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giovedì 4 gennaio 2018

I POLITICI HANNO TRADITO LA COSTITUZIONE DOPO 70 ANNI.

Cedendo la sovranità monetaria alla BCE questa puo’ ricattarci in qualsiasi momento. Mettendo il pareggio di bilancio in Costituzione lo Stato non ha più un euro e non può fare investimenti e non può nazionalizzare per creare lavoro. Le aziende vengono vendute, anche quelle che macinavano introiti sono state cedute. E’ tutto privato e ormai non credo sia più possibile uscirne. Ci hanno messo in un “cul de sac” e la Costituzione e il lavoro sono diventati solo principi. E a proposito della guerra, i soldati in Nigeria non dovevano avere il benestare del Parlamento?



La causa di tutto è un “popolo” che ha smarrito la propria identità…. distratto da qualche inutile bagordo e preso da insignificanti filosofie. Un minimo di “realismo” riporterebbe il popolo ad un voto “consapevole”.

C’è però chi lavora per “impedirlo”, facendo mancare la “libera” informazione e trasformando i media in mezzi di “propaganda” fascio-mafiosa…!!!

E’ giovane e ambiziosa la nostra costituzione e andava protetta con un organo di tutela non politico che doveva salvare il popolo dai partiti che legiferano continuamente in assetto anticostituzionale, bastava copiare altre repubbliche già vive da prima della nostra e mettere l’esercizio come terza forza indipendente e alla difesa della carta e come ago della bilancia tra le due forze principali politica e magistratura. non fu fatto e oggi gli interessi non costituzionali hanno scavalcato la carta e la politica si auto reintegra anche se va fuori dalla sua carta di regole da seguire.

È un programma, questa Carta che compie settant’anni, il nostro programma di italiani. E' una protesta. E' anche una battaglia, quella per la sua piena attuazione.

È dovere della politica e, in primo luogo, di governo e Parlamento, essere l’anima di quel programma, di quella protesta, di quella battaglia. La nostra Costituzione, d’altra parte, non è né un insieme di articoli (139 in tutto per i curiosi), né una generica esposizione di principi: è un tutto organico che, mentre disegna il senso del nostro stare insieme, indica e presuppone le politiche – soprattutto economiche – che lo rendano possibile. Il sistema delineato è definibile, all’ingrosso, keynesiano, cioè ispirato al pensiero dell’economista John Maynard Keynes. Gustavo Zagrebelsky lo ha descritto così nel suo Fondata sul lavoro (Einaudi): «La Costituzione pone il lavoro a fondamento, come principio di ciò che segue e ne dipende: dal lavoro, le politiche economiche; dalle politiche economiche, l’economia. Oggi, assistiamo a un mondo che, rispetto a questa sequenza, è rovesciato: dall’economia dipendono le politiche economiche; da queste i diritti e i doveri del lavoro».

Eppure quel “dal lavoro alle politiche” è ciò che è accaduto in Italia (e non solo) nei cosiddetti “gloriosi trenta”, vale a dire i trent’anni seguiti alla Seconda guerra mondiale.

Riassumendo grossolanamente: intervento dello Stato nell’economia e nell’intermediazione del risparmio (pensioni e assicurazione sanitaria e anti-infortunistica); limitazioni alla libertà di movimento dei capitali e controllo del credito; Banca centrale dipendente dal governo e, dunque, finanziamento pubblico del deficit. Furono anni di crescita dei salari, aumento dell’occupazione, basso deficit pubblico: quando il ministro Dc Beniamino Andreatta, all’inizio del 1981, decise il “divorzio” tra Tesoro e Banca d’Italia condannando il Paese a “vendersi” sul mercato, il debito pubblico era sotto al 58% del Pil e la spesa dello Stato rispetto al Prodotto attorno al 41%, inferiore alla gran parte dei Paesi europei. Anche questo, insieme alla Costituzione, conviene dimenticare sul comodo altare del mondo che è cambiato e non offre più certezze.

Il programma dei governi italiani dell’ultimo trentennio dunque non è più la Carta, ma la perenne “emergenza economica” che ha affossato i fondamentali dell’economia “costituzionale”, ma garantito la vendetta della rendita sul lavoro. Il programma degli ultimi cinque esecutivi, invece, è stato addirittura messo nero su bianco dalla Banca centrale europea nella sua lettera dell’estate 2011: privatizzazioni, liberalizzazioni, libertà di licenziamento (flessibilità), tagli a welfare e pensioni pubbliche da sostituire con assicurazioni private. In sostanza, la riduzione del ruolo dello Stato alle dimensioni di un amministratore di condominio e relativo appiattimento della società sulle esigenze dei famigerati “mercati”: non è un caso che i Trattati europei – ispirati a questa concezione minima del ruolo dello Stato – non facciano menzione di «diritto al lavoro» (il nostro articolo 4), ma basino la loro idea di società su due pilastri, la «stabilità dei prezzi» (inflazione bassa) e un’«economia sociale di mercato fortemente competitiva» (dove “sociale” è una spolverata di simpatia sulla ferocia del “fortemente competitiva”).

Fonte:  ItalianoSveglia

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