Facciamo un po’ di chiarezza … i centri di raccolta dei rifiuti, così come le forme di vita che ultimamente «stanno infestando» Roma, i diversamente umani topi, cinghiali, volpi, capre, sono di competenza della Regione Lazio, guidata da Nicola Zingaretti (Pd), e la regione non dà le autorizzazioni necessarie ad approvare il piano rifiuti, che è rimasto fermo e stantio al 2012. Quindi anche un bradipo affetto da ritardo psicofisico capirebbe che i rifiuti non si sa dove smistarli. Ciascuno ha le proprie competenze, ma la propaganda politica strumentalizza il disagio, e spara a zero sulla sindaca di Roma «E’ stata la Raggi !!»
La Regione Lazio a guida PD si è trovata in grave difficoltà, visto che la Toscana (a guida PD) ha dovuto sospendere gli accordi sullo smaltimento con il Lazio, in seguito alla grave inchiesta sullo smaltimento illecito «I bambini? Che muoiano tutti, non mi importa!».
Zingaretti ha dovuto allora ricorrere ad altre regioni, grazie allo «Sblocca Italia» (voluto da PD e Forza Italia), che ha permesso l’export di rifiuti in tutto il Paese. Opportunità da non perdere, soprattutto per il presidente dell’Emilia Romagna, Stefano Bonaccini, che non se l’è fatta certo scappare, perché «chi trova un rifiuto trova un tesoro».
Però la saga dei rifiuti non è ancora finita, dal Campidoglio replica il presidente della commissione Ambiente Daniele Diaco (M5S): «Portare i rifiuti di Roma in Emilia Romagna costa molto di più, oltre 180 euro a tonnellata. Per questo, e non per ragioni politiche, ancora nessun camion è partito da Roma per gli impianti emiliano-romagnoli». Inoltre, la Capitale durante le feste «ha retto bene», rilancia.
Occorrerà ricordare che a Roma il sistema si reggeva sulla maxidiscarica di Malagrotta, chiusa dalla giunta Marino. Nella lotta tra vampiri e licantropi, anche il ministro Gian Luca Galletti si è aggiunto al coro dei detrattori del comune di Roma, sebbene abbia sostenuto lo Sblocca Italia come «un sistema nazionale di smaltimento che supera i localismi». Invece l’amministrazione romana ha sposato la filosofia «Rifiuti Zero», puntando tutte le sue carte sulla differenziata e su prevenzione, riuso e riduzione dei rifiuti.
Nei 5 anni di gestione Zingaretti non si è fatto nulla, nessuno si è preoccupato di introdurre un modello che tenesse conto degli sviluppi, proprio nella Regione che ospita la Capitale d’Italia, con il più alto tasso di popolazione residente.
Per ora il canovaccio regge, confidando nella predisposizione alla lotofagia dei cittadini italiani, che non si sono accorti dello spot natalizio, spacciato per improbabile salvataggio PD. Infatti in Emilia-Romagna i rifiuti potrebbero addirittura non arrivare, visto che l’ipotesi più plausibile è che siano trattati in impianti più vicini, più economici e meno impattanti.
Facendo un confronto con la Germania, i tedeschi producono circa 45 milioni di tonnellate di rifiuti l’anno (50 secondo i dati dell’Ispra), secondo l’Ufficio di statistica federale, ben 561 chili pro capite (ultimi dati rilevati del 2014), uno dei più alti volumi al mondo. Nello stesso anno l’Italia ne produceva quasi 30 milioni (fonte dati Eurostat).
Il problema fondamentale è che noi italiani ricicliamo poco, secondo l’Ispra (Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale) nel 2014 finivano in discarica ben 154 chili di rifiuti prodotti dagli italiani, contro i soli 9 della Germania. Quest’ultima ne ricicla ben oltre 23mila tonnellate, il 64 per cento del totale, contro le appena poco più di 7 dell’Italia, cioè il 38 per cento del totale.
Da diversi anni gli inceneritori non vengono più costruiti in Usa, Australia, Israele, anche la Germania li sta dismettendo con proposte alternative, tipo il TMB (Trattamento Meccanico Biologico), che smaltisce i rifiuti a freddo e non inquina.
Enzo Favoino, tecnico e ricercatore della Scuola Agraria del Parco di Monza, ha assunto un ruolo importante nella innovazione dei sistemi di gestione dei rifiuti in Italia, per competenza documentata, e ha spesso avuto anche l’occasione di lavorare con le Istituzioni Europee e diversi governi nazionali per occuparsi delle strategie di settore.
