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martedì 26 gennaio 2016

Illibertà di Informazione


I metodi coercitivi utilizzati dalle autorità giudiziarie e dalle forze di polizia italiane sono in netto contrasto con le sentenze della Corte di Strasburgo e della Corte di Cassazione, le quali tutelano, viceversa, il segreto professionale dei giornalisti. Numerose sono le voci di protesta a riguardo. Lo stesso Ordine nazionale dei giornalisti denuncia gli innumerevoli atti di aggiramento delle norme giuridiche.

- di Francesco Colaci -

In tempi di crisi politica, sociale e culturale, l’informazione controcorrente ha sempre costituito una fonte di scomodità per qualsiasi Paese giunto all’apice delle proprie contraddizioni, le cui istituzioni siano in decadenza e del tutto tese a salvaguardare ciò che resta di “intatto” nell’ apparato comunicativo di regime.




Ci si riferisce soprattutto alla violazione del segreto professionale, una tendenza che ultimamente è preponderante nelle procure italiane, nel cui mirino vi sono numerose testate, ma soprattutto i programmi televisivi e i talk show di maggiore impatto mediatico, soprattutto nella Rai e La7.

Uno dei più bersagliati é la trasmissione Ballarò, condotta dal giornalista Giovanni Floris, la quale aveva prodotto un servizio filmato sulle condizioni effettive di equipaggiamento della polizia. E’ stato sufficiente questo fatto perché la procura di Roma intervenisse prontamente per sequestrare il video trasmesso. Si tratta di un atto che lede gravemente il diritto di segretezza delle fonti, come la libertà e la circolazione d’informazione, garantite sia dalla giurisprudenza italiana che dalle fonti comunitarie. Un trattamento simile, per la stessa tipologia di servizio, è stato riservato anche a Piazzapulita: la famigerata procura romana ha autorizzato un ordine di sequestro del materiale visivo, con l’astuta strategia di rivolgersi alla casa editoriale anziché ai giornalisti, dal momento che, secondo la legge 69 del 1963, solo i giornalisti (e non i manager) sono tenuti a rispettare il segreto professionale.

Quotidiani come Il Corriere della Sera o Il Fatto sono stati oggetto di atteggiamenti aggressivi e autoritari da parte della Direzione Investigativa Antimafia, soprattutto in seguito al polverone scatenato dalle indagini e le relative intercettazioni inerenti all’operazione “Breakfast”. I giornalisti sono stati invitati dalla DIA a consegnare tutta la documentazione sul caso, pena la loro perquisizione e il sequestro di tutto il materiale cartaceo e virtuale riguardante l’inchiesta. Dietro a queste inspiegabili procedure e accanimenti, vi è probabilmente la “longa manus” della politica parlamentare italiana, dal momento che a esser coinvolti sono partiti come la Lega e personalità quali Roberto Maroni e Berlusconi. E’ piuttosto sconcertante il fatto che un’istituzione anti-mafia, anziché complimentarsi con le fonti mediatiche per il lavoro svolto, (tra l’altro utile agli stessi tribunali e procure), abbia rimproverato delle testate giornalistiche per essersi intromesse in occulti giri d’affari, forse giudicati “troppo grandi” per dei miseri divulgatori di notizie.


I metodi coercitivi utilizzati dalle autorità giudiziarie e dalle forze di polizia italiane sono in netto contrasto con le sentenze della Corte di Strasburgo e della Corte di Cassazione, le quali tutelano, viceversa, il segreto professionale. Numerose sono le voci di protesta a riguardo. Lo stesso Ordine nazionale dei giornalisti denuncia gli innumerevoli atti di aggiramento delle norme giuridiche. Il presidente, Enzo Iacopino, afferma che il Consiglio Superiore della Magistratura dovrebbe limitare eventuali manifestazioni di prepotenza e autoritarismo dei propri membri, dal momento che i cittadini hanno il diritto di essere informati, ad esempio, sulle precarie condizioni di sicurezza in cui essi verserebbero in situazioni di terrorismo.

E’ scontato che determinati provvedimenti, a lungo andare, possano scoraggiare i giornalisti nel mantenere una certa limpidezza comunicativa, pregiudicando così la stessa libertà d’informazione. Per questa ragione, il suddetto Ordine e organizzazioni quali la Federazione nazionale della stampa italiana, intendono portare avanti la propria battaglia contro apparati di controllo mediatico sempre più repressivi. Del resto, la situazione non sorprende, dal momento che l’atteggiamento delle istituzioni è in linea con il progetto, squisitamente Renziano, per la trasformazione della Rai in una tv prevalentemente governativa. Di fatto, ciò avviene già nell’ambito dei telegiornali ufficiali, certamente non inclini a raccontare versioni imparziali, soprattutto se si guarda alle vicende di politica estera, come ai dati statistici su una misteriosa ripresa economica e un aumento occupazionale comparsi dal nulla.

In Italia, come in altri Paesi, si vive con l’impressione che molte agenzie nazionali d’informazione, oramai nelle mani di lobby o influenzate da potentati economici, non siano interessate a raccontare la realtà per ciò che si presenta all’occhio umano, quanto a tramutarsi in una vera e propria fabbrica d’illusioni. Ci si chiede, a questo punto, di quale portata enorme sia la differenza tra la verità fattuale e l’ iper-uranio giornalistico.

Fonte: L’Intellettuale Dissidente

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