L’intervento di Marcello Foa all’incontro di presentazione del libro “La Quarta Teoria Politica“, di Alexandr Dugin, in occasione dell’inaugurazione del nuovo dipartimento di “Filosofia dell’Economia e Leadership”, diretto dal Prof. Diego Fusaro, alla European School of Economics di Milano.
di Marcello Foa
Il tema dell’informazione è fondamentale. È fondamentale perché oggi il nostro filtro della realtà è determinato da quello che scrivono i media, sia quelli ufficiali, sia quelli non ufficiali, ma il peso del cosiddetto “media mainstream” resta ancora preponderante.
Dall’antica Cina sino ai giorni nostri, per cui anche quando i media non esistevano, il controllo dell’informazione era una prerogativa fondamentale. Se voi oggi leggete Sun Tzu, “L’arte della guerra“, descrive proprio questo. E chiaramente oggi chi governa i singoli paesi e chi governa quella che è la globalizzazione o queste nuove realtà sovranazionali, che caratterizzano sempre di più la nostra esistenza, ne è ben consapevole.
Ecco perché qualunque processo di analisi della nostra società non può prescindere da due elementi: uno è quello di cui io sono competente, cioè ovvero l’informazione, capire come funzionano i meccanismi dell’informazione, capire come è possibile orientare l’insieme dei media anche laddove non esiste una censura. E l’altro tema è quello connesso a questo nuovo dipartimento, cioè l’interdisciplinarità.
Perché dico questo? Perché oggi, se volete capire quel che accade nel mondo, non basta che vi rivolgiate al grande filosofo, al grande sociologo, al grande psicologo, al grande comunicatore, al grande storico perché ognuna di queste persone avrà un grandissimo limite, che è quello dell’estrema specializzazione. Quei pochi che riescono a capire frammenti della nostra realtà – perché ormai alla fine bisogna essere realistici: sono frammenti – sono quegli studiosi che riescono a combinare diversi discipline, diverse competenze. E combinando diverse competenze riescono a captare quei fili invisibili, quelle connessioni invisibili, quelle deduzioni, quelle intuizioni che sono indispensabili per capire il mondo in cui noi viviamo.
Ecco perché oggi noi abbiamo due possibilità di leggere i grandi avvenimenti, anche le grandi crisi economiche. Le grandi crisi economiche possono essere degli strumenti per condizionare le nostre esistenze e per condurre le nuove forme di guerra moderna: sono le guerre asimmetriche.
Pensate alle crisi economiche e finanziarie che si sono succedute negli ultimi anni. La crisi in Russia del 1998 – chi ha qualche capello grigio se la ricorda, io ero a Mosca all’epoca e dunque me lo ricordo molto bene -, con la Russia praticamente fallita; la crisi in Argentina (diversi risparmiatori italiani hanno perso molti soldi), le crisi delle cosiddette “Tigri finanziarie asiatiche“, poi la bolla del “Dot-com“, poi la crisi dei mutui subprime; e guardate il peso politico, sociologico, antropologico dell’Euro, che conseguenze sta avendo sulla nostra esistenza! Allora la domanda che bisogna porsi è molto semplice – senza essere, come dicono, “complottisti”: “Queste crisi sono inevitabili, cioè frutto di avvenimenti che accadono e non sono controllabili, oppure possono essere indotte, frenate, nascoste o amplificate?“.
E questa è una domanda molto importante, perché quando capisci i meccanismi attraverso cui si condizionano informazione, economia, i mercati stessi… riesci a capire quando queste crisi sono autentiche o sono indotte. Naturalmente senza che noi si sappia nulla.
Vi racconto un piccolo aneddoto. Quando ci fu la crisi finanziaria in Asia – tra il 1997 e il 1998 – chiesi a un grande finanziere europeo di cui ero amico: “Ma… lei come vede questa crisi?”. Lui mi rispose molto semplicemente: “Guardi, per me è molto semplice: stanno comprando le aziende della Corea, del Vietnam, delle tigri asiatiche a prezzo di saldo. Stanno facendo i più begli affari della loro vita!“.
Effettivamente i valori di quelle aziende crollarono. Chi le comprò ai minimi fece un affare incredibile e soprattutto ne prese il controllo. E allora sarebbe interessante andare a vedere le multinazionali che acquistarono quelle aziende. La sua, forse, poteva essere una battuta di un esperto del settore oppure indicare qualcosa di più profondo, che però non si può dire esplicitamente, perché se lo dici esplicitamente, quando la crisi è in corso, primo non ti credono, secondo ti dicono: “Ah! Paranoico, complottista, i mercati non si possono orientare, ecc…“. La realtà invece non è bianco e nero: ha queste tonalità di grigio che sfuggono sempre al radar dell’informazione. Il punto è, come scrive Alexandr Dugin, che in certi passaggi è davvero illuminante, e in cui mi riconosco al 100%: se vogliamo superare le categorie che oggi sono probabilmente di comodo, bisogna sforzarsi di andare oltre le apparenze, bisogna sforzarsi di apprezzare quegli studiosi – e fortunatamente ce ne sono – il più possibile multidisciplinari, che autorevolmente riescono ad aprire al pubblico che desidera seguirli, che ha voglia di capire, delle finestre, dei nuovi orizzonti e cercare il più possibilmente di fare squadra oltre le appartenenze politiche.
Perché mai dire destra o sinistra, conservatore o progressista? È molto, estremamente relativo e anzi sono preconcetti che alla fine non fanno altro che cristallizzare l’opinione pubblica, attraverso la cornice valoriale che impedisce poi alla persona veramente curiosa di capire cosa accade attorno a lui. Questo perché noi viviamo, percepiamo la realtà come attraverso dei canali. Bisogna aprire la mente.
fonte: ByoBlu
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