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mercoledì 5 aprile 2017

Neanche il Beneficio del Dubbio. Ma quanto durerà la Pazienza di Putin?

di MAURO BOTTARELLI

Quanti russi ci vogliono per fare un occidentale (mi tocca usare questa formula perché l’insegnante di storia e geografia della gran parte dei grandi giornalisti italiani deve essere morta al primo quadrimestre)? Sicuramente non ne bastano 14, il loro sangue non deve essere abbastanza rosso, il dolore dei loro familiari non abbastanza straziante, la loro paura non abbastanza meritevole di pietà.





Viene da chiederselo, al netto della reazione di pressoché indifferenza del cosiddetto “mondo libero” all'attentato di San Pietroburgo: nessuna edizione speciale dei tg o dei talk-show, programmazione tv rimasta fissa sul solito letamaio da cervello all’ammasso ma, soprattutto, la new entry assoluta del complottismo in salsa mainstream.
Dire che Putin l’attentato se lo è fatto da solo per paura dei 22 boy scout capitanati da Navalny è cosa buona e giusta, sdoganata dai salotti buoni. Che dire della prima pagina di oggi de “Il fatto Quotidiano”, davvero delicatissima. Strano, però, perché il quotidiano diretto da Marco Travaglio solitamente bacchetta ogni refolo di complottismo con feroce sarcasmo, accomunando chiunque non si beva le veline del Tg1 come adoratore delle scie chimiche. 

Ma si sa, quel mostro di despotismo di Vladimir Putin val bene uno strappo alla regola. Eppure ho la quasi certezza che alcuni attentati abbiamo aiutato parecchio politicamente Francois Hollande e Angela Merkel, per non parlare di Barack Obama o Donald Trump, uno che sul mantra del terrore islamico ha costruito addirittura l’approdo alla Casa Bianca. Niente, in quel caso al “Fatto” hanno preferito mantenere la barra dritta, in effetti documenti lasciati in bella mostra sui luoghi degli attentati e kamikaze che si fanno esplodere da soli in vicoli deserti come allo Stade de France non sono motivo di approfondimento. Complimenti.

Ma non solo la stampa ha voluto dire a chiare lettere che di quanto accaduto a San Pietroburgo interessa soprattutto il risvolto complottista. Guardate questo straordinario tweet di Vittorio Zucconi,

corrispondente di “Repubblica” dagli Stati Uniti: cosa avrà voluto dire, visto che pare scritto da un analfabeta funzionale? Ad occhio, nulla di carino rispetto alla memoria di quei quattordici corpi al suolo, di fatto vittime della brama di potere putiniana: per essere martiri dei macellai del Califfato occorre stare sotto la bandiera a stelle e strisce, mica certi privilegi si garantiscono a tutti. Ma se Twitter ha regalato perle, Facebook questa volta non ha dato vita a filtri automatici per i profili con simboli di lutto per le vittime: lo ha fatto per tutti gli attentati in Europa, persino quello in Turchia anche se c’è al potere Erdogan (lo stesso su cui si butta merda ma che riempiamo di soldi per evitare di essere inondati da profughi) ma per la Russia nulla. Probabilmente Mark Zuckerberg è stato scippato a San Pietroburgo ed è ancora incazzato con l’amministrazione comunale.

E i gessetti? Non pervenuti. E i monumenti illuminati con i colori della bandiera del Paese colpito? Zero. Strano, però, perché quest’ultimo è stato un vero must della lotta al terrorismo per diversamente etero che stiamo combattendo in Europa. Questa foto ci mostra come anche i colori arcobaleno della comunità LGBT abbiano avuto l’onore di rischiarare la notte berlinese. 


