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domenica 26 marzo 2017

60 anni di Unione Europea, 60 anni di menzogne



Nei giorni scorsi si è assistito a un balletto mediatico francamente imbarazzante, teso a ricordare il sessantenario della firma dei Trattati di Roma del 25 marzo del 1957, che istituivano la Comunità Economica Europea, diretta successore di quella CECA (Carbone e Acciaio) nata sette anni prima.




Ecco il documento partorito ieri in occasione della ricorrenza del sessantesimo Anniversario:

Dichiarazione dei leader dei 27 Stati membri e del Consiglio europeo, del Parlamento europeo e della Commissione europea


25 marzo 2017

Noi, i leader dei 27 Stati membri e delle istituzioni dell’UE, siamo orgogliosi dei risultati raggiunti dall’Unione europea: la costruzione dell’unità europea è un’impresa coraggiosa e lungimirante. Sessanta anni fa, superando la tragedia di due conflitti mondiali, abbiamo deciso di unirci e di ricostruire il continente dalle sue ceneri. Abbiamo creato un’Unione unica, dotata di istituzioni comuni e di forti valori, una comunità di pace, libertà, democrazia, fondata sui diritti umani e lo stato di diritto, una grande potenza economica che può vantare livelli senza pari di protezione sociale e welfare.

L’unità europea è iniziata come il sogno di pochi ed è diventata la speranza di molti. Fino a che l’Europa non è stata di nuovo una. Oggi siamo uniti e più forti: centinaia di milioni di persone in tutta Europa godono dei vantaggi di vivere in un’Unione allargata che ha superato le antiche divisioni. L’Unione europea è confrontata a sfide senza precedenti, sia a livello mondiale che al suo interno: conflitti regionali, terrorismo, pressioni migratorie crescenti, protezionismo e disuguaglianze sociali ed economiche. Insieme, siamo determinati ad affrontare le sfide di un mondo in rapido mutamento e a offrire ai nostri cittadini sicurezza e nuove opportunità.

Renderemo l’Unione europea più forte e più resiliente, attraverso un’unità e una solidarietà ancora maggiori tra di noi e nel rispetto di regole comuni. L’unità è sia una necessità che una nostra libera scelta. Agendo singolarmente saremmo tagliati fuori dalle dinamiche mondiali. Restare uniti è la migliore opportunità che abbiamo di influenzarle e di difendere i nostri interessi e valori comuni. Agiremo congiuntamente, a ritmi e con intensità diversi se necessario, ma sempre procedendo nella stessa direzione, come abbiamo fatto in passato, in linea con i trattati e lasciando la porta aperta a coloro che desiderano associarsi successivamente. La nostra Unione è indivisa e indivisibile.

Per il prossimo decennio vogliamo un’Unione sicura, prospera, competitiva, sostenibile e socialmente responsabile, che abbia la volontà e la capacità di svolgere un ruolo chiave nel mondo e di plasmare la globalizzazione. Vogliamo un’Unione in cui i cittadini abbiano nuove opportunità di sviluppo culturale e sociale e di crescita economica. Vogliamo un’Unione che resti aperta a quei paesi europei che rispettano i nostri valori e si impegnano a promuoverli.

In questi tempi di cambiamenti, e consapevoli delle preoccupazioni dei nostri cittadini, sosteniamo il programma di Roma e ci impegniamo ad adoperarci per realizzare:

1. Un’Europa sicura: un’Unione in cui tutti i cittadini si sentano sicuri e possano spostarsi liberamente, in cui le frontiere esterne siano protette, con una politica migratoria efficace, responsabile e sostenibile, nel rispetto delle norme internazionali; un’Europa determinata a combattere il terrorismo e la criminalità organizzata.

2. Un’Europa prospera e sostenibile: un’Unione che generi crescita e occupazione; un’Unione in cui un mercato unico forte, connesso e in espansione, che faccia proprie le evoluzioni tecnologiche, e una moneta unica stabile e ancora più forte creino opportunità di crescita, coesione, competitività, innovazione e scambio, in particolare per le piccole e medie imprese; un’Unione che promuova una crescita sostenuta e sostenibile attraverso gli investimenti e le riforme strutturali e che si adoperi per il completamento dell’Unione economica e monetaria; un’Unione in cui le economie convergano; un’Unione in cui l’energia sia sicura e conveniente e l’ambiente pulito e protetto.

