Guardate, il ragionamento è molto semplice: se le banche italiane non contabilizzano in tutto o in parte come perdite quelle che si ostinano a definire “sofferenze”, il valore delle suddette banche continuerà a scendere in Borsa, fino alla catastrofe.
Infatti, il valore delle azioni di una banca quotata in Borsa esprime il valore del suo capitale, della sua ricchezza, della sua solidità.
Ora, se una banca – e non serve fare nomi, tanto vale per tutte all’incirca allo stesso modo – se una banca, dicevo, nasconde perdite colossali perchè non le vuole mettere a bilancio, le lascia lì sospese nell’aria, senza che siano recuperabili e neppure contabilizzate, capite che il valore delle sue azioni non può non risentirne.
Detto questo, il deprezzamento delle azioni di ciascuna banca (italiana) non potrà che essere direttamente proporzionale alla dimensione delle perdite in rapporto al capitale della medesima.
Detto in pratica: o la banca immette capitali freschi per ripianare la perdita da sofferenze, oppure la banca vede calare il proprio valore – suddiviso in azioni – per lo stesso importo della perdita, aumentato in modo esponenziale dalla ovvia diminuzione di fiducia del mercato nei confronti di questo istituto di credito.
Da questa situazione, purtroppo, non è esente nessuna banca in Italia.
Come se ne esce? Dipende. Se portassimo l’orologio della storia indietro nel tempo al 1999, la soluzione sarebbe semplice: Il Tesoro interverrebbe con capitali ripianando le perdite avendo in cambio quote delle banche rifinanziate. Questi capitali aumenterebbero il debito pubblico in lire e porterebbero a una svalutazione della lira nel mercato dei cambi, ma senza influire più di tanto sul mercato interno in lire.
Tutte le banche sarebbero salve, la ripresa partirebbe di slancio. Se questa ricetta venisse usata oggi, inoltre, non vi sarebbe neppure il problema del costo delle materie prime, ad iniziare dal fondamentale petrolio, dato che il prezzo attuale è simile a quello del 1970.
Direte: ma non si può. Errore: si può eccome, è il governo che non vuole. Basterebbe uscire dall’euro, e il momento è il più favorevole che la storia dell’Europa e dell’Occidente mai potrà offrire, per salvare d’incanto l’Italia e gli italiani.
Poi, c’è l’altra strada. Anche questa è semplice: le banche contabilizzano le perdite, ogni banca deve per conto suo fare aumenti di capitale equivalenti, solo un piccolo numero ci riuscirà, tutte le altre falliranno, arriverà un bail in alla cipriota, la maggior parte degli italiani perderà la maggior parte dei propri risparmi, arriverà la Troika, verranno tagliate pensioni e stipendi, ci saranno licenziamenti di massa, L’Italia diventerà molto simile alla Grecia.
Come vedete, è facile sistemare la faccenda “sofferenze”. Delle due, l’una: o soffriranno i banchieri delle consorterie che manovrano la Commissione europea a Bruxelles e comandano dentro la Bce a Francoforte, o soffriranno le pene dell’inferno tutti gli italiani.
Dipende, appunto.
– Il Nord