E' stato presentato come la Waterloo del Jobsact, ma se in sede di discussione Parlamentare il "Decreto Dignità" non viene abbondantemente cambiato ed emendato, rischia di diventare un provvedimento "limitato" che non sortirà alcun effetto tangibile nella vita dei cittadini ed in particolare dei Lavoratori. Il Decreto cerca di affrontare il tema della precarietà usando però armi oggettivamente depotenziate che alla fine rischiano di perpetuare e giustificare ciò che nelle intenzioni si voleva cambiare.
Si, perchè nella sostanza portare il risarcimento, in caso di ingiusto licenziamento, da 24 a 36 mensilità, ammesso che il Giudice in fase procedurale voglia ricorrere al massimo previsto in termini di indennizzo, non sarà un deterrente per evitare i licenziamenti, ma rischia di tramutarsi nel riconoscimento dei principi insani di quel jobs Act tanto demonizzato. La santificazione di fatto del licenziamento anche senza giusta causa, seppur con parametri leggermente diversi.
Lo stesso dicasi per la norma che prevede la proroga del contratto a termine per 4 anzichè 5 volte dando per scontata che questa operazione, da parte datoriale, avvenga in maniera continuativa. Di fatto basterà lasciare a casa il Precario per poi riassumerlo dopo più di venti giorni per azzerare il progressivo delle Proroghe concesse e iniziando il conteggio da capo. Se veramente vogliamo disinnescare gli effetti del Jobs Act ridiamo forza alla reintroduzione dell'Art. 18 che è l'unico provvedimento oggettivamente che, rimesso in campo, dà il colpo di grazia davvero agli effetti nefasti introdotti dal Jobs Act. Anche la Lega anni addietro non si tirò indietro nel dar vita ad una petizione popolare a difesa dell'art.18, il che farebbe pensare oggi ad un appoggio incondizionato ad una iniziativa del genere. Oltretutto in prospettiva dell'introduzione del Reddito di Cittadinanza, l'introduzione dell'Art 18 rappresenta anche un valido argine a possibili licenziamenti concordati che potrebbero diventare di convenienza tra Dipendente e Datore di Lavoro, certamente ostacolati in tal caso da una norma che oltre a prevedere fatti gravi a giustificazione di un tale provvedimento da parte datoriale, prevede anche strascichi di natura giudiziaria che tendono in genere al reintegro del Lavoratore, scongiurando pertanto sistematicamente un "False Flag" concordato in ambito lavorativo.
In tema Contratti precari, il Principio che bisogna far passare è che un contratto a termine, in qualsiasi forma si concretizzi (e sarebbe il caso di intervenire nel Decreto Dignità anche rispetto alle migliaia di forme contrattuali attraverso cui oggi la precarietà si materializza, limitandoli drasticamente), dopo al massimo qualche proroga, almeno per una percentuale consistente dei lavoratori assunti con tale strumento in un determinato periodo, debba in larga percentuale tramutarsi in un Contratto a tempo indeterminato. Non affermare questo è solo un modo elegante per fare gli interessi di tanti Imprenditori che su queste norme inaudite e sul loro modo distorto di fare impresa, hanno costruito le loro fortune. Imprenditori che vedono l'apporto lavorativo dei loro collaboratori non come un supporto di crescita per la loro azienda, ma come una prestazione da cannibalizzare economicamente a proprio vantaggio, questo anche se in questi giorni tanti di loro, rispetto al Decreto Dignità, parlavano apertamente di provvedimenti contro l'iniziativa d'Impresa secondo la logica, a mio modo di vedere, che a Napoli (e Di Maio certamente lo saprà), è più conosciuta come il metodo "Chiagnere e fottere".
Anche sulla norma che va a regolamentare le delocalizzazioni e che sicuramente è un provvedimento sano e condivisibile, un fiore all'occhiello di questo Decreto, bisogna ben puntualizzare, in sede di discussione, certi passaggi che potrebbero diventare scappatoie percorribili da parte di imprenditori senza scrupoli che avendo già stabilimenti disseminati in più località Italiane ed Europee potrebbero tendere a fare il gioco delle tre carte, sia con gli impianti di produzione che con i loro operai, che potrebbero essere oggetto di spostamenti, senza nella sostanza chiudere filiali produttive, ma in tal modo facendolo di fatto, inducendo ed introducendo oltretutto i presupposti per l'autolicenziamento della forza lavoro. In tal caso non sarebbe male introdurre delle norme sui trasferimenti in sedi di lavoro distanti oltre i 100 Km e un registro degli Impianti, visionabile dagli organismi di controllo, in dotazione ad ogni sede Produttiva, che rendano individuabili i movimenti sia di personale che di Impianti.
Il Jobs Act ha rappresentato per il mondo del lavoro la Caporetto della legislazione giuslavorista nel nostro paese, l'oscurantismo di una stagione di conquiste sociali che si era protratta dagli anni 60 agli anni 80 e che con il Decreto varato dal Governo Renzi subiva con una violenza inaudita un processo di destrutturazione e di depotenziamento senza precedenti. Facciamo in modo che il Decreto Dignità rappresenti veramente un processo di rinascita e di Restaurazione di un mondo del lavoro che ritrova finalmente la sua collocazione al centro dell'interesse Nazionale. Senza introdurre meccanismi che, nella sostanza, rischiano di rivelarsi vuoti di contenuti ma, al contrario, avallando fatti tangibili e palpabili di miglioramento.
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