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lunedì 16 luglio 2018

LA SISTEMATICA DISTRUZIONE DELLO STATO SOCIALE

di Clairemont Ferrand

Penso che sia bene rinfrescarci la memoria ricordando che in Italia fino ai primi anni 90’ resistette uno Stato sociale tra i migliori al mondo.

Fu messo in piedi per calcolo geopolitico nel clima della Guerra Fredda, in funzione di deterrenza contro l’ingresso nel potere centrale statale del PCI, mentre già era presente nel governo di diverse e importanti città e regioni (definite città e regioni rosse per distinguerle da quelle bianche controllate dalla DC).




Non si può negare e tanto meno rinnegare il salto di civiltà che fino ad allora fece l’Italia estendendo il benessere a un vastissimo strato della popolazione, allargando la promozione sociale anche alle classi sociali più disagiate e promuovendo l’istruzione sociale fino alla laurea in contesti familiari dove pochi anni prima a mala pena l’istruzione consisteva nella scuola elementare.

Naturalmente come le migliori opere umane anche questa non poteva essere, e infatti non era, perfetta.

Ci furono abusi importanti per le cifre di macro economia mobilitate (in quegli anni esplose il debito pubblico italiano) e inaccettabili dal punto di vista delle giustizia sociale.

Le baby pensioni, le pensioni di invalidità concesse con manica larghissima (un eufemismo) e poi con pratiche illegali e corruttive largamente diffuse nel meridione, ma con numeri significativi sia al centro che al nord Italia, erano la punta dell’iceberg di un sistema che questi e altri abusi (solo per esempio ricordo i costi enormi dei partiti tutti a carico dello Stato) condotti in maniera sistematica avevano portato al collasso dello Stato Sociale.

E così si fece la scelta scriteriata di buttare via e l’acqua sporca e il bambino.

Questa scelta drastica fu facilitata anche dal fatto che con la fine della Guerra Fredda il PCI non fece più paura e venne assorbito con il significativo cambio del nome (PDS) nel sistema ‘occidentale’.

In effetti il mutamento era stato così radicale fino a cambiarne il DNA.

E così si arrivò fino al punto che D’Alema bombardò l’ex Jugoslavia, per compiacere gli americani in particolare i circoli Dem dei Clinton, avendone in cambio l’accreditamento.

Roba da far esplodere il più solido degli stomaci.

Da qui cominciò l’inarrestabile corsa all’indietro dei diritti sociali.

Ci fu una impressionante accelerazione nell’azione distruttiva delle tutele sociali a favore della parte più debole della popolazione italiana a partire dalla cosiddetta super crisi delle banche americane (vi ricorderete il crack Leman e i mutui Sub Prime made in USA, ovvero, in buon italiano, farlocchi).

I costi di quella crisi sistemica americana furono scaricati su tutto il mondo, prima di tutto sull’Europa.

L’Italia pagò il prezzo più alto tra le nazioni europee.

Infatti il governo Monti, il primo dei governi tecnici, cioè senza legittimazione popolare tramite elezioni, con regia di Napolitano, iniziò il bombardamento sistematico di ciò che era rimasto ancora in piedi delle tutele e dei diritti sociali (la famigerata legge Fornero, lo scatenamento di Equitalia contro la parte più debole dei contribuenti – cioè quelli che non ce la facevano a pagare le tasse dichiarate e quindi NON EVASE -, l’annichilimento delle piccole imprese, la riduzione delle tutele per i dipendenti delle grandi aziende private, sopratutto le multinazionali).

Allo sciagurato governo Monti, subentrò il governo Letta, sempre non eletto ma scelto discrezionalmente da Napolitano per continuare le politiche di Monti.

Il ragazzo non si rivelò all’altezza del compito affidatogli, e Napolitano, impaurito dalla ipotizzata probabile vittoria del M5S alle europee, lo congedò facendo fare a Matteo Renzi il lavoro sporco per cacciarlo. Napolitano assistette silente all’arroganza baldanzosa (vi ricorderete: Enrico stai sereno… indirizzato da Renzi a Letta).

Il governo del Bomba si caratterizzò per un’accentuazione delle politiche antipopolari, una per tutte il Jobs Act (in inglese… per nascondere la sostanza), sempre sotto la guida di Napolitano.

Queste politiche antipopolari si cercò di coprirle distraendo l’attenzione con la pressione politica e mediatica per i diritti civili, come se questi fossero la merce di scambio per la perdita di diritti sociali consolidati.

Ma la gente sa benissimo che di soli diritti civili non si campa, senza peraltro rinnegarli e tanto meno combatterli, quando non siano semplice fumo negli occhi o polverone mediatico mirato ad ottenere la distrazione della gente dalle cose che contano davvero.

Ma anche questo ragazzo non seppe portare a compimento il lavoro affidatogli da Napolitano e incappò in una serie di sconfitte nelle elezioni amministrative e nel referendum.

Napolitano avrebbe voluto che togliesse il disturbo, un po’ alla Letta, ma il Bomba non era il tipo da usa e getta…


E così Renzi si incaponì sino alla disfatta delle elezioni politiche del 4 marzo scorso.

