Stefano Fassina è persona intelligente e preparata, uno dei pochi di provenienza Pd – oggi Leu – che in tempi non sospetti ha ammesso e denunciato le gravi distorsioni che la moneta unica crea al mondo del lavoro, ma questa volta, a nostro avviso, ha sbagliato. Ci riferiamo ad una riflessione apparsa il 28 luglio sull’Huffington Post nella quale il deputato LeU critica aspramente le modifiche che la maggioranza parlamentare si appresta ad approvare al Decreto dignità nel percorso di conversione in legge del decreto stesso.
Fassina evidenzia anzitutto la mancata reintroduzione dell’art. 18 dello Statuto dei Lavoratori. Ci sarebbe da ridere, se non ci fosse da piangere.
La “tutela reale”, cioè la possibilità per il lavoratore illegittimamente licenziato di chiedere al giudice di essere reintegrato nel posto di lavoro, aveva già subìto importanti ridimensionamenti con la Legge Fornero (Legge n. 92/2012), approvata – guarda caso – proprio da quel Pd di cui Fassina allora faceva parte. Ma non solo. Il successivo e devastante intervento in materia di articolo 18 avviene con il Jobs Act (Legge n. 183/2014 e successivi decreti attuativi del 2015), approvato sempre con i voti del Pd, non più a guida Bersani ma a guida Renzi, di cui Fassina faceva pur sempre ancora parte.
Come che sia, è vero che il Decreto dignità non reintroduce l’art. 18, ma è anche vero che quella tutela era riferita alle sole aziende con più di 15 dipendenti, mentre il tessuto produttivo italiano vede in gran parte piccole e medie imprese i cui lavoratori non ne beneficiavano neppure prima.
Ed è proprio qui che il Decreto dignità interviene a loro tutela. Come? Attraverso l’aumento della forbice relativa alla “tutela obbligatoria” – cioè quella economica – in favore del lavoratore: da 4-24 mensilità del Jobs Act a 6-36 mensilità del Decreto Di Maio. Ma visto che il deputato di LeU critica le migliorie in discussione nella legge di conversione, occorre ricordargli che la maggioranza parlamentare sembra orientata ad accogliere la proposta di aumento delle mensilità anche per quel che riguarda la forbice della “tutela obbligatoria” in relazione all’offerta di conciliazione, portandola dalle attuali 2-18 a 3-27 mensilità. Toccare la piccola-media impresa nel portafogli è il miglior deterrente contro i licenziamenti.
Ma Fassina “supera” se stesso quando, rivolgendosi all’attuale maggioranza parlamentare, scrive: “Avete approvato una norma che determina a giugno prossimo il primo licenziamento di massa dalla scuola pubblica: circa 7.000 insegnanti con Diploma Magistrale ante 2001/2002”. Una grave inesattezza che merita di essere subito smentita. La norma che prevede il licenziamento degli insegnanti senza laurea era prevista dalla Buona Scuola voluta dai suoi ex compagni Renzi e Gentiloni.
Le eventuali modifiche che verrebbero apportate al Decreto dignità prevedono invece una proroga salvifica fino a giugno del prossimo anno, salvo poi – si spera – una riforma strutturale della scuola o eventuali nuove proroghe.
Una ulteriore critica che il deputato LeU rivolge alle modifiche che il Parlamento si accinge a votare è quella che “[…] per chi vorrà licenziare arbitrariamente, sarà sufficiente omettere le motivazioni per poter incorrere nell’invariata e modestissima sanzione per “vizi di forma”. Non comprendiamo a cosa si riferisca questa contestazione. Ieri come oggi, tra i requisiti necessari che una lettera di licenziamento deve contenere a pena di nullità – così come previsti dall’art. 2 della Legge n. 604 del 1966 e successive modifiche – non v’è quello di indicare la motivazione del recesso. E’ sempre stato così. Spetta semmai al lavoratore, nemmeno con l’impugnazione stragiudiziale bensì solo con quella giudiziale (cioè col ricorso davanti al giudice), esplicitare nel dettaglio le motivazioni della propria impugnativa.
Infine, capitolo voucher. Anche qui Fassina ne critica la reintroduzione, senza tuttavia esplicitarne motivi che potrebbero invece essere utili al dibattito. I voucher non piacciono neppure a noi, ma se reintrodotti solo per determinati tipi di settori produttivi (turismo ed agricoltura) e con dei paletti ben precisi così come dovrebbe prevedere la legge di conversione (ad esempio aziende fino ad otto dipendenti e solo per determinati periodi dell’anno), i voucher impediscono il lavoro nero e lo sfruttamento dei lavoratori per quel che concerne l’orario di lavoro giornaliero.
