Spiegare il neoliberismo limitandosi a un’analisi economica delle teorie sottostanti a tale ideologia risulta essere non solo restrittivo, ma anche fuorviante. Per comprendere come un pensiero di matrice economica sia giunto ad assumere le attuali sembianze di una vera teoria del tutto, onnicomprensiva e persuadente come una religione, è necessario avere una conoscenza, almeno basilare, delle leve psicologiche che muovono le masse.
Di fronte a questo stravolgimento di paradigma Le Bon, per la prima volta, dichiarò come la conoscenza della mente umana fosse lo strumento sovrano per esercitare il comando sulla collettività: era giunta l’ora che gli psicologi professionisti mettessero a disposizione il loro sapere per interpretare e controllare i meccanismi psicologici delle folle.
Poste le premesse per controllare le popolazioni attraverso un’approfondita analisi delle leve psicologiche che muovono gli individui che costituiscono la massa, il XX secolo non sarà che un continuo e sempre più ricercato intensificarsi dello studio della psicologia collettiva applicata sia alla politica che ai processi economici.
La chiave di volta la offrì Edward Bernays (1891-1995), nipote di Freud, considerato uno dei cento uomini più influenti del Novecento: forte della conoscenza della psiche umana e dell’inconscio messa in luce dall’illustre psicanalista viennese, intuì come spostare la meta dei desideri umani dall’interiorità dell’Io alla materialità del consumo e in che modo irreggimentare la popolazione, che “come un gregge di pecore va guidato”.
Nel secondo dopoguerra l’economia statunitense aveva un grave e impellente problema da risolvere: come incanalare il surplus produttivo messo in circolazione dall’impennata dell’industria bellica? L’utilizzo sempre più sofisticato e frequente delle tecniche di propaganda per favorire l’avvento del consumismo di massa fu la risposta pronta ed efficace che la nuova psicologia – ormai ingegneria del consenso – offrì alle esigenze dell’industria di produzione.
Bernays fu il primo a mostrare alle grandi aziende di produzione come creare nella gente l’esigenza di acquistare oggetti di cui non aveva bisogno, semplicemente facendo in modo di associare le merci di consumo all’inconscio degli individui, soddisfacendo o facendo credere di soddisfare i desideri più reconditi ed egoistici, così da renderli felici e, quindi, mansueti. Secondo le sue teorie, proprio perché in preda a forze inconsce, gli essere umani dovevano essere guidati dalle minoranze più intelligenti, cui spettava il compito di fare proselitismo e indirizzare le masse, indisciplinate e irrazionali.
E’ da queste premesse di carattere psicologico e sociologico che il mio libro, “Neoliberismo e manipolazione di massa. Storia di una bocconiana redenta”, muove le mosse per spiegare come un secolo di propaganda e di strumentalizzazione delle conoscenze psicoanalitiche abbiano condotto all’attuale conformazione socio-economica del sistema neoliberista, attuata attraverso una prodigiosa macchina della propaganda, in grado di permeare ogni aspetto della società in modo capillare e silente, sfuggendo abilmente a ogni identificazione ideologica.
L’economia è stata completamente privata del suo originario rapporto con l’aspetto reale e i bisogni della collettività, fagocitata da un sistema finanziario ipertrofico che specula sul debito e sulla povertà. Un modello economico disumano, nemico dell’uomo, perché capace di generare profitto solo attraverso una sempre maggiore disuguaglianza, fonte di conflitti e di miseria, viene prospettato come la migliore nonché unica via possibile.
Per svelare le menzogne e gli inganni attraverso i quali si è radicata una simile ideologia è indispensabile affiancare alla conoscenza delle dinamiche economiche che muovono il sistema quello delle leve psicologiche usate per plasmare l’opinione pubblica e le folle.
Fonte: Scenari Economici
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