E non si sa fino a quanto durerà il suo incaponimento e quali strade percorrerà.

Comunque, alla fine cedette alle pressioni in favore di Gentiloni, per cercare di presentare un volto parzialmente nuovo, mite e moderato, per continuare le stesse politiche.

L’unica nota di discontinuità di Gentiloni fu l’abolizione dei voucher, per evitare il referendum promosso dalla CGIL, e per cercare di recuperare l’elettorato tradizionale di riferimento, ma il Jobs Act, e cioè la sostanza delle politiche riduttive dei diritti sociali, non venne minimamente riformato.

Ora ci troviamo una legislazione da riformare profondamente per riequilibrare il potere negoziale tra le parti deboli e quelle forti del mercato del lavoro e per sostenere in via prioritaria le piccole imprese che danno lavoro in Italia e non delocalizzano in giro per il mondo globalizzato per pagare il meno possibile la forza lavoro.

Dobbiamo sempre aver presente che la globalizzazione, spinta all’inverosimile con l’incoraggiamento delle migrazioni, punta ad avere carne da macello in abbondanza da sottopagare e usare a piacimento.

Non ci vuole molto a capire che l’abbondanza di manodopera scatena nei fatti una guerra tra i poveri che sono già tanti in Italia e quelli che arrivano in maniera artificialmente indotta da tutte le parti del mondo, sopratutto dall’Africa sub-sahariana.

Questo è esattamente l’effetto sociale ed economico cercato e voluto dal capitalismo finanziario ‘compassionevole’ alla Soros, al quale non interessa nulla dei migranti che considera come oggetti da muovere da un posto all’altro del mondo.

Questa lobby che muove capitali così ingenti che possono far tremare interi Stati, vuole avere manodopera a basso costo in Europa e Stati Uniti per fare concorrenza alla Cina sullo stesso suo terreno.

Queste masse enormi di persone, i poveri occidentali e i poveri provenienti dalla migrazione promossa nei paesi di origine facendo balenare aspettative false, per loro rappresentano non persone, non individui detentori di diritti sociali, ma semplici oggetti.

Ai poveri italiani e europei e ai poveri migranti, la lobby di cui Soros fa parte vuole non solo togliere i diritti sociali (esaltando però quelli che loro chiamano diritti civili, in pratica fumo negli occhi), ma, con lo sradicamento per gli uni dalle proprie tradizioni popolari e per gli altri dal proprio Paese, vuol togliere pure l’anima, la stessa primordiale dignità umana.

Ecco perché trovo quanto mai azzeccato il nome che Luigi Di Maio ha scelto per il decreto appena approvato: Decreto Dignità.

E’ una prima importantissima azione concreta nella direzione giusta di riappropriazione di diritti e dignità, appunto, e non ho il minimo dubbio che se ne aggiungeranno altre sempre più importanti e incisive.

Consentitemi ancora un’altra nota in tema di globalizzazione a uso e consumo di chi ha già uno strapotere economico e finanziario.

Il super intelligente ministro dell’economia, il renziano Padoan, ha pensato bene prima di andar via di fare una norma per attrarre in Italia i ricchi globalizzati e apolidi, la cui patria è il dio denaro, mettendo un tetto di 100.000 euro alla tassazione qualsiasi sia il reddito imponibile.

Così commenta Luciano Cerasa sul Fatto Quotidiano:

“E qui viene in soccorso a braccia aperte l’imposta ‘attrai Paperoni’ introdotta dall’ex ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan nella legge di Bilancio 2017 con l’obiettivo di attirare nuovi capitali, consumi e investimenti nel Belpaese. In cosa consiste? Gli ultra ricchi che trasferiscono la propria residenza in Italia pagano un’imposta ‘a forfait’ di 100 mila euro all’anno per 15 anni su tutti i redditi, ma limita lo sconto a quelli di fonte estera. Per le attività internazionali di Ronaldo si tratterebbe sempre di un risparmio fiscale ingentissimo, tra compensi, premi e sponsor. Tuttavia nel 2014 la Fiat si è trasformata in FCA, con sede legale in Olanda e sede fiscale in Gran Bretagna, per cui tutto quello che il gruppo procaccerà a Ronaldo (compreso l’ingaggio?) rientrerà nella quota fissa”.

Ecco come vorrebbe il mondo la lobby di Soros: solo chi ha tanti soldi è una persona, gli altri non sono individui, non sono neanche persone, ma numeri, semplici oggetti di produzione e di consumo (di cibo spazzatura, ovviamente).

Solo chi ha tanti capitali può avere una legislazione fiscale ad hoc, cui bisogna oltretutto soddisfare ogni desiderio.

A questa lobby hanno obbedito prontamente in tutto e per tutto i governi globalisti ‘de sinistra’ da Monti in poi, fino a Gentiloni.

Ma dal 4 marzo la musica è cambiata e cambierà sempre di più e sempre di più incisivamente con il Governo Conte.

Fonte: Stop Euro

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