Sapete l’amministrazione di Berlino cosa ha risposto a chi chiedesse lumi riguardo la decisione di non ricordare l’accaduto? Le luci sulla Porta si mettono solo per le città gemellate o per occasioni particolari. Come dire, un attentato alla metro di San Pietroburgo non sarà mica qualcosa di strano? Tanto più che, con ogni probabilità, se lo è fatto Putin da solo per screditare quel po’ po’ di opposizione che si ritrova a contrastare. Dunque, la giornata dell’orgoglio gay-lesbico-pentasessuale merita le luminarie, mentre i morti russi no. Chi avesse dubbi sulla natura di avamposto Usa della Germania, spero che ora abbia visto i suoi dubbi spazzati via. Ma queste sono stupidaggini, non sono cose serie.

Di grave c’è dell’altro. Ad esempio, quanto dichiarato ieri sera da Paolo Mieli, ex direttore del Corriere della Sera e presidente di RCS Libri, a “Otto e mezzo” su La7. Interpellato da Lilli Gruber sull’attentato in Russia e sulle sue radici, ecco la risposta: “La ragione dell’attentato di San Pietroburgo risiede nelle politiche di Putin basate sullo sterminio”. Ora, si fosse trattato di chiunque altro, un Andrea Romano qualsiasi ad esempio, uno avrebbe invocato un TSO urgente e via ma gente come Paolo Mieli non parla a caso: le stanze del potere, quello vero, lui le bazzica da sempre e ne è sempre uscito con la giacca pulita e gli ossequi dell’uditorio. Quali stermini imputa al presidente russo? Forse in Siria? Strano, perché volendo mettere da parte ideologia e malafede, chi ha compiuto bagni di sangue in quel Paese è l’Isis, creatura non esattamente riconducibile a un esperimento di guerra a bassa intensità sfuggito di mano al Cremlino.

Chi decapitava, lapidava, lanciava i gay celebrati alla Porta di Brandeburgo dai tetti dei palazzi? Le milizie russe, forse? Le truppe regolari di Assad? No. Forse quell’Isis che combatte con armi occidentali, Usa e tedesche in testa, che gira video con tecnologie degne di Hollywood, che ha usufruito di passaggi sicuri attraverso il confine turco grazie all’alleato NATO di Ankara: eppure, Vladimir Putin compie stermini. A tal punto da rendere quasi automatica, lapalissiana la punizione della bomba a San Pietroburgo. Prima di arrivare alla ciccia della notizia, meglio che scopriate qualcosa in più su Paolo Mieli. E sarà lui a dirvelo, attraverso le risposte che diede in un’intervista concessa a “Libero” il 5 maggio del 2008, facilmente rintracciabile in Rete. Alla domanda, “Come visse il ’68?”, ecco le sue parole: “Dentro il movimento studentesco. Negli anni tra il ’68 e il ’72 io ero tre cose contemporaneamente. Primo: ero giornalista dell’Espresso, dove tenevo un diario sulla sinistra extraparlamentare. Secondo: militavo in un gruppo che precedette la costituzione di Potere Operaio, dove c’erano Oreste Scalzone, Franco Piperno, Toni Negri, con i quali rimanemmo amici anche negli anni successivi. Terzo: facevo lo studente applicato di De Felice”.

E ancora, quando gli viene chiesto “Lei è figlio d’arte. Crede che il suo destino sarebbe stato lo stesso se suo padre non fosse stato Renato Mieli?” , ecco la sua risposta: “Mio padre era un ebreo di Alessandria d’Egitto che venne in Italia. Ma durante le leggi razziali si rifugiò in Medio Oriente. Rientrò cambiando identità, nei panni di un colonnello dell’esercito inglese di nome Ralph Merrill. Non considero mio padre un giornalista. Quindi non mi considero un figlio d’arte”. E ancora, quando viene fatto notare che il padre fu anche il fondatore dell’Ansa, ecco cosa ci racconta: “Fondò l’Ansa perché gli inglesi sapevano che era un intellettuale di spessore. Entrato nel Pci, divenne anche direttore dell’Unità nel ’49, l’anno in cui nacqui io. Ma poi lasciò la direzione nel ’54, per andare a Roma a dirigere la sezioni Esteri del Pci. Nei primi tempi, fummo ospitati da Maurizio e Marcella Ferrara, i genitori di Giuliano, che per me è stato un fratello per tutta l’infanzia e l’adolescenza”. 