3. Un’Europa sociale: un’Unione che, sulla base di una crescita sostenibile, favorisca il progresso economico e sociale, nonché la coesione e la convergenza, difendendo nel contempo l’integrità del mercato interno; un’Unione che tenga conto della diversità dei sistemi nazionali e del ruolo fondamentale delle parti sociali; un’Unione che promuova la parità tra donne e uomini e diritti e pari opportunità per tutti; un’Unione che lotti contro la disoccupazione, la discriminazione, l’esclusione sociale e la povertà; un’Unione in cui i giovani ricevano l’istruzione e la formazione migliori e possano studiare e trovare un lavoro in tutto il continente; un’Unione che preservi il nostro patrimonio culturale e promuova la diversità culturale.

4. Un’Europa più forte sulla scena mondiale: un’Unione che sviluppi ulteriormente i partenariati esistenti e al tempo stesso ne crei di nuovi e promuova la stabilità e la prosperità nel suo immediato vicinato a est e a sud, ma anche in Medio Oriente e in tutta l’Africa e nel mondo; un’Unione pronta ad assumersi maggiori responsabilità e a contribuire alla creazione di un’industria della difesa più competitiva e integrata; un’Unione impegnata a rafforzare la propria sicurezza e difesa comuni, anche in cooperazione e complementarità con l’Organizzazione del Trattato del Nord Atlantico, tenendo conto degli impegni giuridici e delle situazioni nazionali; un’Unione attiva in seno alle Nazioni Unite che difenda un sistema multilaterale disciplinato da regole, che sia orgogliosa dei propri valori e protettiva nei confronti dei propri cittadini, che promuova un commercio libero ed equo e una politica climatica globale positiva.

Perseguiremo questi obiettivi, fermi nella convinzione che il futuro dell’Europa è nelle nostre mani e che l’Unione europea è il migliore strumento per conseguire i nostri obiettivi.

Ci impegniamo a dare ascolto e risposte alle preoccupazioni espresse dai nostri cittadini e dialogheremo con i parlamenti nazionali. Collaboreremo a livello di Unione europea, nazionale, regionale o locale per fare davvero la differenza, in uno spirito di fiducia e di leale cooperazione, sia tra gli Stati membri che tra di essi e le istituzioni dell’UE, nel rispetto del principio di sussidiarietà. Lasceremo ai diversi livelli decisionali sufficiente margine di manovra per rafforzare il potenziale di innovazione e crescita dell’Europa. Vogliamo che l’Unione sia grande sulle grandi questioni e piccola sulle piccole. Promuoveremo un processo decisionale democratico, efficace e trasparente, e risultati migliori.

Noi leader, lavorando insieme nell’ambito del Consiglio europeo e tra le istituzioni, faremo sì che il programma di oggi sia attuato e divenga così la realtà di domani. Ci siamo uniti per un buon fine. L’Europa è il nostro futuro comune.

Nelle strade della capitale oggi si avviava la Marcia per l’Europa, organizzata da quei simpaticoni dei radicali, i cui rappresentanti si sono dichiarati sì europeisti, ma “per un’ Europa diversa, più sociale”. Il fatto che molta di questa gente, deliberatamente o meno, non abbia capito che il concetto di sociale non si può sposare con un’entità sovranazionale che fa del liberismo sfrenato la sua primaria ragione di esistenza, dà una precisa idea di come l’Unione Europea abbia inculcato ai suoi sudditi una serie di menzogne con un rigore tale da mettere i brividi, in grado di produrre due tipologie di cittadini: quelli conniventi, quasi sempre ai piani alti della politica nazionale e comunitaria, e quelli ingannati.

Del resto la stessa idea comunitaria nasce da una menzogna: ormai anche i sassi hanno scoperto gli altarini ‘segreti” della Dichiarazione Schuman, preparata nel migliore dei modi negli uffici della Casa Bianca ai tempi dell’amministrazione Truman, e non così prodotto spontaneo del politico che le dà il nome, Robert Schuman, sull’ormai biblica “ispirazione di Jean Monnet”.

