di Francesco Colaci
Il Partito Democratico è un po’ come un abile prestigiatore: non smette mai di stupire il suo pubblico. Del resto, neanche i famigerati DS scherzavano: sono stati la prima forza politica (ex comunista) in Italia ad avviare le privatizzazioni (Bersani) e a traghettare il paese nella grande disavventura europeista, sotto l’energica spinta di Romano Prodi.
Ma ecco che questo non bastava, perché la noia sopraggiunge sempre e le menti artistiche di governo sono costrette a inventare nuove strategie per intrattenere il popolo italiano.
Ecco che arriva il mago più potente che i democratici abbiano mai potuto desiderare, un democristiano vestito di rosso, un liberale travestito da socialista, un uomo che, per qualche inafferrabile mistero, indossa sempre una maschera. Da qui, lo spettacolo più grande: l’abolizione dell’articolo 18. Dapprima, nessuno riteneva possibile l’attuazione di tale obiettivo, tuttavia fra gli italiani non vi è stato solo chi ha dimostrato un atteggiamento passivo di fronte a queste misure, ma chi addirittura le ha giustificate, parlando di “un articolo obsoleto, mai attuato fino in fondo”. La fede ingenua dell’elettorato democratico è difficile da stroncare, è un cancro che si insinua nel tessuto progressista senza la possibilità di poter fare un distinguo fra “cellule buone” e “cellule cattive”, e quelle buone finiscono poi per essere contaminate.
Nonostante ciò, il clientelismo e il rapporto politica-imprenditoria hanno alimentato la sopravvivenza di questo partito, senza la capacità di lucida analisi dello status effettivo. Conscio di ciò, Matteo Renzi ha speso le proprie energie in una finissima operazione retorica, presentandosi come un “rottamatore”, o meglio, un uomo del progressismo moderno che intende scardinare “il sistema”, trasformandolo, al contrario, in una macchina ancora più reazionaria. Se lo smantellamento dei diritti sociali e la legalizzazione del lavoro precario dettati dall’abolizione dell’articolo 18 non hanno destato troppo allarmismo tra i dem, diversamente è avvenuto per l’intento di trasformare la Costituzione. Un progetto, questo, che insieme alla riforma sulla “buona scuola” ha comportato una massiccia fuoriuscita di militanti e aree storiche del partito, quali la corrente minoritaria di Stefano Fassina, ora Sinistra Italiana. Una vittoria schiacciante quella del 4 Dicembre 2016, un trionfo popolare per la difesa della carta costituzionale. Tale si è rivelata la ferita all’orgoglio personale per l’incorreggibile presidente toscano, da spingerlo a dare le dimissioni poche ore dopo.
Eppure, non tutto è finito, non tutto è perduto. Come per ogni trama avventurosa che si rispetti, l’antagonista ritorna sempre, con mezzi ed espedienti nuovi. Renzi deve desiderare a tal punto la celebrazione del proprio ritorno, da sancirne l’imprevedibile mossa elettorale che ha scosso l’intera opinione pubblica: la dichiarazione rilasciata, durante un’intervista Sky, di una possibile alleanza con il centro-destra, o meglio, ciò che resta di Forza Italia. L’elettorato dissidente (compresa la nostra redazione) non è rimasto stupito da tali affermazioni, poiché si tratterebbe di un consolidamento di forze oramai convergenti su diversi punti programmatici. Non ci si dimentichi che il Partito Democratico strinse un’alleanza con l’ex “Nuovo Centro-Destra” di Alfano (ora “Alternativa Popolare”) pur di fornire il proprio sostegno al Governo Letta. Sebbene l’entourage di Alfano sia teoricamente contrapposto a quello di Berlusconi (soprattutto per quanto concerne i rapporti con l’Europa e la questione monetaria), Renzi punta fiduciosamente a una possibile collaborazione tra i due; l’obiettivo, probabilmente, è quello di far leva sull’appetito elettorale che ha sempre contraddistinto l’uomo di Arcore, giustificando la scelta delle larghe intese come unica soluzione di fronte a una legge elettorale poco indulgente. Tuttavia, egli ammonisce le posizioni ostili assunte da Forza Italia in merito alla riforma costituzionale:
“Berlusconi è venuto meno ad un impegno, scegliendo di appoggiare chi pensava che la riforma fosse un attentato alla Costituzione”. Incalza l’ex presidente del consiglio con le affermazioni divertenti: “la gente non ci capirebbe: se ci mettessimo insieme il giorno dopo le elezioni penserebbero a una questione di poltrone”.
