di Arnaldo Capezzuto
Il Fatto Quotidiano
La legge Severino tra tagliandi, punti da cambiare, interpretazioni continua a far tremare amministratori condannati e chi è in procinto di esserlo. Lo stallo è totale, il dibattito più che politico è legislativo-giudiziario. I programmi, i problemi dei cittadini, il governare è scivolato in secondo, terzo ordine.
Lo scuorno (vergogna) è totale come del resto la confusione, il disorientamento e la sfiducia che serpeggia tra chi ha votato e chi rappresenta il partito maggioritario dei senza partiti. C’è chi – tra gli addetti ai lavori – si gira e rigira tra le mani il testo della legge Severino in cerca di una filigrana, un punto debole e imprecando si chiede: “Quando l’abbiamo approvata stavamo ubriachi?”.
Non c’è una via d’uscita di sicurezza, una botola, un doppio fondo neppure un cavillo per fare un pernacchio a chi per legge la deve applicare. Niente. Forse più semplicemente e naturalmente non si doveva consentire ai candidati condannati di partecipare alle primarie per l’investitura popolare e ottenere il placet per concorrere alle elezioni.
Chiacchiere inutili dietro le quali irresponsabilmente i dirigenti politici che nei fatti contano poco adottano il comodoparaculismo formato “foglia di fico”: gli elettori si sono espressi liberamente. Insomma ora il vicolo è cieco.
Il caso Campania tiene banco ed è un caso imbarazzante ma allo stesso tempo è testa d’ariete di sfondamento. Nell’ombra, infatti, c’è chi in apnea aspetta paziente. Sta lì. Zitto, zitto. Acquattato, timoroso e silente. Dietro l’ingombro della sagoma del grande cavallo di Troia di Vincenzo De Luca si è ben nascosto- ad esempio- un altro governatore. E’ Marcello Pittella (Pd), presidente della Regione Basilicata, fratello di Gianni, al quarto mandato europeo nonostante lo statuto del Pd lo vieti, ma si sa, la deroga non si nega.
Il governatore lucano rischia grosso. Come il suo predecessore e attuale sottosegretario alla Sanità, il renziano Vito De Filippo e in compagnia con altri 28 politici potrebbe essere condannato per peculato. La vicenda è quella di rimborsopoli. La prima udienza del processo si è celebrata il 31 ottobre e il procedimento corre veloce. L’accusa è aver ottenuto rimborsi non dovuti. Lo scandalo travolse il precedente consiglio regionale e la Giunta presieduta appunto da Vito De Filippo dove Marcello Pittella, ricopriva oltre alla carica di vicepresidente anche quella di potente assessore regionale alle Attività produttive e lavoro.
Senza dimenticare che di recente la Corte dei Conti ha chiesto la restituzione dei soldi spesi dai gruppi consiliari nel 2013 in modo ritenuto non corretto. In sintesi, in pieno scandalo di rimborsopoli, la classe politica lucana ha continuato a far finta di nulla e impiegare il denaro pubblico in modo poco trasparente e per usi non attinenti alla politica. Una bufera giudiziaria che indusse il presidente e il consiglio a rassegnare le dimissioni. Ne seguirono riunioni, conciliaboli, tavoli tecnici per far emergere e accompagnare – sulla carta – una nuova classe politica a conquistare la Regione Basilicata, storicamente dominata dal Pd in stile consociativo. A “gestire” la transizione accorse da Roma l’ex capogruppo del Pd alla Camera dei Deputati, il potentino Roberto Speranza.
Le parole d’ordine, le solite: rinnovamento, responsabilità e coerenza. Alla fine l’indagato Marcello Pittella rovescia il tavolo, si candida alle primarie di coalizione e vince. Le consultazioni di novembre sono solo una pura formalità. Nell’ipotesi di condanna in primo grado, il governatore Pittella sarebbe sospeso dalla carica e rischierebbe la decadenza.
Insomma, il Pd potrebbe rischiare di perdere Basilicata e Campania provocando un caos istituzionale in due fondamentali regioni dell’ignorato meridione d’Italia. Ecco perché gli occhi sono puntati tutti su Vincenzo De Luca, l’ariete. Nella sua arca, un poco alla volta, stanno salendo proprio tutti appassionatamente in cerca di una polizza assicurativa e più che altro dell’impunità.
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