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sabato 28 giugno 2014

Il Governo la smetta di prendere in giro gli Italiani


Italia-Europa. È in corso un imbroglio da parte di chi non ha la minima intenzione di mettere in discussione l’attuale modello di integrazione europea.

di Luigi Pandolfi, da il Manifesto, 27 giugno 2014

Da un po’ di tempo a que­sta parte, tirare all’austerity è diven­tato lo sport pre­fe­rito degli uomini poli­tici e di governo del nostro paese. Tra i cam­pioni di que­sta disci­plina spicca per per­vi­ca­cia il pre­mier Renzi, che di dichia­ra­zioni anti-austerity ha riem­pito in poco più di un anno un cam­pio­na­rio da guin­ness dei primati.

Nes­suno, però, men che meno il gio­vane capo del governo, ha spie­gato come l’Italia, con­cre­ta­mente, potrebbe scio­gliersi dalla morsa asfis­siante dei vin­coli euro­pei, che, banal­mente, discen­dono da trat­tati e rego­la­menti la cui pater­nità è anche nostra, in quanto mem­bri del Con­si­glio euro­peo e dell’Eurogruppo.
Si tratta, chia­ra­mente, di un imbro­glio, con­su­mato scien­te­mente a danno degli ita­liani, da parte di chi, governo com­preso, non ha la minima inten­zione di met­tere in discus­sione l’attuale modello di inte­gra­zione europea.

Il nostro paese, insieme agli altri part­ner dell’Eurozona, sog­giace ad una serie di regole che ne limi­tano pesan­te­mente l’autonomia sul ver­sante delle poli­ti­che eco­no­mi­che e di bilan­cio. È giu­sto ritor­narci, per­ché un’eventuale – e auspi­ca­bile — fuo­riu­scita dall’austerity non potrebbe pre­scin­dere dalla rot­tura della gab­bia d’acciaio in cui attual­mente siamo rinchiusi.

Tale gab­bia si chiama gover­nance euro­pea e si com­pone di una serie di vin­coli per i bilanci pub­blici — ispi­rati a rigidi con­cetti di sta­bi­lità e di soste­ni­bi­lità delle poli­ti­che che vi affe­ri­scono, tra cui spic­cano i noti (o fami­ge­rati) para­me­tri sul defi­cit e sul debito in rap­porto al Pil — e di stru­menti atti a pre­ve­nirne o a cor­reg­gerne gli squilibri.


Per quanto riguarda la regola del defi­cit, da Maa­stri­cht in giù sono cam­biate tante cose. A comin­ciare dalla stessa soglia del 3% di cui molto – e spesso a spro­po­sito – si parla. Essa rimane, ovvia­mente, come limite inva­li­ca­bile, ma l’introduzione dell’Obiettivo di Medio Ter­mine (Omt) nel 2005 ha impo­sto agli stati mem­bri dell’area euro nuovi e più strin­genti para­me­tri (defi­cit com­preso tra –1% del Pil e il pareg­gio, o il sur­plus, tenendo conto del saldo strut­tu­rale, ovvero del saldo di bilan­cio al netto della com­po­nente ciclica e delle misure una tantum).

Col Fiscal com­pact, nel 2012, l’Omt per i paesi dell’Eurozona è stato fis­sato allo 0,5%. Com’è noto, accanto alla «regola del defi­cit» c’è la «regola del debito», intro­dotta nel 2011 con il Six Pack, l’insieme dei rego­la­menti che hanno pro­fon­da­mente modi­fi­cato la gover­nance euro­pea, poi ripresa nel Fiscal compact.

Cosa dice que­sta regola? Che la quota del rap­porto debito/PIL in eccesso rispetto al valore del 60% debba essere ridotta ad un tasso di 1/20 all’anno, avendo come rife­ri­mento la media dei tre pre­ce­denti eser­cizi. L’ora «x» per il nostro paese (valu­ta­zione di con­for­mità della Com­mis­sione) è fis­sata al 2015.

Il cer­chio si chiude, come già accen­na­vamo, con gli stru­menti di pre­ven­zione, di sor­ve­glianza e di cor­re­zione auto­ma­tica, che con­sen­tono al sistema di «funzionare».