Come potrebbe pensare altrimenti un popolo italiano già fortemente scettico nei confronti di un fatiscente sistema partitico, dopo i rinnovati tentativi di abbattere le garanzie costituzionali e il potere di opposizione in Parlamento. Cosa ancora più sorprendente, Renzi lancia un avviso importante, che sembra avere il gusto della vendetta:
“Con quelli che sono andati via dal Pd, è ovvio che non faremo alleanze. Non perché hanno insultato me ma perché hanno tradito decine di migliaia di militanti”.
Dunque, niente alleanza con i propri “simili”, ovvero quella sconfinata galassia esistente a sinistra del PD, per il toscano poco rilevante a livello elettorale e, per certi versi, politicamente individualista. Una manovra certamente spregiudicata quella di Renzi, che sembra non preoccuparsi troppo di consensi eventuali. Vincere facile del resto è possibile, nel momento in cui buona parte della minoranza democratica è fuoriuscita dal partito e quando si ha, quale “temibile” avversario, niente di meglio che un Gianni Cuperlo. Neanche le affermazioni di Orlando (PD) lasciano minimamente intravedere un barlume di opposizione:
“Se si dovesse porre questo tema, io chiederò la convocazione di un referendum, previsto dallo Statuto, per decidere se andare con Berlusconi o Pisapia. Io tra Pisapia e Berlusconi scelgo Pisapia, se per questioni di rancore personale per Renzi non è così, non credo sarà compreso dal nostro popolo”.
Considerate le premesse e il clima di fratellanza, un referendum per l’accorpamento del PD e di Forza Italia sarebbe la soluzione più opportuna. I conti del leader toscano tornano eccome, poiché qualora Berlusconi riuscisse a riportare sotto la propria ala anche Alfano, una grande coalizione liberale potrebbe ergersi alla guida del paese, creando un unico blocco “anti grillo”, come auspicato da Luigi Zanda, capogruppo del PD al Senato. Riuscirà il nostro eroe fiorentino a riunire le anime inconciliabili dei palazzi della politica romana? Lo scopriremo nella prossima puntata, intitolata “Elezioni politiche 2018”.
Nonostante ciò, il clientelismo e il rapporto politica-imprenditoria hanno alimentato la sopravvivenza di questo partito, senza la capacità di lucida analisi dello status effettivo. Conscio di ciò, Matteo Renzi ha speso le proprie energie in una finissima operazione retorica, presentandosi come un “rottamatore”, o meglio, un uomo del progressismo moderno che intende scardinare “il sistema”, trasformandolo, al contrario, in una macchina ancora più reazionaria. Se lo smantellamento dei diritti sociali e la legalizzazione del lavoro precario dettati dall’abolizione dell’articolo 18 non hanno destato troppo allarmismo tra i dem, diversamente è avvenuto per l’intento di trasformare la Costituzione. Un progetto, questo, che insieme alla riforma sulla “buona scuola” ha comportato una massiccia fuoriuscita di militanti e aree storiche del partito, quali la corrente minoritaria di Stefano Fassina, ora Sinistra Italiana. Una vittoria schiacciante quella del 4 Dicembre 2016, un trionfo popolare per la difesa della carta costituzionale. Tale si è rivelata la ferita all’orgoglio personale per l’incorreggibile presidente toscano, da spingerlo a dare le dimissioni poche ore dopo.
