Morire al lavoro in un campo di uva e diventare subito un fantasma, senza che trapeli notizia per settimane. Il cuore di Paola, 49 anni, bracciante di San Giorgio Jonico, si è fermato la mattina del 13 luglio sotto un tendone per l’acinellatura dell’uva, nelle campagne di Andria, in contrada Zagaria.
Lunedì 13 Paola è uscita da casa sulle sue gambe, come tutte le notti, per andare a lavoro e non è più tornata. È stata sepolta il giorno dopo, parrebbe senza autopsia. Il pm non si sarebbe recato sul posto perché, riferisce la polizia di Andria, il parere del medico legale è che si sia trattato di una morte naturale, forse un malore per il caldo eccessivo.
Ancora un’altra morte nei campi, che precede quella di Mohammed, il bracciante sudanese vittima della fatica e dei caporali a Nardò. Ma intorno a questa storia non ci sono fiaccolate, proteste, cortei. C’è solo il silenzio pesante delle campagne pugliesi. Lo stesso silenzio, spesso vicino all’omertà, che circonda le oltre 40mila donne italiane vittime del caporalato pugliese, spesso camuffato da agenzie di viaggi e da lavoro interinale. Donne trasportate con gli autobus su e giù per tutta la Regione, dalla provincia di Taranto alle campagne del nord della Puglia, come denunciato recentemente da un’inchiesta di Repubblica.it e da successivi numerosi servizi televisivi, dal Tg2 a La7.
Il cuore di Paola non ha retto, sotto un tendone in cui, nelle giornate di caldo a più di 40 gradi, le donne diradano gli acini per fare più belli i grappoli di uva da tavola, scartando i chicchi piccoli che impediscono agli altri di crescere. Le braccianti stanno in equilibrio su cassette di legno per raggiungere gli alti filari di uva. Forse Paola, accusando un malore, è caduta da una di quelle cassette. Oppure forse, come hanno raccontato alcune compagne di lavoro, Paola era uscita fuori dal tendone poco prima di accasciarsi al suolo.
Solitamente, l’acinellatura è tra i lavori pagati meno in agricoltura: 27-30 euro a giornata, nonostante i contratti provinciali stabiliscano un salario di 52. Paola non si sarebbe aspettata di morire così, dopo 15 anni di lavoro nei campi, dall’alba fino a quando fa buio. Sembra che Paola non avesse diritto ad una pensione, perché non ne aveva maturato i diritti e senza la disoccupazione, perché le aziende per cui aveva lavorato in precedenza non le avevano versato tutte le giornate di lavoro all’Inps. Lei aveva rinunciato a chiedere il rispetto dei suoi diritti. Temeva di non riuscire più a trovare lavoro se avesse minacciato un’azione legale contro i padroni delle aziende.
Ma come è morta esattamente Paola? Restano una serie di dubbi. Le compagne di lavoro hanno riferito che la bracciante lamentava di stare male da giorni ed era comunque andata a lavoro. Il decesso sarebbe avvenuto alle 8 del mattino.
Sono condizioni di lavoro pesanti. La squadra di braccianti lavorava sei ore e mezza, ma non si teneva conto delle ore di viaggio tra l’andata e ritorno dalla provincia di Taranto. Inoltre ci sono delle incongruenze contrattuali, su orari, inquadramento e possibili forme d’intermediazione illecita sulle quali ci riserviamo di far avviare accertamenti ispettivi.
Paola lavorava per un'azienda ortofrutticola che ha 250 dipendenti e un fatturato che tocca i 12 milioni di euro. Era stata assunta da un'agenzia interinale e andava a lavoro con una squadra di braccianti portate da una ditta di autobus. Bisogna precisare che non risultano al momento aperte indagini sulla vicenda. Il fascicolo, trasmesso in procura, sarebbe stato archiviato.
In queste condizioni vivono oltre 40.000 lavoratrici vittime di intermediazione di manodopera, caporalato e violazioni contrattuali che si aggiungono ai lavoratori al nero impegnati nella raccolta dei pomodori nelle campagne pugliesi.
* Segretario generale Flai Puglia
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