Anche i sassi sanno che gli USA minacciarono di escludere la Francia dal Piano Marshall nel settembre del 1950. Nessun sasso ignora i finanziamenti che sono giunti da sponda americana per rendere la CEE una realtà. Chiaramente, l’obbiettivo allora era di contrastare l’URSS. Ma il punto non sta tanto in quello: il modus operandi è esattamente lo stesso, ovvero di generare un gigantesco protettorato statunitense, ininfluente politicamente ma vera miniera d’oro economica e di sfruttamento. Colonizzandola culturalmente.

I propositi di pace europea, di creazione di una nuova superpotenza competitiva? Tutte fregnacce. Utili alla politica di sistema per raggiungere i soliti obiettivi: prendere i “voti” di tutti. Nazionalisti da un lato, ben lieti di appoggiare un progetto presentato anche come riscossa anti-americana, pacifisti dall’altro. Certo, in questo caso non si trattava di prendere questi consensi per via elettorale, ma sostanzialmente il discorso resta lo stesso. È una tattica proficua, che in Italia funziona particolarmente bene.

I famosi 60 anni di pace sono un’altra balla: la pace c’è solo ed esclusivamente nella sfera di influenza americana, dal momento che la stessa Europa è stata trafitta da conflitti drammatici come quello jugoslavo. Facendo questo ragionamento, tutti gli imperi garantiscono la pace, da quello romano in avanti. Pura propaganda senza alcuna base.

La quantità degli ingannati sul fronte UE, comunque, sta diminuendo costantemente, complice anche la crisi del 2007 che ha aiutato molti ad aprire gli occhi, sempre ben chiusi e indifferenti finché il pane a tavola non manca, così come i nostri numerosi vizi di uomini del XXI secolo. A questo dato, evidenziato anche dalla scarsa partecipazione alle celebrazioni, fa però eco la continua insistenza con cui i politici di sistema continuano a lanciare le proprie menzogne.

Enrico Letta, ospite a Porta a Porta qualche sera fa, difendeva l’Europa che “per noi è stato un bene. Prima della firma del Trattato di Maastricht abbiamo accumulato in 20 anni un + 220% di debito e dopo soltanto un +7%.” E la conclusione è sempre la solita: “purtroppo non siamo in grado di gestirci, quando ci tengono gli altri sì”. Tutti handicappati, questi italiani.

Ovviamente, tutte balle. O, al limite, notizie comunicate con voluta cialtroneria. Tralasciando la bizzarra impostazione secondo cui 30 anni di storia dovrebbero riguardare caratteristiche permanenti di una nazione (e non se ne comprende il motivo), il signor Letta ha dimenticato di ricordare che quel 220% non è figlio esclusivo di una nostra incompetenza, ma soprattutto della trasformazione di gran parte del debito pubblico in privato, del crollo delle nascite (senza le quali, con buona pace di liberal antifascisti contro le politiche della natalità, una società non può prosperare nel lungo periodo) e della fine della sovranità monetaria.

Ha anche dimenticato di dire che prima dell’ormai famoso “divorzio” con la Banca d’Italia nel 1981, l’Italia aveva possibilità di produrre e vendere titoli di Stato, di emettere moneta e, in sintesi, di produrre un debito in larga parte dannoso per l’inflazione, ma non per le casse statali.

Questo perché dal 1981 prima e dal 1992 poi, il debito italiano si è trasformato in un vero e proprio onere completamente privato, il che ha portato il Paese, praticamente all’istante, a perdere gran parte delle sue risorse impiegate nella spesa pubblica e nei piani industriali. Conducendolo pure in una spirale di interessi da cui è praticamente impossibile uscire, visto che il tanto decantato +7% degli ultimi 20 anni avviene in un contesto in cui, per 15 di questi, lo Stato italiano ha incassato sistematicamente di più di quanto ha speso. Rappresenta esso stesso, quindi, il più grande dei fallimenti. E non degli italiani, ma di Bruxelles nei riguardi dell’Italia.

