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mercoledì 23 ottobre 2013

Alitalia, Telecom, Ansaldo: davvero un ritorno al protezionismo?

C'è davvero un ritorno del protezionismo in italia, come paventato dal Financial Times e sostenuto anche da Giavazzi and c.? I casi di Ansaldo Energia, Telecom e Alitalia sono diversi e bisogna analizzarli stando ai fatti.

di Massimo Mucchetti, da il Foglio, 22 ottobre 2013


Siamo sicuri che il Financial Times abbia ragione a dare l’allarme sul ritorno del protezionismo industriale in Italia? Ne sono convinti Francesco Giavazzi e altri 25 economisti e manager che nei giorni scorsi hanno sottoscritto un appello del Foglio: tra questi, noto ex presidenti della Cassa depositi e prestiti, dell’Acea e dell’Enel, consiglieri di amministrazione dell’Iri e dell’Eni Prima Repubblica ed ex parlamentari che chiusero un occhio sugli aiuti pubblici del Cip 6 all’industria elettrica privata. Personalmente, non ricaverei dai tre casi citati – Ansaldo Energia, Telecom Italia e Alitalia – una conclusione di carattere generale. Non adesso, almeno. Adesso starei ai fatti. Per consentire e dissentire.

Ansaldo Energia. La Cassa depositi e prestiti (Cdp) ne acquista l’85 per cento da Finmeccanica (che resta al 15 per cento) e al fondo First Reserve. Prima di scandalizzarmi, cercherei una risposta a tre domande. La prima: i venditori hanno fatto un buon affare o avrebbero potuto incassare di più? Risposta: il consiglio di Finmeccanica ha giudicato conveniente l’offerta della Cdp che reca un beneficio finanziario di 750 milioni. Un consiglio prono al volere dello stato? Forse. Resta che pure il fondo americano ha venduto senza lamentarsi. Seconda domanda: l’azienda Ansaldo avrebbe avuto un miglior futuro se fosse stata acquisita dalla tedesca Siemens o dalla coreana Doosan senza più soci italiani di mezzo? Risposta: la Siemens è un concorrente, proprietario di tecnologie più ampie di quelle di Ansaldo e infinitamente più grande; presto o tardi avrebbe ridotto l’azienda a mera filiale commerciale e di servizio; la Doosan, invece, si sarebbe integrata perfettamente dal punto di vista industriale (non ha le turbine), ma forse sarebbe stata tentata con il tempo di portarsi altrove le tecnologie italiane. Terza domanda: la Cdp aprirà, e come, a partnership internazionali? Risposta: la Cdp questo dice di voler fare e credo possa avere numerose proposte. Morale: sospenderei il giudizio e incalzerei la Cdp a fare bene. Non mi pare una mission impossible.

Telecom Italia. Il take over che Telefonica ha avviato su una società che vale 11 miliardi porta in Italia non più di 150 milioni di euro (a Generali, Mediobanca e Intesa Sanpaolo andranno a regime 850 milioni meno 700 di vendor loan concesso dalle ultime due). In compenso la mancanza di un’Opa danneggia l’85 per cento del capitale totale di Telecom, che per il 52 per cento è detenuto da soci esteri. Siamo sicuri che la mossa di Telefonica giovi alla sacra causa dell’attrazione dei capitali esteri? Per poter acquisire Telecom, Telefonica deve prima ottenere che Telecom ceda Tim Brasil e Telecom Argentina. Finora, i soci italiani hanno osteggiato questo antico disegno di Alierta per evidenti motivi. E’ cambiato qualcosa? Mi si dirà, all’unisono con il premier Enrico Letta, che Telecom è una società privata. Niente di più esatto. Ma le transazioni private avvengono secondo la legge. La Costituzione tutela il risparmio. La legge sull’Opa tutela quello investito in azioni da parte delle minoranze obbligando all’Opa totalitaria chiunque superi il 30 per cento di una società quotata o acquisisca la maggioranza di patti di sindacato o scatole finanziarie detentrici di partecipazioni comprese tra il 30 e il 50 per cento. Troppe volte è accaduto che questa norma non funzionasse, consentendo rendite di posizione ai soliti noti. Il Senato ha impegnato il governo a porvi rimedio istituendo una seconda soglia dell’Opa obbligatoria, determinata dal controllo di fatto quando sia inferiore al 30 per cento. E’ la stessa doppia soglia usata con successo in Spagna, paese di Telefonica. Non abuso dello spazio per spiegare come si possa agevolmente fare sul piano tecnico. Ci sarà tempo e modo. Ma già ora si può porre la questione se una tale riforma abbia effetto retroattivo su un accordo tra privati come quello intercorso tra i soci di Telco, la scatola che contiene il 22,4 per cento di Telecom. Giavazzi e i suoi 25 seguaci sostengono di sì. Il presidente della Consob, Giuseppe Vegas, che abbiamo audito in Commissione, dice di no, a patto che la modifica della legge sull’Opa intervenga prima che vengano attribuiti a Telefonica i diritti di voto che la porterebbero oltre il 50 per cento di Telco. A mio avviso ha ragione la Consob, che, tra l’altro, è l’istituzione deputata al controllo di queste faccende. Al momento, siamo di fronte a una promessa di compravendita, ancora sottoposta a clausole sospensive e autorizzazioni sudamericane. Mi sembra un po’ poco per congelare l’attività legislativa con una passivity rule de’ noantri.

Quanto all’invocazione della sicurezza nazionale sulla rete, penso sia tema da non liquidare con una battuta né pro né contro. Certo, Telecom privata ha avuto al riguardo momenti d’oro nel rispetto della privacy dei suoi interlocutori.

Alitalia. Su questo affare, le critiche sono quasi tutte condivisibili. Sul passato non mi soffermo, avendone scritto tante volte. Stiamo all’oggi. L’ex compagnia di bandiera è fallita. Ha un buco patrimoniale, a seconda di come si fanno i conti al 30 giugno 2013, tra i 93 e i 456 milioni di euro, niente più cassa, 2,35 milioni di debiti finanziari e commerciali e la stagione invernale alle porte. Dico solo ai 26 che non è stata “la politica” a fare la privatizzazione dei patrioti, ma il centrodestra berlusconiano, sostenuto da una banca che ha nome e cognome (Intesa Sanpaolo) e da tutti i sindacati. Romano Prodi aveva trovato un’altra soluzione. Dare a Cesare quel che è di Cesare dovrebbe essere la premessa di ogni appello. Ma che fare, davanti al fallimento di Alitalia? Il partner Air France, forte dei suoi diritti di veto, la chiede ristrutturata a spese dello stato e dei creditori e a costo zero, con l’obbligo di non operare nei collegamenti diretti intercontinentali. Conviene al paese che i turisti cinesi passino da Parigi prima di arrivare a Roma? I 26 la sanno lunga. Risponderanno. Certo sarebbe meno roboante e più chirurgico auspicare l’applicazione della legge Marzano all’Alitalia. Il commissario, libero da veti francesi e sindacali, da vecchi debiti e sudditanze, tratterà il futuro con un soggetto industriale italiano, capace di un piano e di tessere le indispensabili alleanze internazionali avendo in mente l’interesse del paese. Non senza ragione, i 26 temono il fantasma di una rinazionalizzazione senza ritorno. E citano gli Usa come virtuoso esempio di nazionalizzazioni temporanee. Ricordo loro che la Casa Bianca è tuttora azionista al 32 per cento della GM. Siamo pragmatici. Credere che l’erba del vicino sia sempre più verde è un po’ poco per ergersi ad advisor.

(22 ottobre 2013)

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