? Cameron non ha mai voluto questo referendum, lo ha promesso per poter essere riconfermato Primo Ministro, per respingere l'attacco degli euro-scettici e per accontentare la frangia anti-UE nel suo partito. La pantomima delle negoziazioni con Bruxelles è servita principalmente a questo: da un lato Cameron si impegna a sostenere la permanenza del Regno Unito in UE, dall'altro i partner europei, consapevoli che in caso di Brexit il loro già vacillante castello cadrebbe rovinosamente, s'impegnano a garantire un accordo in tipico stile Europa (tanto fumo e niente arrosto) al primo ministro di Sua Maestà. Così da poter tornare trionfante in patria.
UN ACCORDO CHE NON CAMBIA NULLA
L'accordo raggiunto a Bruxelles non cambia praticamente nulla alle posizioni privilegiate di cui già gli inglesi godono oggi. L'esenzione dalla "Ever Closer Union" è una realtà consolidata per la Gran Bretagna: qualsiasi altro step verso l'integrazione doveva già passare per un cambiamento dei Trattati a cui qualunque Governo britannico si sarebbe opposto. La protezione della City, inoltre, Cameron se l'è già garantita piazzando l'inglese Jonathan Hill in Commissione Europea, a gestire uno dei portafogli più importanti della legislatura, quello sulla regolamentazione finanziaria. Chiaramente una mossa presa in comune accordo con il funambolo Jean-Claude Juncker, presidente dell'esecutivo europeo più impresentabile della storia. E gli effetti già si vedono, visto che il dossier sulla separazione bancaria ("Banking Structural Reform") è bloccato da un anno. Infine, il taglio degli assegni familiari per i figli fuori UK riguarderebbe solo 34mila persone, e per chi ne ha già diritto sarebbe applicato dal 2020. Insomma, tanto fumo negli occhi e niente arrosto.
LA CRISI POLITICA IN UE
Il discorso cambia se invece guardiamo le cose da un'altra ottica. Con questo accordo si mette unapietra tombale all'Europa unita a livello politico. E lo si fa scrivendo nero su bianco il tutto. Il tragico filone ricalca la metodologia (fallimentare) dell'UE nel gestire le crisi: sempre la stessa, sempre meno democratica e, soprattutto, non vincolante quando ce ne sarebbe bisogno. L'accordo raggiunto, com'è stato nei casi del MES e del Fiscal Compact, non rientra nel diritto comunitario. Si tratta di accordi intergovernativi. Cosa vuol dire? Che i capi di Stato, convocati dai tecnocrati, utilizzano la scusa del Consiglio Europeo per riunirsi e sottoscrivere un accordo che sia il più possibile al riparo dai processi democratici e dal giudizio dei cittadini. Dunque, dal punto di vista strettamente legale, le cose sono poco chiare e molto fumose. "Chi decide per chi?", "chi decide cosa?" e "con che metodo si decide?" sono tre domande a cui questa UE, incredibilmente e furbescamente, non sa ancora rispondere. Cosa succederà, inoltre, se in futuro qualche Stato membro alzerà la mano per chiedere alla Corte di Giustizia Europea se i punti negoziati siano compatibili o meno col diritto comunitario? Questa è un'altra questione senza risposta, perché secondo autorevoli voci l'accordo siglato non è vincolante dal punto di vista legale, in quanto non rientra nel framework del diritto comunitario.
L'ASSENZA DI DEMOCRAZIA
Il tipico metodo decisionale UE nel fronteggiare le crisi ricalca anche il copione dell'esclusione totale dei cittadini. Non parliamo dei parlamenti nazionali che non sono stati interpellati nemmeno per sbaglio durante la fase di negoziazione dell'accordo. Poniamo l'accento sul Parlamento Europeo: dei suoi 751 membri, hanno partecipato ai negoziati solamente tre membri, in qualità di turisti per caso. I soliti "sherpa" garanti degli interessi delle lobbies che hanno negoziato anche il Fiscal Compact (Roberto Gualtieri, PD/S&D; Elmar Brok, CDU/PPE; e il federalista europeo Guy Verhofstadt, ALDE). Per la cronaca, l'Europarlamento è l'unica delle istituzioni internazionali direttamente eletta dal popolo. Ma uno degli aspetti più interessanti è stato come i media, soprattutto nostrani, hanno venduto e comunicato l'accordo di venerdì: dai titoloni sembrerebbe che il Regno Unito rimarrà parte dell'UE. Ma i cittadini britannici devono ancora esprimere la loro opinione il 23 giugno e potrebbero esserci sorprese. Infatti, oltre all'innata avversione per l'Unione Europea insita in ogni suddito di Sua Maestà, nel weekend diversi ministri di Cameron e l'influente sindaco di Londra, Boris Johnson, hanno già dichiarato che faranno campagna per il "Leave", quindi per l'uscita definitiva della Gran Bretagna dall'Unione. Comunque andrà il referendum, ci sarà il caos e si paleserà l'ennesima riprova che l'architettura dell'Unione Europea non è in grado di affrontare le crisi, sia politiche (con le diverse volontà culturali e antropologiche dei 28 Stati Membri), ma soprattutto economiche, a causa di una valuta che si è trasformata da strumento di aggregazione in strumento di vessazione e soppressione della democrazia.