Susan George, economista, è considerata a livello mondiale una delle studiose più importanti della questione della fame nel Terzo mondo. Presidente del Transnational Institute di Amsterdam, è anche presidente onorario di Attac France.
di Susan George
La guerra di classe non è morta, ma l’hanno stravinta i ricchi. Anzi, i super ricchi, nuova classe globale che ora si chiama HNWI, acronimo di High Net Worth Individuals (individui con alto patrimonio finanziario, almeno 30 milioni di euro. Parola di Warren Buffett, re dei mercati finanziari globali, uno degli uomini più facoltosi del pianeta, dunque membro di questo club esclusivo in crescita continua nonostante la crisi, tanto da includere quest’anno la quota record di 200.000 persone e del quale si parla troppo poco.
La lotta di classe al contrario, un mondo paradossale dove si ruba ai poveri per dare ai ricchi, con l’obiettivo di togliere di mezzo i diritti umani e la democrazia, considerati l’ultimo ostacolo (o l’ultimo baluardo) da superare per ricavare profitti più alti senza troppe seccature.



L’establishment economico e finanziario non ha sensi di colpa per quello che è accaduto nel mondo negli ultimi sei-sette anni. È uno dei paradossi di quest’epoca, i neoliberisti hanno capito il significato del concetto di egemonia culturale di Antonio Gramsci e l’hanno applicato benissimo.
La loro ideologia è penetrata negli Stati Uniti, poi si è diffusa in tutte le organizzazioni internazionali e vanta un supporto intellettuale mai visto. Prendiamo l’Ue. Sono riusciti a ottenere consenso e supporto proponendo misure di austerità per uscire dalla crisi convincendo tutti che il bilancio di uno Stato e quello di una famiglia sono la stessa cosa per cui si può spendere solo in base alle entrate.

Non è così, il debito pubblico storicamente finanzia la crescita, è altra cosa dagli sprechi. Per fare un esempio due economisti della Bocconi di Milano, Alesina e Ardeagna, a mio avviso hanno fornito una errata base teorica alla Banca centrale europea, ai governi e alle istituzioni europee proponendo l’austerità per fronteggiare la depressione. E la gente è stata convinta dell’ineluttabilità delle scelte.
La prova? In Grecia non hanno fatto la rivoluzione. Se tagli gli sprechi, va bene. Ma un euro tagliato ai servizi sociali come alla scuola ha un impatto che produce costi tre volte più alti.
I lavoratori hanno pagato e stanno pagando i costi della crisi provocata da altri. Mi pare obiettivo dire che chi lavora oggi non riesca a guadagnare abbastanza mentre i manager della finanza si sono elargiti subito i lauti bonus derivanti da questi salvataggi. E che la ricchezza accumulata in poche mani ammonti a 35.000 miliardi di euro e sia posseduta, da 200.000 persone. Trovo immorale tutto ciò.
Ma è ancor più immorale l’ideologia che consente loro di accumulare queste smisurate ricchezze e di manipolare le persone facendo loro credere che tutto ciò sia giusto e che le ricette per combattere la povertà siano quelle della Banca mondiale o del Fondo monetario.
Si continua a credere che ogni dollaro detassato alle grandi aziende e ai più ricchi venga reinvestito produttivamente. Invece la ricchezza finisce nei paradisi fiscali. E, aldilà dei proclami, nulla è stato fatto per illuminare gli angoli bui di queste giurisdizioni segrete e controllare i profitti di aziende e singoli. Le grandi multinazionali sono ormai troppo forti e determinano il pensiero unico che ci racconta un mondo bello, quello della globalizzazione, che crea occasioni per tutti. Peccato sia così solo sulla carta.
Il movimento di Occupy aveva buoni contenuti, ma è stato anarchico. Hanno consentito a tutti di parlare in un momento di rabbia collettiva, ma non hanno mai preso una sola decisione per passare all’azione. Il problema della società civile è la mancanza di una visione globale: gli ecologisti pensano solo all’ambiente, i sindacati al lavoro, le femministe alle donne, altri a finanza e tasse.
Il pericolo è che la gente, il 99 per cento di chi non detiene nulla, venga convinta dal restante 1 per cento dell’inutilità della politica. Prendiamo l’Unione europea. Credo nell’Unione e nell’euro, ma a patto che siano partecipate dai cittadini. Ormai l’85 per cento delle leggi in Paesi come Italia e Francia recepiscono le direttive della Commissione europea, un organismo non eletto democraticamente e influenzato dalle lobby. Ma gli europei non si ribellano, preferiscono astenersi dal voto. Così garantiscono lunga vita al sistema ingiusto che oggi è al potere.