di Giuseppe Palma
Tuttavia, fossero vere le promesse del Presidente del Consiglio, lo stesso ha dimenticato di dire che – a partire dal 2016 – entrerà a pieno regime il famigerato FISCAL COMPACT.
Vediamo nello specifico di cosa si tratta:
Il FISCAL COMPACT, da un punto di vista prettamente giuridico, è un Trattato intergovernativo denominato “Patto di bilancio europeo” o “Trattato sulla stabilità, coordinamento e governance nell’unione economica e monetaria”, sottoscritto da venticinque Stati membri dell’Unione Europea il 2 marzo 2012 (ad eccezione del Regno Unito e della Repubblica Ceca). Il nostro Parlamento, con una rapidità mai vista nella storia repubblicana, ne ha autorizzato la ratifica nel luglio del 2012 (appena quattro mesi dopo la sua sottoscrizione) ed ha inserito in Costituzione (art. 81) lo scellerato vincolo del pareggio di bilancio (siamo stati il primo ed unico Paese a farlo, addirittura nell’aprile 2012).
Nel dettaglio, il Fiscal Compact prevede principalmente queste tre misure alle quali tutti gli Stati firmatari dovranno adeguarsi:
significativa riduzione del rapporto fra debito pubblico e PIL al ritmo di un ventesimo all’anno (5%), fino al raggiungimento del rapporto del 60% sul PIL nell’arco di vent’anni;
obbligo del perseguimento del pareggio di bilancio;
obbligo di non superamento della soglia di deficit strutturale superiore allo 0,5% del PIL (e superiore all’1% per i Paesi con debito pubblico inferiore al 60% del PIL).
L’impatto di tali misure sull’economia reale del nostro Paese sarà – ovviamente – devastante. L’Italia ha attualmente un rapporto debito pubblico/PIL di circa il 135% ed una spesa pubblica poco superiore a 800 miliardi di euro. Ridurre il rapporto debito pubblico/PIL dall’attuale 135% al 60 % in vent’anni significa porre in essere una riduzione della spesa pubblica di circa 40 miliardi l’anno, quindi (come anche il lettore meno accorto potrà rendersi conto) i vari Governi che si succederanno dovranno necessariamente effettuare sistematici tagli alla spesa pubblica che non ha precedenti nella Storia. È pur vero che, nell’effettuare questi tagli, si dovrà tener conto del PIL e quindi del tasso di crescita, ma solo uno sprovveduto può pensare che con l’attuale sistema monetario e per come è stata sinora concepita l’Unione Europea ci potrà essere una crescita tale da rendere indolore – o quanto meno sopportabile da un punto di vista sociale – tutti i tagli che si andranno a fare.
Al fine di rendere maggiormente comprensibile la reale portata del problema, si pensi al mancato reperimento – da parte del Governo Letta nell’ottobre 2013 – di appena 4 miliardi di Euro che sarebbero dovuti servire ad evitare l’aumento dell’I.V.A. di un punto percentuale, e che l’esecutivo non riuscì a trovare (tant’è che l’I.V.A. aumentò dal 21% al 22%). Ma se i Governi della Repubblica non sono in grado di reperire neppure 4 miliardi di euro da una spesa pubblica di circa 800, come faranno a tagliare 40 miliardi di euro l’anno per vent’anni sino al raggiungimento del 60% del rapporto debito pubblico/PIL? Le risposte sono, oltre che sorprendentemente semplici, anche particolarmente preoccupanti:
aumentando le tasse e/o inasprendo maggiormente i sistemi di accertamento fiscale, causando in tal modo una maggiore propensione a comportamenti illeciti (evasione ed elusione);
limitando ulteriormente la circolazione del denaro contante e introducendo un meccanismo forzoso di utilizzo della moneta elettronica, provocando in tal modo la fuga della ricchezza verso altri Paesi;
bloccando o limitando fortemente le assunzioni di pubblici dipendenti, con conseguenze drammatiche sia sull’efficienza della Pubblica Amministrazione che sul necessario turnover occupazionale e generazionale;
riducendo i benefici fiscali (es. detrazioni) a vantaggio di famiglie, aziende, giovani artigiani e professionisti, determinando in tal modo comportamenti illeciti all’atto della compilazione della dichiarazione dei redditi;
intensificando gli accertamenti fiscali – attraverso l’Agenzia delle Entrate – nei confronti delle piccole imprese, dei piccoli commercianti e dei giovani professionisti, conferendo altresì maggiori poteri ad Equitalia, con conseguenze drammatiche per famiglie e imprese;
riducendo la spesa per gli ammortizzatori sociali e per le pensioni, creando così maggiori sacche di povertà;
aumentando l’età pensionabile già oggi particolarmente alta, con la conseguenza che le nuove generazioni resteranno per più tempo fuori dal mercato del lavoro (con l’ulteriore effetto che intere generazioni avranno serie difficoltà – un domani – a percepire una pensione dignitosa);
tagliando le voci di spesa pubblica più sensibili quali la sanità, la sicurezza pubblica, la giustizia, la scuola e la cultura, con conseguenze negative di facile intuizione.
Le misure di cui sopra produrranno certamente effetti drammatici sull’economia reale, quali, ad esempio, una considerevole e costante riduzione dei consumi, un livello ancor più alto del tasso di disoccupazione (soprattutto giovanile) ed una irreversibile flessione del PIL, quindi un lungo ed ulteriore periodo di recessione… altro che crescita!
Se poi si considera anche l’ulteriore condizione capestro di non poter più spendere a deficit (il parametro del rapporto deficit/PIL passa dal 3% allo 0,5%, quindi ZERO spesa a deficit!), ecco che il Fiscal Compact è il vademecum perfetto di come far morire l’economia reale di un qualsiasi Stato, per di più privo di sovranità monetaria.
Tutto questo al netto delle gravissime implicazioni costituzionali che ha comportato – e comporta – la costituzionalizzazione del vincolo del pareggio di bilancio (art. 81 Cost.), problematica sulla quale ho già scritto: http://scenarieconomici.it/incompatibilita-art-1-costituzione-pareggio-bilancio-giuseppe-palma/
Tutto ciò premesso, quindi in concomitanza col Fiscal Compact, il Presidente del Consiglio dovrebbe spiegare da dove andrà a prendere circa 37 miliardi di euro per onorare le sue strabilianti promesse!
Si attende una risposta. Grazie.
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