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mercoledì 7 febbraio 2018
LA SPACCATURA FRA LE ELITE E LA GENTE COMUNE DOPO IL “MASSACRO SOCIALE” DELL’EURO, DELLA UE E DELLA GLOBALIZZAZIONE
di Antonio Socci
E’ già successo in Gran Bretagna per la Brexit e negli Stati Uniti per l’elezione di Trump. Anche da noi le élite usano lo sbrigativo anatema del “populismo” per delegittimare e silenziare il malessere del popolo. Quel popolo a cui l’articolo 1 della Costituzione attribuisce “la sovranità” che gli hanno in gran parte sottratto.
Il disagio sociale che dilaga in Italia (il Censis lo ha chiamato “rancore” per il declassamento sociale subito) è lo stesso che, negli Stati Uniti, ha portato Donald Trump a vincere.
Le élite puntavano sulla candidata “progressista” Hillary Clinton, mentre Trump ha dato voce ai “dimenticati”, al ceto medio massacrato dalla globalizzazione e dalla crisi, ai lavoratori senza più lavoro, scomparsi dai radar di Obama e della Clinton
Da noi il “massacro sociale” della globalizzazione ha assunto la forma dell’Euro e dell’Unione Europea (che poi è una Super Germania).
E’ incredibile che ci si ostini a non vedere il disastro di questi venti anni “europei” tanto acclamati dalle nostre élite: la media annua della crescita economica dal 2000 ad oggi è zero, la produzione industriale è crollata di circa 20 punti percentuali, migliaia di imprese chiuse, abbiamo il 35 per cento di disoccupazione giovanile, due milioni di italiani che guadagnano meno del minimo salariale e tre milioni a nero; i “poveri assoluti” sono più che raddoppiati, circa 5 milioni, e – se sommati ai poveri relativi – superano i dieci milioni. Sono nuovi poveri: il 25,8 per cento delle famiglie con un reddito da partita Iva – secondo la Cgia di Mestre – è sprofondato sotto il livello di povertà.
D’altra parte, se l’Italia paga il prezzo maggiore, tutta l’area euro è stata danneggiata dalla “follia” della moneta unica e dei Trattati di Maastricht.
Lo si vede considerando il quarantennio che va dal 1950 al 1990, cioè prima dell’euro, quando la crescita media del Pil è stata del 3,86 per cento in Francia, del 4,05 in Germania e del 4,36 per cento in Italia.
Paragoniamo questi dati al periodo dell’euro, quello che va dal 1999 al 2011: abbiamo l’1,61 per cento per la Francia, l’1,32 per la Germania e lo 0,68 per l’Italia. Un crollo verticale e dietro alle cifre c’è un dramma collettivo.
Questo spiega la forte contrapposizione fra élite e popolo che emerge – sui temi dell’Europa, dell’economia e dell’emigrazione – in un sondaggio realizzato da Chatham House che (riferisce Giuseppe Valditara) ha intervistato 10.000 cittadini europei da una parte e dall’altra 1.800 tra politici, giornalisti e rappresentanti del mondo economico-finanziario, insomma l’oligarchia della globalizzazione.
Fra questi ultimi il 71 per cento promuove la UE giudicandola vantaggiosa, mentre fra la gente comune solo il 34 per cento. La maggioranza la boccia e il 54 per cento dei cittadini ritiene che il proprio Paese stava meglio venti anni fa (prima dell’euro).
E’ una convinzione empirica, basata sul fatto che i propri figli – per la prima volta nella storia moderna – stanno peggio dei genitori, ma – come si è visto – è confermata dai dati catastrofici sul Pil.
In Italia è del tutto evidente che vent’anni fa, economicamente, si stava meglio, perché il reddito pro capite degli italiani è crollato del 23 per cento nel periodo che va dal 1999 a oggi.
Fra l’altro un’altra statistica ci dice che se nel 1996 il Pil pro capite dell’Italia era superiore a quello della Germania (26.509 euro contro 25.107 euro), nel 2016 quello stesso Pil è stato di 25.858 euro per l’Italia (che quindi è addirittura regredita) e di 34.484 euro per la Germania. Grazie all’euro.
Nel sondaggio della Chatham House emerge pure che il 57 per cento dell’élite giudica positivo il fenomeno dell’immigrazione (nei quartieri bene non si vive certo il degrado delle periferie), mentre fra i cittadini comuni la maggioranza è contraria e solo il 25 per cento ha un giudizio positivo.
Peraltro la gente comune vede che hanno spalancato le frontiere a masse enormi di migranti e hanno orientato la spesa pubblica più verso l’accoglienza degli immigrati – e il salvataggio delle istituzioni finanziarie – che verso i cittadini. I quali anzi pagano queste politiche con forti imposizioni sugli immobili e sui redditi.
Le élite, l’oligarchia che ha il monopolio del discorso pubblico (e si colloca nell’area di sinistra) ha pure imposto la nuova religione del politicamente corretto con cui “ha preteso di stabilire come le persone dovessero parlare e, per questa via, che cosa dovessero pensare” (Luca Ricolfi).
Perciò anche la libertà di pensiero e di parola della gente oggi è compromessa. Fra le élite dopo la Brexit e Trump si è arrivati perfino a mettere in discussione il suffragio universale.
Memorabile il provocatorio titolo del “Washington Post” del 20 maggio 2016: “Dobbiamo togliere il diritto di voto agli americani ignoranti”.
Tutto questo quadro è ben delineato dal professor Giuseppe Valditara nel suo libro “Sovranismo” dove denuncia appunto l’agonia della sovranità popolare: “Il destino dei popoli è sempre più nelle mani di governi sovranazionali e istituzioni internazionali non rappresentativi, di tribunali internazionali e nazionali che, pur senza legittimazione popolare, si sostituiscono al legislatore, di lobbies finanziarie di dimensioni globali, ovvero di giganteschi fondi d’investimento e fondi sovrani che condizionano il destino di governi nazionali regolarmente eletti e la stabilità stessa di interi Stati”.
E’ così e nei prossimi mesi – con le novità che si annunciano da Bruxelles – la nostra gente non avrà più neanche gli occhi per piangere. Se non si inverte velocemente la rotta.
via Lo Straniero
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