Infine, alla domanda “Che rapporto ha lei con l’ebraismo?”, ecco la risposta: “Io mi sento ebreo, anche se tecnicamente non lo sono, essendo figlio di padre e non di madre ebrea. Pur non professando alcuna religione, mi sento molto vicino al mondo ebraico”. Penso che ora abbiate un perfetto profilo dell’uomo e un’idea più chiara del perché io lo ritenga qualcuno che, se parla, non lo fa per dare fiato alle tonsille.

Et voilà, a meno di 24 ore dalle parole durissime di Paolo Mieli, ecco che la realtà diventa più incredibile della fiction. Sarebbero infatti almeno 58, tra cui 11 minori, i morti in un raid aereo avvenuto in Siria con il sospetto uso di gas, stando all’Osservatorio nazionale per i diritti umani (Ondus). L’ong, citando fonti mediche, ha aggiunto che il bilancio potrebbe aggravarsi, perché vi sono anche 160 feriti o intossicati, alcuni dei quali in gravi condizioni. L’attacco è avvenuto a Khan Sheikhun, nella provincia nord-occidentale di Idlib, in mano ad insorti e qaedisti dell’organizzazione Fatah al Sham (ex Fronte al Nusra). Successivamente un ospedale da campo dove venivano curate le vittime dell’attacco è stato colpito in un altro raid, sempre stando a fonti degli attivisti (ovviamente credibili di default per i media occidentali, un po’ come quei filantropi degli “Elmetti bianchi”). Detto fatto, senza conoscere la dinamica dell’accaduto da fonti terze, la Francia ha chiesto una riunione urgente del consiglio di sicurezza dell’Onu.

E cosa ci sarebbe a sostegno di questa tesi? Finiti gli ospedali di Aleppo resi proverbiali dalle cronache da Istituto Luce di Lucia Goracci per il Tg3, ecco servita una bella una strage di bambini, perfetta per oscurare anche l’ultimo barlume di interesse per San Pietroburgo. “Le foto fornite dalle ong mostrerebbero infatti gruppi di bambini seminudi, ammassati gli uni sugli altri, con le braccia rigide, gli occhi ancora spalancati e il terrore nello sguardo”, raccontano le fonti. Ma non basta, ci sono anche puntualissime e nitide istantanee prese all’interno degli ospedali “con i bimbi terrorizzati, spaesati, alcuni in fin di vita, il volto coperto dalle maschere di ossigeno. E poi un padre, disperato, con gli occhi segnati dal pianto, che tiene in braccio il corpo rigido della sua bambina”. Ho virgolettato perché la prosa da scena della carrozzella della “Corazzata Potemkin” è presa dalla cronaca dell’Ansa e non voglio rubare il merito all’ispirato giornalista dell’agenzia fondata dal padre di Paolo Mieli per conto degli inglesi nel Dopoguerra.

Ma non basta. Sempre l’Ansa ci dice che “i presidenti di Turchia e Russia, Recep Tayyip Erdogan e Vladimir Putin, hanno discusso in una telefonata del raid. Lo riferiscono fonti presidenziali di Ankara, secondo cui Erdogan ha detto che un tale attacco è disumano e inaccettabile”. Ora, al di là che Erdogan sta al principio di umanità quanto Angelino Alfano alla lingua inglese, come è possibile avere tutte queste certezze in poche ore? Ma come, sono giorni che i media occidentali occultano il fatto che gli USA la scorsa settimana abbiano ammazzato oltre 200 civili in un raid a Mosul e alla Russia e ad Assad non si dà nemmeno una mezza giornata di beneficio del dubbio? Lo capisco, è un po’ come la prima volta che si fa sesso: uno vorrebbe che fosse romantico e indimenticabile ma la voglia è troppo e puff, non si resiste. Come resistere a un’occasione simile, d’altronde: un bell’attacco con armi chimiche e strage di bambini che sbatta sul banco degli imputati Putin e Assad, oltretutto spedendo nel dimenticatoio l’attentato a San Pietroburgo?