Fassina, inoltre, nel suo articolo dimentica di evidenziare alcuni aspetti positivi che saranno normati con la legge di conversione del decreto. Su tutti il fatto che – per quel che riguarda la scuola – salta il tetto dei 36 mesi per i contratti di lavoro a tempo determinato. La misura era contenuta nella riforma del Pd e, grazie alle modifiche che verranno apportate al Decreto dignità, a settembre potranno rientrare in servizio decine di migliaia di insegnanti che, senza questa miglioria, non sarebbero stati più richiamati.
Siamo consapevoli del fatto che questo Decreto sia solo un inizio, ma criticarlo con falsi argomenti è la cosa peggiore che si possa fare
Come che sia, è vero che il Decreto dignità non reintroduce l’art. 18, ma è anche vero che quella tutela era riferita alle sole aziende con più di 15 dipendenti, mentre il tessuto produttivo italiano vede in gran parte piccole e medie imprese i cui lavoratori non ne beneficiavano neppure prima.
Ed è proprio qui che il Decreto dignità interviene a loro tutela. Come? Attraverso l’aumento della forbice relativa alla “tutela obbligatoria” – cioè quella economica – in favore del lavoratore: da 4-24 mensilità del Jobs Act a 6-36 mensilità del Decreto Di Maio. Ma visto che il deputato di LeU critica le migliorie in discussione nella legge di conversione, occorre ricordargli che la maggioranza parlamentare sembra orientata ad accogliere la proposta di aumento delle mensilità anche per quel che riguarda la forbice della “tutela obbligatoria” in relazione all’offerta di conciliazione, portandola dalle attuali 2-18 a 3-27 mensilità. Toccare la piccola-media impresa nel portafogli è il miglior deterrente contro i licenziamenti.
Ma Fassina “supera” se stesso quando, rivolgendosi all’attuale maggioranza parlamentare, scrive: “Avete approvato una norma che determina a giugno prossimo il primo licenziamento di massa dalla scuola pubblica: circa 7.000 insegnanti con Diploma Magistrale ante 2001/2002”. Una grave inesattezza che merita di essere subito smentita. La norma che prevede il licenziamento degli insegnanti senza laurea era prevista dalla Buona Scuola voluta dai suoi ex compagni Renzi e Gentiloni.
Le eventuali modifiche che verrebbero apportate al Decreto dignità prevedono invece una proroga salvifica fino a giugno del prossimo anno, salvo poi – si spera – una riforma strutturale della scuola o eventuali nuove proroghe.
Una ulteriore critica che il deputato LeU rivolge alle modifiche che il Parlamento si accinge a votare è quella che “[…] per chi vorrà licenziare arbitrariamente, sarà sufficiente omettere le motivazioni per poter incorrere nell’invariata e modestissima sanzione per “vizi di forma”. Non comprendiamo a cosa si riferisca questa contestazione. Ieri come oggi, tra i requisiti necessari che una lettera di licenziamento deve contenere a pena di nullità – così come previsti dall’art. 2 della Legge n. 604 del 1966 e successive modifiche – non v’è quello di indicare la motivazione del recesso. E’ sempre stato così. Spetta semmai al lavoratore, nemmeno con l’impugnazione stragiudiziale bensì solo con quella giudiziale (cioè col ricorso davanti al giudice), esplicitare nel dettaglio le motivazioni della propria impugnativa.
Infine, capitolo voucher. Anche qui Fassina ne critica la reintroduzione, senza tuttavia esplicitarne motivi che potrebbero invece essere utili al dibattito. I voucher non piacciono neppure a noi, ma se reintrodotti solo per determinati tipi di settori produttivi (turismo ed agricoltura) e con dei paletti ben precisi così come dovrebbe prevedere la legge di conversione (ad esempio aziende fino ad otto dipendenti e solo per determinati periodi dell’anno), i voucher impediscono il lavoro nero e lo sfruttamento dei lavoratori per quel che concerne l’orario di lavoro giornaliero.
Fassina, inoltre, nel suo articolo dimentica di evidenziare alcuni aspetti positivi che saranno normati con la legge di conversione del decreto. Su tutti il fatto che – per quel che riguarda la scuola – salta il tetto dei 36 mesi per i contratti di lavoro a tempo determinato. La misura era contenuta nella riforma del Pd e, grazie alle modifiche che verranno apportate al Decreto dignità, a settembre potranno rientrare in servizio decine di migliaia di insegnanti che, senza questa miglioria, non sarebbero stati più richiamati.
Siamo consapevoli del fatto che questo Decreto sia solo un inizio, ma criticarlo con falsi argomenti è la cosa peggiore che si possa fare
fonte: Scenari Economici
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