Favoino è stato fortemente critico sul Decreto attuativo dell’art. 35 dello «Sblocca-Italia» (settembre 2014), e la relativa previsione di costruzione di 12 nuovi inceneritori.
Nei 5 anni di gestione Zingaretti non si è fatto nulla, nessuno si è preoccupato di introdurre un modello che tenesse conto degli sviluppi, proprio nella Regione che ospita la Capitale d’Italia, con il più alto tasso di popolazione residente.
Per ora il canovaccio regge, confidando nella predisposizione alla lotofagia dei cittadini italiani, che non si sono accorti dello spot natalizio, spacciato per improbabile salvataggio PD. Infatti in Emilia-Romagna i rifiuti potrebbero addirittura non arrivare, visto che l’ipotesi più plausibile è che siano trattati in impianti più vicini, più economici e meno impattanti.
Facendo un confronto con la Germania, i tedeschi producono circa 45 milioni di tonnellate di rifiuti l’anno (50 secondo i dati dell’Ispra), secondo l’Ufficio di statistica federale, ben 561 chili pro capite (ultimi dati rilevati del 2014), uno dei più alti volumi al mondo. Nello stesso anno l’Italia ne produceva quasi 30 milioni (fonte dati Eurostat).
Il problema fondamentale è che noi italiani ricicliamo poco, secondo l’Ispra (Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale) nel 2014 finivano in discarica ben 154 chili di rifiuti prodotti dagli italiani, contro i soli 9 della Germania. Quest’ultima ne ricicla ben oltre 23mila tonnellate, il 64 per cento del totale, contro le appena poco più di 7 dell’Italia, cioè il 38 per cento del totale.
Da diversi anni gli inceneritori non vengono più costruiti in Usa, Australia, Israele, anche la Germania li sta dismettendo con proposte alternative, tipo il TMB (Trattamento Meccanico Biologico), che smaltisce i rifiuti a freddo e non inquina.
Enzo Favoino, tecnico e ricercatore della Scuola Agraria del Parco di Monza, ha assunto un ruolo importante nella innovazione dei sistemi di gestione dei rifiuti in Italia, per competenza documentata, e ha spesso avuto anche l’occasione di lavorare con le Istituzioni Europee e diversi governi nazionali per occuparsi delle strategie di settore.
Favoino è stato fortemente critico sul Decreto attuativo dell’art. 35 dello «Sblocca-Italia» (settembre 2014), e la relativa previsione di costruzione di 12 nuovi inceneritori.
Gian Luca Galletti, Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare.
Per il ricercatore si tratta di una vera porcata: « Ora, al di là di alcuni assunti e passaggi di calcolo arbitrari, su cui si potrebbe ampiamente discutere e varrebbe la pena farlo, il difetto di analisi principale alla base dello schema di Decreto è che considera l’incenerimento come necessario, mentre è solo uno dei pretrattamenti possibili, e – con ogni evidenza – il meno adatto, per diversi motivi: è quello che richiede i tempi più lunghi di realizzazione, e questo è un fattore da considerare se si intende dare una risposta sollecita alle criticità; è poi il più esigente in termini di risorse finanziarie (i costi di investimento specifici sono 3-4 volte superiori rispetto ad impianti di trattamento a freddo), e questo a sua volta distrarrebbe risorse preziose da quella che deve costituire la vera priorità, ossia le attrezzature per la raccolta differenziata e l’impiantistica per riciclo e compostaggio».
«La criticità maggiore che devo segnalare, tuttavia, risiede nella “rigidità operativa” dell’inceneritore, che una volta realizzato richiede di fare l’unica cosa che può e sa fare: bruciare rifiuto indifferenziato. E questo, a lungo andare, determina frizioni con lo sviluppo dei programmi di raccolta differenziata, che è quello che ci viene chiesto di fare dagli obiettivi nazionali, ma anche, e sempre di più, dallo sviluppo del dibattito sulla “Economia Circolare” in sede Europea».
