di Antonio Martino
La poderosa bastonatura referendaria inferta dai lavoratori di Alitalia ai sindacati confederali- da anni ormai inutili e perciò volenterosi lacchè del Padronato- ha provocato numerose reazioni da parte dei nostri petulanti corifei che affollano in ordine sparso il panorama dei media italiani.
Avendo rispetto e somma considerazione del Lettore, non rovineremo la sua giornata riportando tutte le astruse bestialità che, alla guisa di un vespasiano autostradale, hanno tappezzato il breve volgere di questi giorni: ci basti considerare la principale linea d’analisi predicata dagli emuli seriosi del mago Do Nascimento tra un completo tre pezzi grigio-Monti e una smorfia d’ordinanza antipopulista.
Secondo cotanta ignoranza, allora, quella di Alitalia è una vexata quaestio che non abbisogna di alcun supplemento di indagine, sintesi fatale di tutti i vizi e i lazzi della recente storia economica d’Italia. Da un lato i privilegiatissimi e pigri lavoratori della vecchia compagnia di bandiera; dall’altro la moltitudine di contribuenti da spremere ancora per turare le falle della malagestione di un carrozzone pubblico da eliminare come una macchia insolente. Le ultime roccaforti delle Partecipazioni Statali devono essere cancellate, bonificate da quel mercato infallibile a cui noi, porci mediterranei, siamo refrattari per indole e temperamento.
Cosa sono poche migliaia di lavoratori- e annesse famiglie- di fronte ai milioni di italiani già abbondantemente tartassati?
Si lasci fallire Alitalia, e vadano a cercarsi un nuovo impiego quei folli che hanno osato mordere la generosa mano del padrone! Il Mercato dà e toglie, distrugge e crea: ma che non intervenga ancora Pantalone, signora mia, non siamo mica al tempo di Cirino Pomicino! Confidiamo al lettore che, in fondo, v’è quasi piacere a scrivere siffatte minchionerie. Lo sforzo è nullo, le parole roboanti, la sintassi elementare: così facendo le vie verso i salotti buoni del giornalismo serio, posato e moderato si dischiudono senza alcuna fatica. A noi però piace fare le cose diversamente, e soprattutto bene.
Il sostanziale equilibrio della gestione IRI sintetizza plasticamente il concetto di “onere improprio”, ossia impresa pubblica per la collettività
In questo senso assume i caratteri di una pietosa sceneggiata l’atteggiamento censorio dei Ricardo in sedicesimo che abbaiano alla Luna cianciando di liberalizzazioni, tagli e colpe dei sindacati (dunque dei lavoratori, NdA).
Le ragioni di lungo periodo della crisi di Alitalia sono da rintracciare nell’apertura forzata dei mercati nazionali– prima regolamentati rigidamente dai vari Stati nazionali in regime di più o meno monopolio- al tempo della sbornia della deregulation importata da Oltreoceano. A quell’epoca Alitalia era un’azienda del gruppo IRI e come tale, pur esercitando un’attività economica, manteneva la vocazione di pubblico servizio: i bilanci di quel periodo, come si può vedere, riflettevano la teoria degli “oneri impropri”: lo Stato garantiva delle prestazioni necessarie che, altrimenti, nessuno avrebbe coperto, sopportandone le perdite attraverso il ricorso ai fondi di dotazione. In quell’epoca in cui il senno non aveva ancora lasciato posto alla cupidigia di servire pochi blateravano di inesistenti dicotomie lavoratori-contribuenti. Ci dice Mediobanca:
Nel dettaglio, fino a tutto il 1995 l’importo complessivo finanziato dallo Stato a valori correnti era pari a 591 milioni di euro. Nel decennio 1996-2005 (anno dell’ultima ricapitalizzazione) il sostegno finanziario pubblico ha toccato i 2.346 milioni di euro, totalizzando sull’intero periodo 2.937 milioni di euro
Attraverso la “formula IRI” Alitalia s’affermava come vettore di grande prestigio per prestazioni e comfort, collocandosi nel gotha delle grandi compagnie intercontinentali, senza quegli enormi esborsi che la narrativa mediatica attribuisce a quei lestofanti della Prima Repubblica, folli seguaci di un’economia mista che semplicemente funzionava, e pure bene.
Le liberalizzazioni imposte dall’Unione Europea senza alcuna coerente strategia di sistema hanno avuto invece l’effetto di aprire il vaso di Pandora della concorrenza al ribasso, scenario per cui Alitalia non era né pensata né preparata: l’erosione continua della quota di traffico nazionale ed internazionale, unita alla pessima gestione della ingloriosa classe dirigente della Seconda Repubblica, comportano un’agonia della compagnia che si trascina dolorosamente per anni. Sintesi di un capitalismo miserabile e senza stoffa, l’epopea squallida dei cd. capitani coraggiosi al tempo della paventata fusione con Air France fa il paio con l’altrettanto ridicolo festeggiamento di mister Renzi appena due anni fa, allorché i petrodollari di Etihad parevano risollevare le sorti comatose dell’azienda.
