di Angelo Cannatà
C’è stato un tempo in cui a Roma, al teatro Valle, davano l’Apologia di Socrate e Dell’Utri aveva già problemi con la giustizia. Era il 2004, il senatore, appena condannato per concorso esterno in associazione mafiosa, era il committente della pièce teatrale. Potevano esserci dubbi? Come Socrate, anche Dell’Utri subiva un processo ingiusto. Colpa dei giudici. Allora.
Oggi. L’accostamento al filosofo ateniese fu utilizzato (anche) per i processi a Berlusconi. Intervenne Umberto Eco: “Socrate si difese nel processo, non dal processo.” Parole chiare.
Oggi il problema si ripresenta sotto altra veste, ma l’obiettivo è identico: la magistratura, il processo “ingiusto”. Woodcock è nel mirino dei giornaloni. Renzi ironizza: è “specializzato in inchieste che arrivano a un nulla di fatto.” Non è così. La verità è che fa paura l’inchiesta Consip. Occorre screditarlo e parte la macchina del fango. Dell’Utri era più elegante, utilizzava il teatro e la committenza, gli attori, l’arte, proponeva improbabili confronti, d’accordo, e strumentalizzava il filosofo, ma almeno c’era il tentativo di nobilitare un dramma, il suo, che ancora lo vede, in età avanzata, alle prese con la giustizia.
Gli odierni denigratori della magistratura sono meno sofisticati. In fondo il loro argomento è: la magistratura non deve occuparsi dei politici, lo prevede la divisione dei poteri. Strana lettura di Montesquieu. L’Eprit des lois vuole/giustifica, in verità, l’ottimo lavoro del sostituto procuratore Woodcock. Ma la moda del tempo è incline a disprezzare le indagini dei magistrati. “Martedì approda al Senato la riforma del processo penale, che limita la pubblicazione delle registrazioni”. I cittadini non devono sapere. Predicano trasparenza e democrazia, molti, ma vanno nella direzione opposta. Il ministro Orlando utilizza il tema “intercettazioni” nelle primarie Pd. Valga la sintesi di Casson: “Non voterò la fiducia, prevalgono le esigenze di Orlando.” E’ questo il punto. Un giorno urgono le esigenze di B. o Verdini, un altro quelle – politiche – di Orlando. Mai che prevalgano le esigenze della giustizia.
Strano Paese l’Italia. A venticinque anni da “Mani Pulite” la corruzione dilaga: Consip è un macigno sul congresso Pd, ma si fa finta di nulla, il problema non sono i ladri ma i magistrati; il problema è Woodcock e il giornalismo che racconta fatti. Dovremmo davvero riprendere in mano Platone. Non L’Apologia. Va riletta Repubblica. Nel primo libro incontriamo Trasimaco: “La giustizia è l’utile del più forte”. Molti apprezzano la magistratura, oggi, se colpisce un debole; criticano se tocca i forti e il potere politico: ragionano come il sofista. Urge “definire i concetti”: che cos’è la giustizia? Se Orlando, Lotti, Renzi, avessero interiorizzato il tema, avremmo un Paese migliore: Orlando non utilizzerebbe la riforma come trofeo per scalare il Pd; Lotti non svelerebbe notizie sulle intercettazioni; Renzi avrebbe detto al babbo - al di là della favola sul “noi” - che non si fanno affari utilizzando il cognome (e la Presidenza del Consiglio).
Infine: nessuno parlerebbe di “avvisi di garanzia segreti”, per mettere il bavaglio alla stampa. In fondo, pensandoci, si tratta di una ristretta visione della legge: “la giustizia è l’utile del più forte”. Molti sono fermi a Trasimaco e non conoscono - non hanno idea di quanto sia affascinante - la risposta di Socrate. Dovrebbe rileggerla anche il filosofo Biagio De Giovanni: non vuole “una repubblica giudiziaria”, in verità manipola l’idea di giustizia - la riduce a giustizialismo, per colpirla meglio - roba da sofisti. Retorica, che Berlusconi usò senza ritegno. Che venga presentata al Lingotto come idea nuova, col consenso dei giornaloni, la dice lunga sul trasformismo in atto. Solo l’inchiesta Consip e le prossime elezioni salveranno il Paese dal degrado.
fonte: MicroMega
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