Quando Mario Monti venne insediato al Governo da Giorgio Napolitano, senza nessun mandato elettorale, io raccontai immediatamente chi era e da dove veniva, sia in rete (“tutto tranne democrazia“), che in televisione (qui il mio intervento a Servizio Pubblico, cui seguirono Matrix, Rapporto Carelli, L’Ultima Parola e altri).
Correva il novembre del 2011 e lui era da qualche anno l’uomo al comando della Commissione Trilaterale, il think tank voluto da Rockefeller la cui prima pubblicazione era uno studio, Crisis Of Democracy, nel quale si sosteneva che le uniche democrazie che funzionavano erano quelle dove il popolo restava ai margini del dibattito pubblico. Letteralmente, i cittadini dovevano restare in apnea
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Dissi che assegnare il ruolo di presidente del Consiglio a un uomo che rappresentava questa corrente di pensiero, in una democrazia, era paradossale, e feci una lunga battaglia, in rete e in televisione, per chiedere le sue dimissioni dalla Trilaterale e dalla Steering Committee del Gruppo Bilderberg. Che poi arrivarono (leggi: “E Monti sparisce dal sito web della Trilaterale“), ma solo dalla Trilaterale: ancora oggi Monti figura nel direttivo del Bilderberg, unico italiano insieme a Franco Bernabè.
Era un’esagerazione supporre che Monti fosse perfettamente d’accordo con le conclusioni di quel rapporto? A giudicare dalle sue esternazioni successive, purtroppo no. Ricordiamo ad esempio la sua convinzione che molte istituzioni, comprese quelle europee e la Banca d’Italia, debbano restare “al riparo dal processo elettorale“(qui nel dettaglio le sue parole). Il che significa, nella pratica, fuori dal controllo dei cittadini (ammesso che questo controllo oggi abbia ancora una sua efficacia).
Ma sentita che cosa ha detto due giorni fa in una lunga intervista a Stradeonline.
Sono sempre più numerosi coloro che si interrogano sulla validità a lungo termine del modello “democrazia da parte del popolo” o invece sulla necessità di “democrazia per il popolo”. […] È probabile che le proposte che politicamente “funzionano” (cioè che attirano la simpatia più immediata) siano invece quelle che nella sostanza risulterebbero più controproducenti. Ci si può addirittura chiedere se la democrazia come noi la conosciamo e l’integrazione internazionale siano ancora compatibili, e questo porrebbe un problema gigantesco. […]
Non possiamo accontentarci, come fanno molti europeisti, di aspettare che torni di nuovo il momento dei Kohl e dei Mitterrand, perché, se le politiche nazionali continuano a seguire queste tendenze, non ci potranno essere vere leadership.
Si può sperare che l’opinione pubblica acquisti consapevolezza della perdita di leadership da parte di chi governa? È possibile che le pecore prendano a guidare il pastore nella buona direzione, assumendo anche il controllo del cane da pastore?
[…] L’UE e l’euro sono entrambi tuttora popolarissimi in Grecia. Non si può dire che sia lo stesso in Italia e in Francia, Paesi che hanno sofferto indubbiamente meno della Grecia la crisi di questi ultimi anni e hanno dovuto sopportare meno sacrifici. [ndr: ergo ci vogliono le crisi per realizzare il loro progetto europeo (come disse nel video qui sotto) e noi evidentemente non abbiamo sofferto ancora abbastanza]
Non è saggio aspettarsi che l’opinione pubblica e gli elettori rieduchino i politici da cui vengono diseducati. […] È romantico e improbabile che il popolo possa avere una visione più lungimirante di quella che gli viene suggerita.
Parole che scorrono via nel silenzio intellettuale dei più e nell’indifferenza rassegnata dei molti, ma che delineano, dietro all’insidiosa maschera della ragionevolezza, un quadro agghiacciante: il tentativo (ormai a buon punto) di superare “la democrazia da parte del popolo” in favore di “una democrazia per il popolo”, perché è il pastore che deve guidare le pecore, che non possono avere una visione più lungimirante della sua.
E’ la restaurazione del concetto di oligarchia aristrocratica, dove il potere è in mano a pochi ritenuti i migliori, che tuttavia si guadagnano questo diritto attraverso investiture reciproche e autoreferenziali, e tale restaurazione sta avvenendo per mano di una sinarchia, cioè di un potere ombra, invisibile e onnipresente, di cui ogni tanto, a ben vedere, si possono scorgere riflessi sinistri come queste esternazioni. O come quella volta in cui, alla CNN, si lasciò sfuggire che in Italia lui stava distruggendo la domanda interna.
Re, faraoni, dittatori illuminati o tiranni che siano, tutti i despoti e tutti i padroni si sono sempre ritenuti depositari di un bene collettivo che solo loro erano autorizzati a coltivare e difendere, perché solo loro avevano le capacità e la lungimiranza per farlo. Mario Monti narra di un pensiero che si inserisce perfettamente in questo solco, tanto più pericoloso quanto sembra essere condiviso da molti leader attuali, palesi o invisibil. Lo si evince dallo stesso processo di costruzione di questa Europa Unita, prima ancora che dalle sue parole che spazzano via ogni dubbio.
Per la maggior parte della storia, l’umanità ha vissuto tempi bui, nei quali eravamo tutti schiavi, impotenti, incolti, succubi delle dinastie che si susseguivano per diritto divino. Duemiladuecento anni fa, nell’antica città egizia di Tebtunis, le persone firmavano volontariamente dei contratti di schiavitù eterna presso il tempio locale. E per avere questo privilegio pagavano anche una tassa mensile.
Quei tempi stanno per ritornare. E la cosa più sinistra è che, attraverso la sua evidente incapacità di leggere le trasformazioni in corso e di organizzarsi, siamo noi stessi a dare implicitamente ragione a Mario Monti, perché gli unici ad avere consapevolezza, e gli unici ad avere un piano, sono loro: lui e quelli come lui.
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