L’Unione Europea è un’entità criminale. Non solo da un punto di vista economico, ma anche morale, culturale. Ha stabilito il suo potere su menzogne storiche e ha veicolato adeguatamente lo strumento dell’anti-italianismo per produrne di ulteriori. Ha fatto accettare a un Paese la cui economia era al 65% statale e il restante equamente diviso tra piccola imprenditoria, artigianato, piccola proprietà e qualche grande magnate, un sistema privo dell’intervento pubblico nell’economia, completamente competitivo, facendo passare la sua difficoltà ad adeguarsi pure per una colpa.

Qualche giorno fa il presidente Mattarella ha detto “Assurdo fare distinzioni tra Nord e Sud Europa”, riferendosi alle ipotesi di Euro a due velocità e a tutte le altre che stanno sconvolgendo la tormentata vita comunitaria, su tutte la polemica che ormai vive di luce propria tra la componente mediterranea e quella più continentale dell’Unione.

Bizarro da parte di un massimo rappresentate di istituzioni che da 70 anni ci ricordano ogni santo giorno le normalissime differenze tra un siciliano e un milanese, attraverso non solo la condanna del nazionalismo, ma con la creazione di un vero sistema didattico, capillare e strutturato, teso a rivalutare specificità locali con il solo scopo di distruggere quella nazionale. Non è una cosa accaduta solo in Italia: basti pensare alla Spagna.

Quando si parla del potere del potere di Bruxelles però, magicamente, cambia tutto: addirittura spunta fuori un nazionalismo pseudo-europeo senza le benché minime basi. Le stesse per le quali un campano e un lombardo non potrebbero essere eredi della millenaria cultura italiana, rappresentata tanto da un Torquato Tasso che da un Alessandro Manzoni.

“In un Paese normale” lo studio delle culture locali sarebbe enormemente interessante. Nel contesto disastroso del Paese-Italia, ha il solo e precipuo scopo di disintegrare la cultura nazionale italiana, ovvero la più straordinaria fucina di pensiero filosofico, letterario e artistico mai prodotta nell’occidente post-medievale. Non credo, sinceramente, che lo “spirito comunitario” e lo strapotere culturale americano siano estranei a questo processo di eliminazione deliberata, sebbene sudbola e ben mascherata.

All’Unione Europea criminale si accoppia, naturalmente, uno Stato repubblicano egualmente criminale. Anti-italiano dalle origini, con le sue feste nazionali indecenti e l’ignobile oblio sul 17 marzo e il 4 novembre. Ma qui si supera il colmo del ridicolo.

Le questioni che pone il maledetto sessantenario della maledetta Unione Europea, quindi, sono di due tipi: economico e spirituale-nazionale. In entrambi i frangenti, si è cercato con tutti i mezzi, puntando su una èlite intellettuale spesso connivente o semplicemente disillusa, di sfruttare due mezzi fondamentali: la depressione e il senso di colpa.

Se l’Italia non è adatta alla selvaggia competizione imposta dalla globalizzazione c’è solo che dargliene merito. Significa che il Paese, pur non rendendosene partecipe, pur ostacolandola o essendone completamente indifferente, è fondato su una cultura della società ben distante dai modelli che il capitalismo anglosassone ha diffuso prima moderatamente, poi selvaggiamente dal 1989 in poi. Non esiste un solo valido motivo per cui tale modello, imposto con la forza, dovrebbe essere ritenuto superiore a tipologie di sviluppo peculiari come quelle che si sono imposte in diversi paesi al mondo, tra cui il nostro.

Un popolo in cui legittime differenze tra Nord e Sud sono state utilizzate ai fini più biechi, magicamente scomparsi per favoleggiare di una ipotetica nazione europea di cui non casualmente una mente mediocre (ma estremamente utile al potere di Bruxelles) come Spinelli era alfiere assoluto.

Chiedere all’Italia di abbandonare le sue radici e costruire addirittura un senso di colpa facendole passare per “inadeguatezza” è, infine, il più grande crimine che si possa perpetrare contro un popolo. Commesso da due entità probabilmente sorelle: la Repubblica Italiana e l’Unione Europea.


Tratto da Oltre la Linea

1 commento:

Anonimo ha detto...

e meno male che abbiamo una lingua....comune, quella di una nazione che non fa parte dell'unione ...cosi i nesce ccca minchia i fora!!!!!!!!!!!!!!!!!!