Da quanto era pronta la richiesta francese di convocazione del Consiglio di sicurezza dell’ONU? Me lo chiedo perché Francois Hollande trovò pronta sul tavolo la richiesta di proclamazione dello stato di emergenza non appena arrivato all’Eliseo la sera del 13 novembre 2015, giusto di rientro dallo Stade de France. E quando ancora l’attacco al Bataclan era in corso. Si sa, sono un po’ delle pippe come intelligence ma a livello di timing i francesi sono dei fenomeni. Ecco, infine, le parole dell’alto rappresentante per la politica estera europea, Federica Mogherini: “Ovviamente c’è una primaria responsabilità del regime, perché la sua responsabilità è quella di proteggere il suo popolo, non di attaccarlo”. La colpa è di Assad e, quindi, del suo sostenitore numero uno, Vladimir Putin: non ci sono dubbi, le prime pagine dei giornali di domani gronderanno indignazione.

E la versione russa? Un comunicato ufficiale del ministero della Difesa di Mosca ha immediatamente negato che fossero in atto operazioni aeree nella zona di Idlib ma appare il buonsenso la stella polare da seguire per capire cosa sia accaduto. Sorge infatti spontaneo da chiedersi perché Assad, che sta vincendo sul terreno con l’aiuto dei russi e degli iraniani e ha appena incassato dall’ambasciatrice Usa all’Onu un atteggiamento molto più accomodante da parte degli Stati Uniti, avrebbe dovuto lanciare un attacco con gas nervino, di queste proporzioni, senza nessuna necessità militare. 

L’offensiva dei ribelli nel Nord della provincia di Hama è fallita ed è finita in un disastro, così come i tentativi nei sobborghi di Damasco. Dunque, o Assad è impazzito e ha appena dato vita al più grande suicidio politico della storia recente o qualcosa, tanto per cambiare, non torna nei racconti delle ong schierate al fianco dei ribelli. Tanto più che l’ONU sta cercando le prove dell’uso d gas da parte delle truppe lealiste dal 2015 e, nonostante un abuso di fantasia degno di Walt Disney, abbia finora dovuto sventolare bandiera bianca.

Che mondo meraviglioso quello dei Paolo Mieli: a poche settimane dal fondamentale voto del 19 maggio in Iran, con le relazioni politiche e militari tra Teheran e Mosca sempre più strette (e sempre più scomode per Washington e Tel Aviv, cui si è accodata Ankara in cambio dell’assicurazione sulla vita del referendum per la svolta presidenzialista) e il giorno dopo l’incontro tra Donald Trump e il presidente egiziano Al-Sisi (non vi eravate chiesti come mai alla Casa Bianca si fosse atteso così tanto per chiamare Mosca ed esprimere solidarietà? C’erano ospiti più importanti da coccolare), anch’esso un po’ troppo compromesso militarmente e politicamente con Mosca anche in chiave di questione libica, la questione siriana torna d’attualità. Sono complottista? Cazzo volete, un giorno per uno non fa male a nessuno.

Con una straordinariamente mediatica e strappalacrime strage di bambini a colpi di gas tossici, roba che il Tg3 ci piagnucola per sei mesi. Avete capito cosa c’è in gioco, adesso? Avete capito che siamo in guerra per conto terzi e per l’ennesima volta? Non vi paiono tutte delle straordinarie coincidenze messe in fila: gli USA decidono di contravvenire al mantra isolazionista di Trump e aumentano l’impegno militare in Siria, Iraq e Yemen (e casualmente i ribelli anti-Assad ritrovano forza), Israele si mette a bombardare postazioni Hezbollah senza ritegno, quasi a voler provocare apertamente l’Iran, la Russia viene colpita prima da un prodromo di primavera colorata e poi da un attentato ma la vulgata generale è quella di Vladimir Putin che, di fatto, ha raccolto ciò che ha seminato. Oggi, poi, la strage ad orologeria. Resta un’ultima domanda, dopo tanti dati di fatto: quanto durerà la pazienza di Vladimir Putin?

fonte: ComeDonChisciotte

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