Nel 1981 avvenne ciò che comunemente viene ricordato con il nome di “divorzio” tra il Ministero del Tesoro e la Banca d’Italia. Con un semplice scambio epistolare tra Beniamino Andreatta e Carlo Azeglio Ciampi fu conclusa un’epoca. La Banca d’Italia non aveva più l’obbligo di finanziare la nostra spesa pubblica sovrana, non era più tenuta ad acquistare i titoli di Stato che rimanevano invenduti alle aste. Il finanziamento del nostro debito da allora dipese esclusivamente dai mercati.
Circa gli effetti del divorzio sono i numeri a parlare, con un raddoppio del rapporto debito/pil in appena dieci anni.
Ma la verità la raccontò a tutti anche lo stesso Andreatta, sulle colonne di “Il Sole 24” già nel 1992, frase che ho riportato integralmente anche nel mio libro “Il tramonto della democrazia”:
“Il divorzio non ebbe allora il consenso politico, ne’ lo avrebbe avuto negli anni seguenti; nato come “congiura aperta” tra il ministro e il governatore divenne, prima che la coalizione degli interessi contrari potesse organizzarsi, un fatto della vita che sarebbe stato troppo costoso – soprattutto sul mercato dei cambi – abolire per ritornare alle piu’ confortevoli abitudini del passato”.
Ecco cosa scriveva lo stesso Andreatta sul Sole 24 ore:
ulteriori progressi nella chiarezza dei ruoli e delle responsabilita'.
Ero al ministero del Tesoro da poco piu' di tre mesi, di cui due quasi integralmente occupati a rimettere in movimento il meccanismo delle nomine bancarie -nomine da ministro della Repubblica, senza condiscendenze alle pressioni dei partiti della maggioranza - quando dovetti valutare, con senso di urgenza, che la crisi del secondo shock petrolifero imponeva di essere affrontata con decisioni politiche mai tentate prima di allora.
La propensione al risparmio finanziario degli italiani si stava proprio in quei mesi abbassando paurosamente e il valore dei cespiti reali - case e azioni- aumentava a un tasso del cento per cento all' anno.
La soluzione classica sarebbe stata quella di una stretta del credito, accompagnata da una stretta fiscale, che, come nel 1975, avesse creato una recessione con una caduta di alcuni punti del prodotto interno lordo; ma l' esperienza stessa degli anni 70 indicava due ordini di difficolta' :
a) la Banca d' Italia aveva perduto il controllo dell' offerta di moneta, fino a quando essa non fosse stata liberata dall' obbligo di garantire il finanziamento del Tesoro;
b) il demenziale rafforzamento della scala mobile, prodotto dell' accordo tra Confindustria e sindacati confederali proprio nei primi mesi del 1975, aveva talmente irrigidito la struttura dei prezzi, che, in presenza di un raddoppio del prezzo dell' energia, anche una forte stretta da sola era impotente a impedire che un nuovo
equilibrio potesse essere raggiunto senza un' inflazione tale da riallineare prezzi e salari ai costi dell' energia.
L' imperativo era di cambiare il regime della politica economica e lo dovevo fare in una compagine ministeriale in cui non avevo alleati, ma colleghi ossessionati dall' ideologia della crescita a ogni costo, sostenuta da bassi tassi di interesse reali e da un cambio debole. La nostra stessa presenza nello Sme era allora messa in pericolo (c'è da ricordare che il partito socialista si era astenuto quando il Parlamento voto' nel 1978 sull' adesione all' accordo di cambio e che i ministri socialisti avevano di fatto un potere di veto sulla politica economica).