Per il ricercatore si tratta di una vera porcata: « Ora, al di là di alcuni assunti e passaggi di calcolo arbitrari, su cui si potrebbe ampiamente discutere e varrebbe la pena farlo, il difetto di analisi principale alla base dello schema di Decreto è che considera l’incenerimento come necessario, mentre è solo uno dei pretrattamenti possibili, e – con ogni evidenza – il meno adatto, per diversi motivi: è quello che richiede i tempi più lunghi di realizzazione, e questo è un fattore da considerare se si intende dare una risposta sollecita alle criticità; è poi il più esigente in termini di risorse finanziarie (i costi di investimento specifici sono 3-4 volte superiori rispetto ad impianti di trattamento a freddo), e questo a sua volta distrarrebbe risorse preziose da quella che deve costituire la vera priorità, ossia le attrezzature per la raccolta differenziata e l’impiantistica per riciclo e compostaggio».
«La criticità maggiore che devo segnalare, tuttavia, risiede nella “rigidità operativa” dell’inceneritore, che una volta realizzato richiede di fare l’unica cosa che può e sa fare: bruciare rifiuto indifferenziato. E questo, a lungo andare, determina frizioni con lo sviluppo dei programmi di raccolta differenziata, che è quello che ci viene chiesto di fare dagli obiettivi nazionali, ma anche, e sempre di più, dallo sviluppo del dibattito sulla “Economia Circolare” in sede Europea».
«Ecco, qui c’è un altro clamoroso difetto di analisi dello schema di Decreto: infatti il calcolo delle capacità di incenerimento necessarie assume l’obiettivo nazionale attuale ed europeo al 2020, senza considerare che con ogni probabilità verrà proposto l’aumento di quest’ultimo dal 50 al 70%: già questo di per sé inficia i calcoli alla base della bozza di Decreto».
«Senza contare che già molte Regioni italiane hanno programmi di settore che prevedono più del 65% di raccolta differenziata, in alcuni casi (ad es. il Veneto) marcatamente di più. Si imporrà a tali regioni di retrogradare i propri obiettivi al 65%, come assunto dallo schema di Decreto? Non sono questioni marginali».
Esistono alternative sostenibili agli inceneritori e alle discariche e «la necessità è quella di sistemi in grado di dare una risposta sollecita agli obblighi di pretrattamento, tenendo dunque conto degli attuali volumi di rifiuto residuo dalle raccolte differenziate senza che però tali opzioni vadano a condizionare lo sviluppo progressivo dei programmi di raccolta differenziata e di riduzione. Per questo tanti territori, in Italia ed in Europa, stanno ora programmando nella direzione degli impianti di trattamento “a freddo” con recupero di materia dal rifiuto. Si tratta di impianti che, combinando sistemi di selezione e di stabilizzazione biologica, possono essere agevolmente e progressivamente convertiti in impianti di trattamento dell’organico pulito (per farne compost) e dei materiali provenienti dalla raccolta differenziata (per valorizzarli sul mercato delle materie di recupero)».
«La precondizione è una buona raccolta dell’organico, in grado di rendere il rifiuto residuo meno “sporco” e più lavorabile, ma questo è proprio quello che riusciamo ad avere con i modelli italiani di raccolta differenziata dell’organico, che si sono ormai ampiamente dimostrati i più efficienti, tanto da essere stati esportati in vari altri Paesi della UE e non solo».
La principale critica che in genere viene mossa a tali sistemi è di «non riuscire ad evitare la discarica. Ma è una critica che difetta di analisi, perché anzitutto anche l’incenerimento ha bisogno di discariche (anzi, due tipologie di discarica: per le ceneri volanti e per le scorie); inoltre, abbiamo evidenze, di cui il nostro territorio è ormai ricchissimo, di distretti anche vasti che arrivano alla minimizzazione del rifiuto avviato a discarica grazie a quanto avviene a monte: l’ottimizzazione continua della raccolta differenziata, i programmi di riduzione, l’introduzione dei sistemi di tariffazione puntuale, ecc. E questo chiede quella “flessibilità” di sistema che viene messa a repentaglio dalla necessità di alimentare un inceneritore».
In Europa gli inceneritori e discariche diventano sempre più obsoleti e non riceveranno più finanziamenti comunitari, questo perché «A livello UE, c’è stata una riflessione sul fatto che tali finanziamenti comportano un sovvertimento di fatto delle priorità di azione sulla gestione dei rifiuti.
Peraltro, l’abolizione di qualunque finanziamento ad inceneritori e discariche è stato chiesto esplicitamente negli ultimi pronunciamenti dell’Europarlamento, quelli mediante i quali si è inteso dettare l’agenda e la strategia alla Commissione, che sta ora lavorando alla finalizzazione del pacchetto sulla Economia Circolare».
