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giovedì 6 agosto 2015

LA POLITICA EUROPEA CREA POVERTA' ADDIRITTURA IN GERMANIA

La quota di tedeschi che vivono sotto la soglia di povertà, in Germania, è aumentata: nel 2006 erano il 14%,  ora sono 15,5%. Sono 12 milioni e mezzo di persone. Circa mezzo milione in più. Forse non è nemmeno una notizia (sono gli effetti della riforma Hartz che si cumulano di anno in anno, e la tendenza è pronunciata in tutto l’Occidente sviluppato sotto il capitalismo terminale) se non per notare questo: nel paese che ha più successo della UE, quello con i colossali attivi e surplus commerciali, il modello economico più rinomato e additato ad esempio, la buona amministrazione… nonostante tutto, la povertà cresce.


germania povera

E il governo tedesco ha recentemente assicurato che il divario tra ricchi e poveri, in Germania, diminuisce. “Un’asserzione semplicemente falsa”, ha dichiarato Ulrich Schneider, direttore di un’associazione chiamata Paritätischer Gesamtverband (PG). “La povertà non è mai stata così alta in questo paese, e la frammentazione regionale mai così elevata come oggi”. Non solo le classi sociali, ma anche i lander si dividono fra quelli che scendono verso la miseria (Meklenburgo-Pomerania, le città stato di Brema e Berlino) e quelli che prosperano, come Baviera e Sassonia-Anhalt. Il nuovo salario minimo obbligatorio dal 2015, 8,5 euro lordi l’ora, non ha migliorato molto le cose. Dal 2000, l’ultimo decile di salariati (i poveri) ha perduto il 20 per cento del potere d’acquisto, e i due decili seguenti il 15%, mentre il decile più alto ha il 3% in più. Insomma la povertà non fa che crescere nel paese più prospero, e ciò da 15 anni.

Ovviamente la stessa tendenza è visibile, anzi peggiora, nei paesi meno favoriti, anche se il calcolo della soglia di povertà varia da paese a paese: un norvegese è povero se sta sotto i 1286 euro al mese, un romeno se prende meno di 180. Un francese è povero a 934 euro mensili, un italiano sotto i 780, uno spagnolo sotto i 616, un greco sotto i 500 . E si deve tener conto che si tratta di povertà non assoluta, ma “relativa” alla ricchezza mediana della popolazione: è povero chi ha un reddito pari alla metà del reddito mediano (non medio) della nazione.
In questo senso, i tedeschi “poveri” (una famiglia con due figli è povera a 1850 euro mensili) si sentono facilmente più ricchi dei francesi, italiani, greci…
Ovviamente è in causa l’insufficiente qualificazione ed istruzione dei lavoratori, specie giovani e donne. I non qualificati subiscono in pieno la competizione della mondializzazione, di salariati che prendono dieci o venti volte meno. Ma è impressionante che la quota di poveri continui ad aumentare dappertutto in Europa, nonostante la fase di (molto relativa) ripresa. O anche di ripresa vera: la Spagna prevede una crescita del Pil del 2,8% nel 2015, seconda solo all’Irlanda (3,6)
); ha creato mezzo milione di posti di lavoro nell’ultimo anno. Ma – ovvio- precari e pagati, per i giovani di primo impiego, meno di 700 euro mensili. Su questo si basa la ripresa spagnola, strutturalmente indebolita dalla grande crisi del 2008 .
http://www.lemonde.fr/economie/article/2015/07/31/espagne-derriere-le-rebond-une-economie-structurellement-affaiblie_4705986_3234.html#AHRsH4SwSKezEzC8.99
La ripresina in atto è dovuta al calo dell’euro, al calo del petrolio, e alle politiche della BCE che abbassano i tassi d’interesse, e consentono al governo di Roma di indebitarsi al 2%. Il calo della disoccupazione che si vede in paesi come la Spagna (e non in Italia) può essere temporaneo e reversibile.
E’ quanto prevede e paventa uno studio dell’importante centro-studi francese Natixis: il 2015-16 saranno (salvo imprevisti) due anni relativamente buoni per la zona euro. Il 2017 rischia di vedere un riequilibrio del prezzo del petrolio, ossia un rincaro, con relativo rallentamento della domanda, la cessazione della stamperia (QE) della BCE, con conseguente rincaro dei tassi d’interesse e difficoltà per i debitori, pubblici e privati. Infine, (cito) “in alcuni paesi (Francia, Italia, Spagna) la necessità di realizzare un aggiustamento di bilancio in un ambiente divenuto sfavorevole: crescita più bassa, tassi d’interesse più alti…I fattori che sostengono la crescita del 2015-2016 si invertono”. Conclusione e titolo dello studio: “2017: un anno catastrofico per la zona euro”. L’apparato pubblico italiano, che resiste ferocemente a diventare leggero, snello e tagliarsi i privilegi e i parassitismi, avrà perso – e ci avrà fatto perdere – anche questa occasione.

Maurizio Blondet

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