Nella sostanza par­liamo di una serie di inter­venti a monte (brac­cio pre­ven­tivo) e a valle (brac­cio cor­ret­tivo) nel pro­ce­di­mento di for­ma­zione del bilan­cio dello stato e nella defi­ni­zione delle poli­ti­che eco­no­mi­che pub­bli­che che, di fatto, hanno esau­to­rato i governi ed i par­la­menti nazio­nali nelle loro pre­ro­ga­tive costi­tu­zio­nali in mate­ria (lo chia­mano «coor­di­na­mento e sor­ve­glianza delle poli­ti­che eco­no­mi­che e di bilan­cio nell’Unione»). Alla base di que­sto com­pli­ca­tis­simo edi­fi­cio di regole e di poteri c’è un prin­ci­pio sem­pli­cis­simo: l’indebitamento è un pro­blema e come tale va affron­tato e risolto, agendo sulla sua matrice (spesa in defi­cit) ed ope­rando a tappe for­zate per la sua ridu­zione (deleveraging).

Il dramma è che l’accelerazione su que­sto ver­sante si è avuta quando la crisi stava già pro­du­cendo i suoi effetti reces­sivi sull’economia euro­pea. E’ stata la rispo­sta – folle – che l’Europa, attra­verso le sue isti­tu­zioni, ha dato alla crisi scop­piata oltreo­ceano nel 2007–2008.

I danni sono sotto gli occhi di tutti: è stato asse­con­dato il ciclo eco­no­mico nega­tivo anzi­ché con­tra­starlo. Basta fer­marsi ai dati sulla disoc­cu­pa­zione. Dal 2007 al 2013 i disoc­cu­pati nell’Eurozona sono pas­sati da 11,6 a più di 19 milioni. In Ita­lia da 1,5 a 3,1 milioni, pra­ti­ca­mente il doppio.

Nel 2009 il nostro paese «van­tava» un tasso di disoc­cu­pa­zione infe­riore di 2 punti per­cen­tuali alla media euro­pea (7,4% con­tro 9,5% Ue), oggi viag­giamo intorno al 14% (gio­va­nile al 46%). E’ il debito? Nel nostro paese, sia in ter­mini asso­luti che in rap­porto alla ric­chezza nazio­nale, è andato alle stelle. Quando si dice “ete­ro­ge­nesi dei fini”! Fa bene, per­ciò, il pre­mier Renzi a dire che l‘austerità ci sta facendo male. Ma, com’è nella sua abi­tu­dine, non ci spiega come que­sta sua «sen­si­bi­lità» («Basta auste­rità, biso­gna cam­biare verso») possa spo­sarsi con il rispetto dei vin­coli euro­pei («Dob­biamo tenere i conti in ordine per i nostri figli»), intorno ai quali ruota tutta l’impalcatura del Def appro­vato ad aprile. Né ha chia­rito come il man­te­ni­mento della tabella di mar­cia con­te­nuta in quest’ultimo atto, rela­ti­va­mente agli obiet­tivi di finanza pub­blica (con­se­gui­mento del pareg­gio strut­tu­rale nel 2016 e rispetto della regola del debito), sia com­pa­ti­bile con i dati reali che pro­ven­gono dall’economia, quasi tutti al ribasso rispetto alle pre­vi­sioni già «pru­denti» di qual­che mese fa. 

Dicia­molo chia­ra­mente: il nostro paese non è nelle con­di­zioni di rispet­tare que­gli impe­gni. Sareb­bero neces­sari sur­plus pri­mari (eccesso della rac­colta fiscale sulla spesa pub­blica al netto degli inte­ressi sul debito) straor­di­nari, il cui con­se­gui­mento impor­rebbe tagli dra­co­niani alla spesa e livelli di tas­sa­zione del tutto inso­ste­ni­bili (gli 80 euro sono ser­viti come arma di distra­zione?). Il 1 luglio si apre il seme­stre di pre­si­denza ita­liana della Ue. Il pre­mier vorrà essere con­se­guente con le sue pro­po­si­zioni? Ponga all’ordine del giorno la revi­sione dell’intera gover­nance europea.

Ci stu­pi­sca, insomma, oppure la smetta di pren­dere in giro gli italiani.

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