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venerdì 16 ottobre 2015

La resa lampo di Cgil Cisl Uil sui contratti

di Giorgio Cremaschi
Viene in mente il primo accordo alla Chrysler tra Marchionne e il sindacato dell’auto, quello firmato in un giorno e poi bocciato dai lavoratori. In ventiquattr’ore di incontri la Federchimica e i sindacati chimici di CGILCISLUIL hanno firmato il rinnovo del contratto nazionale di lavoro. L’accordo è avvenuto mentre il presidente della Confindustria rendeva noti cinque punti pregiudiziali degli industriali per la “riforma” dei contratti.



È difficile credere che l’industriale chimico Squinzi ignorasse ciò che avveniva al tavolo della sua categoria. Ed infatti se si confrontano i cinque punti con il testo dell’accordo si vede che essi ci sono dentro proprio tutti.
La Confindustria chiede l’impegno dei sindacati a garantire l’applicazione del Jobsact, ci sono stati accordi aziendali che lo mettevano in discussione, e a estendere la contrattazione aziendale senza però farla diventare territoriale. Il testo firmato risponde pienamente a queste due condizioni. Il secondo livello di contrattazione sarà solo aziendale,
verrà sottoposto al controllo delle strutture nazionali e dovrà “garantire il rispetto dei termini e delle procedure delle norme di legge”. In questo modo si risponde anche al terzo dei punti confindustriali, la centralità del contratto nazionale. Questa rivendicazione parrebbe contraddittoria con lo sviluppo della contrattazione aziendale, di cui gli industriali hanno fatto una bandiera. Ma non è così. Ciò che si fa in azienda deve servire a migliorare produttività e competitività del lavoro, deve rendere variabili, anche verso il basso, i salari e aumentare l’orario di lavoro, soprattutto senza pagare troppo gli straordinari. La contrattazione aziendale che viene esaltata dai banchieri e dalla Troika dell’austerità non è la libertà di contrattazione ma il suo esatto contrario. Ci vuole un controllo rigido dall’alto su di essa, che eviti il conflitto di lavoro ed esalti la complicità sindacale. Del resto ci sono già accordi interconfederali e leggi che danno alle imprese il diritto a derogare in azienda alle regole dei contratti nazionali. In soldoni la contrattazione aziendale deve servire a peggiorare salario e condizioni di lavoro e questo deve avvenire sotto il controllo centralizzato del contratto nazionale. Che diventa così una sorta di istituzione poliziesca, che ha il compito di presiedere allo smantellamento di ciò che resta dei diritti.
Per questo la Confindustria afferma che il rinnovo dei contratti nazionali debba avvenire anche senza aumenti salariali. Il contratto dei chimici realizza questo suo obiettivo. Come recita il quarto punto, le imprese chiedono che gli eventuali aumenti dei contratti possano essere eliminati se i prezzi aumentano meno del previsto. Una sorta di scala mobile alla rovescia che è stata rigorosamente realizzata nel contratto chimico. Gli industriali pretendevano la restituzione di 79 euro di aumenti dei contratti passati, perché l’inflazione era stata sopravvaluta. Sono stati generosi, si sono accontentati di scontare 15 euro dal rinnovo contrattuale, assorbendo negli aumenti l’ultima tranche del contratto precedente. Così, contrariamente a quanto annunciato da CGILCISLUIL, nelle buste paga dei lavoratori chimici dovrebbero entrare, a partire dal 2017, 85 e non 100 euro lordi scaglionati. Scrivo dovrebbero perché in realtà nemmeno gli 85 euro sono sicuri. Infatti il nuovo accordo prevede che nel giugno di ogni anno aziende e sindacati si incontrino per verificare come è andata davvero l’ inflazione. Se fosse minore del previsto, dovrebbe essere tagliato il salario corrispondente dagli aumenti previsti per l’anno successivo. Immagino che gli sfacciati dirigenti dei sindacati chimici spieghino che questa clausola può giocare anche a favore dei lavoratori, nel caso di aumento repentino dei prezzi. Peccato che tutte le previsioni economiche escludano questa prospettiva, mentre ritengono probabile quella opposta. Se questa clausola avesse comportato la possibilità di una crescita dei salari superiore a quanto concordato, gli industriali non l’avrebbero mai proposta. Ma non si tratta solo di misere e aleatorie quantità salariali in un settore che sta facendo rilevanti profitti. Con questo accordo viene cancellato il concetto stesso di aumento retributivo nel contratto nazionale. I soldi dei contratti nazionali possono solo essere quelli di una scala mobile povera e aleatoria. Per questo si cancellano anche gli scatti di anzianità nel Tfr e un po’ alla volta tutte le voci retributive nazionali.
Il salario fisso nazionale deve essere sostituito da quello flessibile aziendale, se i profitti vanno bene forse lo prendi, se vanno male sicuramente no. Salta così la funzione di eguaglianza sociale dei contratti, quella che ha fatto crescere per decenni le paghe, i diritti e la dignità del lavoro. I contratti nazionali diventano la cornice burocratica ed autoritaria dove aziende e sindacati amministrano il corporativismo aziendale. Il peggio del modello sindacale americano e di quello tedesco mescolati assieme.
Il quinto punto è un po’ la ciliegina sulla torta. La Confindustria reclama più welfare aziendale e i sindacati confederali non sono certo insensibili a questo grido di dolore. Così il contratto si conclude con il rilancio dei fondi pensione, di quelli sanitari, degli organismi bilaterali e di tutto quello che serve alle burocrazie padronali e sindacali per giustificarsi reciprocamente.
Ci sono infine piccole angherie che però servono a far capire ai lavoratori l’aria che tira. L’accordo definisce ulteriori irrigidimenti delle già stringenti procedure per mettersi in malattia e l’aumento dei giorni di sospensione e delle ore di multa in caso di infrazioni.
Il nuovo contratto dei chimici è la controriforma della contrattazione chiesta dagli industriali. E siccome quel contratto è sempre il più alto nell’industria, c’è solo da rabbrividire pensando a cosa si prepara per metalmeccanici e tessili.
Se dovessimo definire con una battuta questo accordo, sarebbe semplice affermare che questo è il Jobsact contrattualizzato. I proclami di CGIL e UIL contro il governo e la Confindustria, la CISL non ha nemmeno alzato la voce, hanno avuto la stessa efficacia di quelli della sinistra PD contro Renzi. Che ha ben giocato il ruolo del poliziotto cattivo minacciando la legge, mentre Squinzi faceva quello buono offrendo il contratto che serviva ad entrambi.
La complicità e lo stato di inettitudine confusionale, la paura che governano i gruppi dirigenti di CGILCISLUIL hanno fatto il resto. Così quelli che una volta erano i sindacati più forti d’Europa hanno battuto il record di velocità nella resa, con una vertenza durata appena 24 ore. Per un mondo del lavoro che subisce una terribile regressione nelle proprie condizioni i grandi sindacati confederali oggi sono parte del problema e non delle soluzioni.

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