Nel dettaglio, fino a tutto il 1995 l’importo complessivo finanziato dallo Stato a valori correnti era pari a 591 milioni di euro. Nel decennio 1996-2005 (anno dell’ultima ricapitalizzazione) il sostegno finanziario pubblico ha toccato i 2.346 milioni di euro, totalizzando sull’intero periodo 2.937 milioni di euro
Attraverso la “formula IRI” Alitalia s’affermava come vettore di grande prestigio per prestazioni e comfort, collocandosi nel gotha delle grandi compagnie intercontinentali, senza quegli enormi esborsi che la narrativa mediatica attribuisce a quei lestofanti della Prima Repubblica, folli seguaci di un’economia mista che semplicemente funzionava, e pure bene.
Le liberalizzazioni imposte dall’Unione Europea senza alcuna coerente strategia di sistema hanno avuto invece l’effetto di aprire il vaso di Pandora della concorrenza al ribasso, scenario per cui Alitalia non era né pensata né preparata: l’erosione continua della quota di traffico nazionale ed internazionale, unita alla pessima gestione della ingloriosa classe dirigente della Seconda Repubblica, comportano un’agonia della compagnia che si trascina dolorosamente per anni. Sintesi di un capitalismo miserabile e senza stoffa, l’epopea squallida dei cd. capitani coraggiosi al tempo della paventata fusione con Air France fa il paio con l’altrettanto ridicolo festeggiamento di mister Renzi appena due anni fa, allorché i petrodollari di Etihad parevano risollevare le sorti comatose dell’azienda.
Grande successo, quello del nostro amabile toscanaccio, che ha fatto tabula rasa di ciò che rimaneva di Alitalia smantellando gli ultimi fattori d’eccellenza senza nemmeno riuscire ad approfittare del calo generale dei carburanti. In tutto questo vaudeville chi ha fatto le spese dell’inconsistenza tecnica, umana e professionale dell’apparato dirigente sono stati- quanta maraviglia- i lavoratori e le lavoratrici della compagnia, sottoposti ad un continuo fuoco di fila che ha distrutto le garanzie occupazionali deprimendo, come se non bastasse, i salari e le prestazioni per i clienti.
Dinamica dell’euro applicata al settore aereo: aumento delle ore lavorate, diminuzione del fatturato e dei salari
Il segreto dietro ai biglietti a 20 euro delle low cost si chiama dumping salariale e significa sfruttamento degli addetti: le meravigliose sorti e progressive del Mercato si basano, in conclusione, ancora una volta sul sudore e sulla schiena di chi lavora. La nostra Costituzione, seppur oggi ridotta a mero orpello boldriniano, mostra la via opposta alla moderna schiavitù del profitto, consegnando al contempo l’unica vera soluzione per chi, lavoratori Alitalia e milioni di €disoccupati, vede nel divenire soltanto disperazione e lacrime:
Art. 43: A fini di utilità generale la legge può riservare originariamente o trasferire, mediante espropriazione e salvo indennizzo, allo Stato, ad enti pubblici o a comunità di lavoratori o di utenti determinate imprese o categorie di imprese, che si riferiscano a servizi pubblici essenziali o a fonti di energia o a situazioni di monopolio ed abbiano carattere di preminente interesse generale.
L’unica vera e profonda contrapposizione, al netto dei soloni da tre soldi, risulta allora quella tra Lavoro e Capitale: per dirla con i nostri Padri, unicuique suum.
Art. 43: A fini di utilità generale la legge può riservare originariamente o trasferire, mediante espropriazione e salvo indennizzo, allo Stato, ad enti pubblici o a comunità di lavoratori o di utenti determinate imprese o categorie di imprese, che si riferiscano a servizi pubblici essenziali o a fonti di energia o a situazioni di monopolio ed abbiano carattere di preminente interesse generale.
L’unica vera e profonda contrapposizione, al netto dei soloni da tre soldi, risulta allora quella tra Lavoro e Capitale: per dirla con i nostri Padri, unicuique suum.
fonte: l'Intellettuale Dissidente
P.S. di Onda d'Urto
All'orizzonte si affaccia, sul solco già inaugurato in Grecia, lo spettro della Svendita premeditata di Asset strategici Nazionali, tanto cara alla fame di conquista della grande Germania che persegue, dettando le politiche comunitarie, a danno dei Paesi Periferici. In Grecia a prezzi da saldo comprano Porti ed Aeroporti, in Italia mirano alla destrutturazione degli asset strategici per affermare il loro monopolio sui grandi Servizi.
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