di Giorgio Cremaschi
Mentre gli operai manifestavano a Genova la maggioranza di Renzi e Verdini approvava al senato la svendita dell'Ilva a qualche multinazionale. Secondo quando votato a maggioranza dal parlamento, entro il 30 di giugno di questo anno tutto il gruppo Ilva dovrà essere ceduto. Chi lo potrà comprare? O qualche grande multinazionale siderurgica estera, tipo Tyssen o Mittal, che già tagliano e ristrutturano in Italia, o qualche riccone come Rebrab, che ha comprato le acciaierie di Piombino per farci, forse, altro. Non sappiamo se dietro la data così ravvicinata, vendere in 5 mesi mega impianti siderurgici, sia già nascosto il nome dell'acquirente. Oppure se si andrà all'avventura sul mercato. Sappiamo però che il prezzo e il futuro dell'Ilva sarà deciso da chi compra. È infatti una legge semplicissima di mercato che decide: se chi vende deve vendere a tutti costi entro un certa data, al compratore non resta che attendere sulla riva del fiume…
Il governo ha stanziato poco più di un miliardo di Euro per far funzionare il gruppo, venderlo e ridurre l'inquinamento. Sono tanti soldi, ma per rilanciare il gruppo Ilva e renderlo minimamente compatibile con l'ambiente occorrerebbe almeno 5 o 6 volte tanto. Li metteranno i privati questi soldi? Ma non scherziamo. Chi comprerà l'Ilva sconterà i costi di ristrutturazione per avere un prezzo da svendita e poi non farà nulla. Se sarà ancora possibile avvelenare andrà avanti, altrimenti comincerà a chiudere le attività inquinanti, senza risanare l'ambiente, e poi cercherà di trarre il massimo guadagno possibile da ciò che resta. Il che vuol dire che resteranno i veleni e ci saranno migliaia di lavoratori in esubero a Taranto, Genova, Noviligure. Questo sta succedendo alle acciaierie di Piombino con Rebrab e a Terni con la Tyssen Krupp. Gli accordi colpevolmente sottoscritti da Cgil Cisl UIL (Fiom compresa) erano dall'inizio carta straccia.
Era scontato, è il mercato bellezza direbbe Renzi. Ed è vero, se si ci si butta stupidamente nel mare della speculazione, si viene divorati dai pescecani. A proposito dei quali, Sergio Marchionne ha annunciato che rinvia la produzione di nuovi modelli a Mirafiori per colpa della Cina. Qualche anno fa fece lo stesso annuncio dando la colpa allo spread. Così 1500 operai resteranno in cassa integrazione a Torino, assieme ai 2000 di Pomigliano, alle centinaia di Nola e a tanti altri. Non si può negare all'amministratore delegato della FCA la coerenza nella sfacciataggine.
Questo sarà sempre più spesso il destino di ciò che resta del sistema industriale italiano, se non si cambierà strada, con vere politiche industriali e programmi e interventi pubblici al posto della svendita ai privati. Capisco che pretendere questo da Renzi e Verdini sia un assurdo. Ma accontentarsi del nulla perché chi governa solo quello può dare non mi sembra una scelta lungimirante. Ancora una volta auguro agli operai dell'Ilva di non farsi imbrogliare, per questo hanno bisogno della massima solidarietà.
Ps. Tutto questo vale anche per le banche italiane, per chi ci lavora e per chi ci ha messo i risparmi.
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