I miei consulenti legali mi diedero un parere favorevole sulla mia esclusiva competenza, come ministro del Tesoro, di ridefinire i termini delle disposizioni date alla Banca d' Italia circa le modalita' dei suoi interventi sul mercato e il 12 febbraio 1981 scrissi la lettera che avrebbe portato nel luglio dello stesso anno al "divorzio". Il termine intendeva sottolineare una discontinuita' , un mutamento appunto di regime della politica economica; un' analoga operazione che negli Stati Uniti pose termine nel 1951 alla politica di denaro facile, che aveva permesso il finanziamento della Seconda guerra mondiale, veniva ricordata come l' agreement tra Tesoro e Fed. Nei limiti stretti delle mie competenze era invece mia intenzione sottolineare la novita' , la rottura con il passato, quando poteva apparire "sedizioso" un comportamento della Banca che rifiutasse il finanziamento del fabbisogno pubblico per non creare base monetaria in eccesso.
Il divorzio non ebbe allora il consenso politico, ne' lo avrebbe avuto negli anni seguenti; nato come "congiura aperta" tra il ministro e il governatore divenne, prima che la coalizione degli interessi contrari potesse organizzarsi, un fatto della vita che sarebbe stato troppo costoso - soprattutto sul mercato dei cambi - abolire per ritornare alle piu' confortevoli abitudini del passato.
Per rafforzare l' autonomia della Banca d' Italia altre due questioni
venivano affrontate in quella lettera:
1) costituzione di un consorzio di collocamento tra banche commerciali, nelle mie intenzioni destinato soprattutto per il debito pubblico a piu' lunga scadenza;
2) una nuova regolamentazione dello scoperto del conto corrente di Tesoreria.
I tempi non erano maturi per affrontare questi aspetti e la Banca d' Italia preferi' procedere solo sul nuovo regolamento della sua presenza nelle aste. Facendo queste proposte era mia intenzione drammatizzare la separazione tra Banca e Tesoro per operare una disinflazione meno cruenta in termini di perdita di occupazione e di
produzione, sostenuta dalla maggiore credibilita' dell' istituto di emissione una volta che esso fosse liberato dalla funzione di banchiere del Tesoro. Accarezzai anche l' ipotesi di un rebasement della lira che avrebbe potuto essere sostituita da uno scudo
italiano, con parita' uno a uno con l' Ecu, e con l' impegno unilaterale di mantenere nel tempo questa parita' e approfondii l' argomento in numerose conversazioni con Ortoli, allora vicepresidente della Commissione di Bruxelles. Il filo conduttore era lo stesso che ispiro' il divorzio, quello, cioe' , di facilitare la politica di stabilizzazione favorendo il formarsi di aspettative favorevoli da parte degli operatori che avrebbero agevolato la trasmissione sui prezzi della politica monetaria, minimizzando gli effetti negativi
sui volumi.
Senza presunzioni eccessive, questa lettera ha segnato davvero una svolta e il divorzio, assieme all' adesione allo Sme (di cui era un' inevitabile conseguenza), ha dominato la vita economica degli anni 80, permettendo un processo di disinflazione relativamente indolore, senza che i problemi della ristrutturazione industriale venissero ulteriormente complicati da una pesante recessione da stabilizzazione.
Naturalmente la riduzione del signoraggio monetario e i tassi di interesse positivi in termini reali si tradussero rapidamente in un nuovo grave problema per la politica economica, aumentando il fabbisogno del Tesoro e l' escalation della crescita del debito rispetto al prodotto nazionale.
Da quel momento in avanti la vita dei ministri del Tesoro si era fatta piu' difficile e a ogni asta il loro operato era sottoposto al giudizio del mercato. Il bilancio di competenza del 1982 e' la dimostrazione di questa nuova situazione: riuscii in pratica ad azzerare i fondi globali, cosa che non era successa prima ne' successe dopo. Il saldo netto da finanziare del bilancio preventivo e il fabbisogno del consuntivo furono del 10% inferiore agli analoghi aggregati dell' anno precedente, anche se poi la Tesoreria, caricata nel recente passato, provoco' un volume eccezionalmente elevato di indebitamento.