L’Italia invece continua a scegliere i termovalorizzatori, ignora le leggi che lei stessa fa sulla raccolta differenziata e aumenta il carico di rifiuti mandati a incenerire, anche se è provato che emettono diossine e sono inquinanti, perché così vogliono le multinazionali, che hanno investito in questi impianti per fare business.
Quindi appare paradossale che, proprio mentre altrove progettano una «exit strategy» progressiva dall’incenerimento, in Italia si pensi a realizzarne altri, inserendo una ulteriore contraddizione in un Paese che invece avrebbe bisogno di un piano «Smaltimento Rifiuti» all’avanguardia per la salvaguardia del territorio e dell’ambiente.
Fonte: ComeDonChisciotte
«Senza contare che già molte Regioni italiane hanno programmi di settore che prevedono più del 65% di raccolta differenziata, in alcuni casi (ad es. il Veneto) marcatamente di più. Si imporrà a tali regioni di retrogradare i propri obiettivi al 65%, come assunto dallo schema di Decreto? Non sono questioni marginali».
Esistono alternative sostenibili agli inceneritori e alle discariche e «la necessità è quella di sistemi in grado di dare una risposta sollecita agli obblighi di pretrattamento, tenendo dunque conto degli attuali volumi di rifiuto residuo dalle raccolte differenziate senza che però tali opzioni vadano a condizionare lo sviluppo progressivo dei programmi di raccolta differenziata e di riduzione. Per questo tanti territori, in Italia ed in Europa, stanno ora programmando nella direzione degli impianti di trattamento “a freddo” con recupero di materia dal rifiuto. Si tratta di impianti che, combinando sistemi di selezione e di stabilizzazione biologica, possono essere agevolmente e progressivamente convertiti in impianti di trattamento dell’organico pulito (per farne compost) e dei materiali provenienti dalla raccolta differenziata (per valorizzarli sul mercato delle materie di recupero)».
«La precondizione è una buona raccolta dell’organico, in grado di rendere il rifiuto residuo meno “sporco” e più lavorabile, ma questo è proprio quello che riusciamo ad avere con i modelli italiani di raccolta differenziata dell’organico, che si sono ormai ampiamente dimostrati i più efficienti, tanto da essere stati esportati in vari altri Paesi della UE e non solo».
La principale critica che in genere viene mossa a tali sistemi è di «non riuscire ad evitare la discarica. Ma è una critica che difetta di analisi, perché anzitutto anche l’incenerimento ha bisogno di discariche (anzi, due tipologie di discarica: per le ceneri volanti e per le scorie); inoltre, abbiamo evidenze, di cui il nostro territorio è ormai ricchissimo, di distretti anche vasti che arrivano alla minimizzazione del rifiuto avviato a discarica grazie a quanto avviene a monte: l’ottimizzazione continua della raccolta differenziata, i programmi di riduzione, l’introduzione dei sistemi di tariffazione puntuale, ecc. E questo chiede quella “flessibilità” di sistema che viene messa a repentaglio dalla necessità di alimentare un inceneritore».
In Europa gli inceneritori e discariche diventano sempre più obsoleti e non riceveranno più finanziamenti comunitari, questo perché «A livello UE, c’è stata una riflessione sul fatto che tali finanziamenti comportano un sovvertimento di fatto delle priorità di azione sulla gestione dei rifiuti.
Peraltro, l’abolizione di qualunque finanziamento ad inceneritori e discariche è stato chiesto esplicitamente negli ultimi pronunciamenti dell’Europarlamento, quelli mediante i quali si è inteso dettare l’agenda e la strategia alla Commissione, che sta ora lavorando alla finalizzazione del pacchetto sulla Economia Circolare».
L’Italia invece continua a scegliere i termovalorizzatori, ignora le leggi che lei stessa fa sulla raccolta differenziata e aumenta il carico di rifiuti mandati a incenerire, anche se è provato che emettono diossine e sono inquinanti, perché così vogliono le multinazionali, che hanno investito in questi impianti per fare business.
Quindi appare paradossale che, proprio mentre altrove progettano una «exit strategy» progressiva dall’incenerimento, in Italia si pensi a realizzarne altri, inserendo una ulteriore contraddizione in un Paese che invece avrebbe bisogno di un piano «Smaltimento Rifiuti» all’avanguardia per la salvaguardia del territorio e dell’ambiente.
Fonte: ComeDonChisciotte
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