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martedì 15 ottobre 2013

Quella terza Repubblica che terrorizza gli Italiani

Una Terza Repubblica alle porte?



di Pierfranco Pellizzetti
Da mercoledì 2 ottobre si continua a discutere l'effettivo impatto degli accadimenti di quella particolare giornata, in cui Enrico Letta ha visto riconfermata la fiducia alla propria compagine ministeriale e Silvio Berlusconi, votando contro se stesso, è incappato in una figuraccia ancora più clownescamente tombale dei risolini con cui nel 2011 la Merkel e Sarkozy avevano decretato simbolicamente la caduta del suo ultimo governo.

Sicché ora vale la domanda formulabile in termini metaforici: siamo al passaggio dalla Seconda alla Terza Repubblica, o no? Quella Seconda Repubblica che per due interminabili decenni ha intrecciato – nel bene come nel male – le proprie sorti con quelle dell'ormai senescente Cacicco di Arcore; il quale poteva imporre ad entrambi gli schieramenti dell'arena politica le proprie logiche, le proprie priorità, i propri stilemi comunicativi.

Alcune discontinuità rispetto agli standard vigenti balzano agli occhi.
Ad esempio la totale marginalizzazione dei dichiarati Vaffatori e Rottamatori: i Grillo e i Renzi, cioé i personaggi che – seppure in maniere differenti – si erano proclamati promotori di rotture radicali e definitive, non riescono a tradurre in ruolo effettivo i pur cospicui consensi intercettati. Si rivelano comunicatori ininfluenti.

Ulteriore esempio: l'imprevista perdita del controllo di una fetta considerevole del proprio apparato parlamentare, fino ad ora rigorosamente telecomandato, da parte di Silvio Berlusconi; possibile annuncio di smobilitazione dell'autocrazia ventennale a destra, che ora fa parlare Enrico Letta di “svolta storica”.

Tuttavia, questi elementi ancora non accrediterebbero ipotesi di nuove Repubbliche come abrogazione della “Grundnorm”, la norma fondamentale; modifiche di tratti significativi nella costituzione materiale vigente (pur nel perdurare di quella “formale”; come avvenne nel passaggio precedente, dalla Prima alla Seconda).

Semmai l'elemento che indurrebbe a prospettare un cambio di regime è proprio la presa d'atto dell'avvenuta liquidazione della forma politica paradigmatica nel ventennio: quello star-system o “democrazia del pubblico”, in cui il leader simil carismatico trasforma l'arena politica nel set di un reality e riformula il rapporto con l'elettorato in termini di innamoramento. Forma incarnatasi in Berlusconi, ora nei tardi epigoni Renzi e Grillo.

I fatti recenti inducono a dire che i più che concreti morsi del declino italiano hanno riportato in auge collaudate tecnologie del potere; e – di conseguenza – reso inerti le teatralità imbonitorie delle star tribunizie.

Se questo è vero, è in atto un ridisegno del campo politico bipolare, che ora si riunifica in centralità onnivora; la ripartizione tra destra e sinistra cede a quella tra insiders e outsiders. Sotto la regia neodemocristiana assicurata dall'asse Letta-Alfano. Sicché Lupi, Cicchitto e Quagliariello sono “dentro”; non solo Grillo resta “fuori”, ma anche le Biancofiore, i Capezzone e le Santanché.

Volendolo, potremmo chiamarla “Terza Repubblica”, ossia il compimento di un processo che viene da molto lontano; un tempo chiamato “consociativismo”: la collusività tra attori che si riconoscono appartenenti alla comune corporazione partitica, pur mantenendo in apparenza posizioni contrapposte.

La lunga deriva che scorre sottotraccia nella democrazia competitiva italiana del dopoguerra, già dai tempi del Centrismo e del primo Centrosinistra; all'opera nelle quotidiane (micro)regolazioni concertate delle commissioni parlamentari.

Quel feeling (definito “di casta” dalla pubblicistica corrente) acuitosi al tempo di Mani Pulite quando, insieme a corrotti e corruttori, finirono sotto processo le pratiche predatorie di finanziamento del cosiddetto “costo della politica”; per affiorare carsicamente dietro gli antagonismi spettacolarizzati della Seconda Repubblica: dalle Bicamerali “inciuciste” ai reiterati salvataggi di Berlusconi, riconosciuto all'unanimità “insostituibile perno centrale degli equilibri di sistema”.
Collusività consociativa emersa in tutta evidenza nell'aggregazione che sosteneva il governo Monti e ora tiene in sella quello Letta.

Ovviamente l'odierna retorica pubblica propone formule “alte” a giustificazione di solidarietà cementate dall'affinità e maturate sotto i raggi nutrienti del potere. Dunque si parlerà di Grandi Coalizioni e larghe intese, si indurrà a paventare meccanismi di ricambio e alternanza propugnando la stabilità.

Appunto, retoriche messe in campo allo scopo di esorcizzare il conflitto, quale rischio mortale per una classe politica incapace di affrontare i problemi strutturali del Paese decadente; ossessionata dall'esigenza di tenere sotto controllo la società.

(14 ottobre 2013)

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