Bisognava continuare a stringere le spese di competenza e nella preparazione del bilancio ' 83 si chiese al Parlamento una delega amplissima per affrontare con decreti delegati i nodi che il Parlamento stesso si dimostrava riluttante a sciogliere. Queste
deleghe furono nell' autunno rifiutate e, nel mezzo del turbamento che ne segui' sui mercati finanziari, il collega Formica propose di rimborsare una quota soltanto del debito del Tesoro con una specie di concordato extragiudiziale. Risposi a rime baciate per sdrammatizzare il panico che ne sarebbe potuto seguire; e subito fu l'affare delle comari. Pochi mesi piu' tardi, in analoghe circostanze, Jacques Delors riusci' a sbarcare cinque ministri che avevano sostenuto - privatamente - la convenienza per la Francia di uscire dallo Sme. La stampa e i politici di casa nostra sembravano invece ignorare il baratro che avevamo sfiorato e ipocritamente si scandalizzarono per la forma delle mie risposte. Il divorzio aveva fatto la sua prima vittima ed era il suo autore; ma aveva dimostrato di funzionare. Negli anni successivi non divenne certo popolare nei palazzi della politica, ma continuo' ad assicurare legami fra la politica italiana e quella dell' Europa."
La soluzione classica sarebbe stata quella di una stretta del credito, accompagnata da una stretta fiscale, che, come nel 1975, avesse creato una recessione con una caduta di alcuni punti del prodotto interno lordo; ma l' esperienza stessa degli anni 70 indicava due ordini di difficolta' :
a) la Banca d' Italia aveva perduto il controllo dell' offerta di moneta, fino a quando essa non fosse stata liberata dall' obbligo di garantire il finanziamento del Tesoro;
b) il demenziale rafforzamento della scala mobile, prodotto dell' accordo tra Confindustria e sindacati confederali proprio nei primi mesi del 1975, aveva talmente irrigidito la struttura dei prezzi, che, in presenza di un raddoppio del prezzo dell' energia, anche una forte stretta da sola era impotente a impedire che un nuovo
equilibrio potesse essere raggiunto senza un' inflazione tale da riallineare prezzi e salari ai costi dell' energia.
L' imperativo era di cambiare il regime della politica economica e lo dovevo fare in una compagine ministeriale in cui non avevo alleati, ma colleghi ossessionati dall' ideologia della crescita a ogni costo, sostenuta da bassi tassi di interesse reali e da un cambio debole. La nostra stessa presenza nello Sme era allora messa in pericolo (c'è da ricordare che il partito socialista si era astenuto quando il Parlamento voto' nel 1978 sull' adesione all' accordo di cambio e che i ministri socialisti avevano di fatto un potere di veto sulla politica economica).
I miei consulenti legali mi diedero un parere favorevole sulla mia esclusiva competenza, come ministro del Tesoro, di ridefinire i termini delle disposizioni date alla Banca d' Italia circa le modalita' dei suoi interventi sul mercato e il 12 febbraio 1981 scrissi la lettera che avrebbe portato nel luglio dello stesso anno al "divorzio". Il termine intendeva sottolineare una discontinuita' , un mutamento appunto di regime della politica economica; un' analoga operazione che negli Stati Uniti pose termine nel 1951 alla politica di denaro facile, che aveva permesso il finanziamento della Seconda guerra mondiale, veniva ricordata come l' agreement tra Tesoro e Fed. Nei limiti stretti delle mie competenze era invece mia intenzione sottolineare la novita' , la rottura con il passato, quando poteva apparire "sedizioso" un comportamento della Banca che rifiutasse il finanziamento del fabbisogno pubblico per non creare base monetaria in eccesso.
Il divorzio non ebbe allora il consenso politico, ne' lo avrebbe avuto negli anni seguenti; nato come "congiura aperta" tra il ministro e il governatore divenne, prima che la coalizione degli interessi contrari potesse organizzarsi, un fatto della vita che sarebbe stato troppo costoso - soprattutto sul mercato dei cambi - abolire per ritornare alle piu' confortevoli abitudini del passato.