Eppure, non tutto è finito, non tutto è perduto. Come per ogni trama avventurosa che si rispetti, l’antagonista ritorna sempre, con mezzi ed espedienti nuovi. Renzi deve desiderare a tal punto la celebrazione del proprio ritorno, da sancirne l’imprevedibile mossa elettorale che ha scosso l’intera opinione pubblica: la dichiarazione rilasciata, durante un’intervista Sky, di una possibile alleanza con il centro-destra, o meglio, ciò che resta di Forza Italia. L’elettorato dissidente (compresa la nostra redazione) non è rimasto stupito da tali affermazioni, poiché si tratterebbe di un consolidamento di forze oramai convergenti su diversi punti programmatici. Non ci si dimentichi che il Partito Democratico strinse un’alleanza con l’ex “Nuovo Centro-Destra” di Alfano (ora “Alternativa Popolare”) pur di fornire il proprio sostegno al Governo Letta. Sebbene l’entourage di Alfano sia teoricamente contrapposto a quello di Berlusconi (soprattutto per quanto concerne i rapporti con l’Europa e la questione monetaria), Renzi punta fiduciosamente a una possibile collaborazione tra i due; l’obiettivo, probabilmente, è quello di far leva sull’appetito elettorale che ha sempre contraddistinto l’uomo di Arcore, giustificando la scelta delle larghe intese come unica soluzione di fronte a una legge elettorale poco indulgente. Tuttavia, egli ammonisce le posizioni ostili assunte da Forza Italia in merito alla riforma costituzionale:
“Berlusconi è venuto meno ad un impegno, scegliendo di appoggiare chi pensava che la riforma fosse un attentato alla Costituzione”. Incalza l’ex presidente del consiglio con le affermazioni divertenti: “la gente non ci capirebbe: se ci mettessimo insieme il giorno dopo le elezioni penserebbero a una questione di poltrone”.
Come potrebbe pensare altrimenti un popolo italiano già fortemente scettico nei confronti di un fatiscente sistema partitico, dopo i rinnovati tentativi di abbattere le garanzie costituzionali e il potere di opposizione in Parlamento. Cosa ancora più sorprendente, Renzi lancia un avviso importante, che sembra avere il gusto della vendetta:
“Con quelli che sono andati via dal Pd, è ovvio che non faremo alleanze. Non perché hanno insultato me ma perché hanno tradito decine di migliaia di militanti”.
Dunque, niente alleanza con i propri “simili”, ovvero quella sconfinata galassia esistente a sinistra del PD, per il toscano poco rilevante a livello elettorale e, per certi versi, politicamente individualista. Una manovra certamente spregiudicata quella di Renzi, che sembra non preoccuparsi troppo di consensi eventuali. Vincere facile del resto è possibile, nel momento in cui buona parte della minoranza democratica è fuoriuscita dal partito e quando si ha, quale “temibile” avversario, niente di meglio che un Gianni Cuperlo. Neanche le affermazioni di Orlando (PD) lasciano minimamente intravedere un barlume di opposizione:
“Se si dovesse porre questo tema, io chiederò la convocazione di un referendum, previsto dallo Statuto, per decidere se andare con Berlusconi o Pisapia. Io tra Pisapia e Berlusconi scelgo Pisapia, se per questioni di rancore personale per Renzi non è così, non credo sarà compreso dal nostro popolo”.
Considerate le premesse e il clima di fratellanza, un referendum per l’accorpamento del PD e di Forza Italia sarebbe la soluzione più opportuna. I conti del leader toscano tornano eccome, poiché qualora Berlusconi riuscisse a riportare sotto la propria ala anche Alfano, una grande coalizione liberale potrebbe ergersi alla guida del paese, creando un unico blocco “anti grillo”, come auspicato da Luigi Zanda, capogruppo del PD al Senato. Riuscirà il nostro eroe fiorentino a riunire le anime inconciliabili dei palazzi della politica romana? Lo scopriremo nella prossima puntata, intitolata “Elezioni politiche 2018”.
fonte: l'IntellettualeDissidente
Nessun commento:
Posta un commento