Per rafforzare l' autonomia della Banca d' Italia altre due questioni
venivano affrontate in quella lettera:
1) costituzione di un consorzio di collocamento tra banche commerciali, nelle mie intenzioni destinato soprattutto per il debito pubblico a piu' lunga scadenza;
2) una nuova regolamentazione dello scoperto del conto corrente di Tesoreria.
I tempi non erano maturi per affrontare questi aspetti e la Banca d' Italia preferi' procedere solo sul nuovo regolamento della sua presenza nelle aste. Facendo queste proposte era mia intenzione drammatizzare la separazione tra Banca e Tesoro per operare una disinflazione meno cruenta in termini di perdita di occupazione e di
produzione, sostenuta dalla maggiore credibilita' dell' istituto di emissione una volta che esso fosse liberato dalla funzione di banchiere del Tesoro. Accarezzai anche l' ipotesi di un rebasement della lira che avrebbe potuto essere sostituita da uno scudo
italiano, con parita' uno a uno con l' Ecu, e con l' impegno unilaterale di mantenere nel tempo questa parita' e approfondii l' argomento in numerose conversazioni con Ortoli, allora vicepresidente della Commissione di Bruxelles. Il filo conduttore era lo stesso che ispiro' il divorzio, quello, cioe' , di facilitare la politica di stabilizzazione favorendo il formarsi di aspettative favorevoli da parte degli operatori che avrebbero agevolato la trasmissione sui prezzi della politica monetaria, minimizzando gli effetti negativi
sui volumi.
Senza presunzioni eccessive, questa lettera ha segnato davvero una svolta e il divorzio, assieme all' adesione allo Sme (di cui era un' inevitabile conseguenza), ha dominato la vita economica degli anni 80, permettendo un processo di disinflazione relativamente indolore, senza che i problemi della ristrutturazione industriale venissero ulteriormente complicati da una pesante recessione da stabilizzazione.
Naturalmente la riduzione del signoraggio monetario e i tassi di interesse positivi in termini reali si tradussero rapidamente in un nuovo grave problema per la politica economica, aumentando il fabbisogno del Tesoro e l' escalation della crescita del debito rispetto al prodotto nazionale.
Da quel momento in avanti la vita dei ministri del Tesoro si era fatta piu' difficile e a ogni asta il loro operato era sottoposto al giudizio del mercato. Il bilancio di competenza del 1982 e' la dimostrazione di questa nuova situazione: riuscii in pratica ad azzerare i fondi globali, cosa che non era successa prima ne' successe dopo. Il saldo netto da finanziare del bilancio preventivo e il fabbisogno del consuntivo furono del 10% inferiore agli analoghi aggregati dell' anno precedente, anche se poi la Tesoreria, caricata nel recente passato, provoco' un volume eccezionalmente elevato di indebitamento.
Bisognava continuare a stringere le spese di competenza e nella preparazione del bilancio ' 83 si chiese al Parlamento una delega amplissima per affrontare con decreti delegati i nodi che il Parlamento stesso si dimostrava riluttante a sciogliere. Queste
deleghe furono nell' autunno rifiutate e, nel mezzo del turbamento che ne segui' sui mercati finanziari, il collega Formica propose di rimborsare una quota soltanto del debito del Tesoro con una specie di concordato extragiudiziale. Risposi a rime baciate per sdrammatizzare il panico che ne sarebbe potuto seguire; e subito fu l'affare delle comari. Pochi mesi piu' tardi, in analoghe circostanze, Jacques Delors riusci' a sbarcare cinque ministri che avevano sostenuto - privatamente - la convenienza per la Francia di uscire dallo Sme. La stampa e i politici di casa nostra sembravano invece ignorare il baratro che avevamo sfiorato e ipocritamente si scandalizzarono per la forma delle mie risposte. Il divorzio aveva fatto la sua prima vittima ed era il suo autore; ma aveva dimostrato di funzionare. Negli anni successivi non divenne certo popolare nei palazzi della politica, ma continuo' ad assicurare legami fra la politica italiana e quella dell' Europa."