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domenica 11 febbraio 2018

Flat Tax, il re è nudo. Pronti a vivere come in Belize?

di ROSANNA SPADINI

O il sole o il welfare? Non vale più. Ora il treno della Flat Tax è partito, quello che contribuirà al definitivo massacro del welfare e dei diritti. Non è presente in nessun Paese dell’Europa occidentale, dove la qualità della vita è ancora mediamente alta. È presente invece nell’Europa dell’est e nel terzo mondo. La Flat Tax è una bufala, sarebbe meglio chiamarla «flop tax», perché è dannosa per il welfare, riveste la funzione di un Robin Hood al contrario, è incostituzionale, ed è altamente sconsigliabile per il mantenimento di un sistema fiscale attento alla ridistribuzione della ricchezza.




La tassa è iniqua perché non è progressiva, così come prevede la Costituzione, e mentre i milioni di contribuenti della fascia media risparmieranno poche decine di euro all’anno, i 130mila fortunati che dichiarano tra 90 e 100mila euro, avranno un beneficio molto più tangibile, perché è una tassa che favorisce le classi benestanti.

L’articolo 53 della Costituzione per altro dice che «Il sistema tributario è informato a criteri di progressività».

La palude si addensa sulla proposta del Centrodestra, perché non ci sono ancora accordi condivisi sul livello effettivo della tassa che dovrebbe sostituire Irpef e Ires. Fissandola al 20% gli introiti fiscali calerebbero di 95,4 miliardi. Però Forza Italia sostiene che «si finanzierebbe da sola», così com’è avvenuto in Belize, Kazakhistan, Transnistria e un atollo polinesiano.

La Russia ha adottato l’aliquota unica nel 2001, aumentando del 16% le sue entrate, ma il Fondo monetario internazionale (Fmi) spiega che non ci sono prove del legame tra crescita e riforma fiscale. La scommessa sul nostro Paese è però un azzardo. Forse la tassa piatta potrebbe aiutare a portare alla luce i redditi da lavoro autonomo, ma rischia di aprire una voragine nei conti pubblici e far pagare la crisi alle famiglie.

Un’aliquota unica per persone fisiche e imprese al posto di Irpef e Ires, però tra una proposta e l’altra si agitano decine di miliardi. Per il Berlu, a giorni alterni, sarà «di poco superiore al 20%» o «del 20-22-25%».

Nel frattempo il Giornale della famiglia Berlusconi contesta le affermazioni del Sole24Ore sulla perdita di gettito che deriverebbe dalla riforma fiscale «la flat tax al 25% funziona benissimo, per dire, nel paradiso fiscale di Trinidad e Tobago. Mentre i contribuenti dell’arcipelago polinesiano di Tuvalu devono accontentarsi del 30%».

Sul valore dell’aliquota che dovrebbe sostituire i cinque scaglioni Irpef si stanno ancora «facendo i calcoli», ha ammesso l’ex condannato in un’intervista al Corriere, ed anche se l’idea era del ’94, i conti ancora non tornano. Nel frattempo la Lega ne ha fatto uno dei propri cavalli di battaglia, nella versione super light al 15% sostenuta da Salvini e Armando Siri, ex giornalista dei tg Mediaset e novello guru economico.

Nel libro «Flat tax», edito da Passaporta, Armando Siri spiega come con la sua proposta lo Stato in un anno avrebbe mancate entrate complessive (tra persone e imprese) per 63 miliardi di euro. Liquidità però che resterebbe nelle tasche di famiglie e delle imprese stesse che aumenterebbero la domanda interna e la capacità di investimento. Oltre a procurare una semplificazione drastica di tutta la burocrazia a monte.

Ma non era Claudio Borghi, il teorico del NoEuro, il santone leghista in materia economica? Sì, ma per l’emisfero nord, per quello sud c’è Armando Siri. E poi c’è anche Alvin Rabushka, della scuola dei Chicago Boys, professore a Stanford e già consigliere di Reagan, il vero profeta della «flat tax». Come diceva appunto Reagan, si tratta di «affamare la bestia», cioè lo Stato, e quello italiano è sempre stato particolarmente famelico, dicono i leghisti, da Romaladrona in giù.

Quel Matteo Salvini da Milano, fasciato di felpe parlanti, che ha varcato la linea del Po per sfondare mercati del centro sud, studi televisivi e soprattutto i like di Facebook.

«Occorre un piano strategico nazionale per il Sud, non soltanto per il Ponte sullo Stretto, e noi questo piano lo stiamo elaborando» dice Siri «Lui l’ho conosciuto ai tempi della candidatura di Roberto Maroni alla presidenza della Lombardia. Non è la figura rozza dipinta dai media, ha un ego permeabile ai buoni consigli, sa ascoltare con leale sincerità e, cosa più importante, mostra un coraggio intuitivo che Renzi non ha» e ancora «ormai destra e sinistra sono emisferi chiamati a comunicare e collaborare, come avviene nel luogo mediano del cervello chiamato corpo calloso, altrimenti diventano spastici e si annientano a vicenda». Insomma, basta con la nevrosi della democrazia.

Siri ha comunque le idee molto chiare, perché la cura della schizofrenia contemporanea per lui non è anti o post-politica, invece è pre-politica. In parole povere, non siamo più in grado di gestire correttamente l’eccesso di aggressioni patogene esterne (flussi migratori, debito pubblico, disoccupazione di massa, chiusura di aziende, crisi bancarie), e così siamo costretti ad usare vaccini super potenti, per la pandemia in atto. L’uomo italico esigerebbe un vasto programma di recupero dei valori umanistico rinascimentali, si dovrebbe ripartire da Marsilio Ficino, con un forte ideale anelito a farsi ubermensh.

I casi di «successo» dell’aliquota unica nel mondo sono tanti. Dei 38 Stati, otto sono membri dell’Unione europea, quelli di più recente adesione, quali Bulgaria, Ungheria, Romania e Slovacchia. Poi oltre alla Russia, ci sono paradisi fiscali come l’Isola di Jersey, quella di Guernsey, le Seychellese Trinidad e Tobago, regimi autoritari come il Kazakistan, repubbliche ex sovietiche come Turkmenistan e Kirghizistan, gli Stati non riconosciuti della Transnistria e del Nagorno Karabakh, il Sud Sudan. Non mancano l’Iraq e l’Abkhazia, il Belize e la nazione polinesiana di Tuvalu, 10mila abitanti disseminati su nove isolette per 26 chilometri quadrati complessivi.

L’aliquota unica sembra però non funzionare bene in tutte le stagioni. Tra il 2010 e il 2013 Islanda e Slovacchia hanno abbandonato la tassa piatta, sull’onda della crisi finanziaria che ha messo in difficoltà i loro conti pubblici. Il governo di Bratislava ha deciso di fare retromarcia dopo nove anni e nel gennaio 2013 ha affiancato l’aliquota unica al 19% con un secondo scalino al 23%.

Nei primi quattro anni dall’introduzione della flat tax l’economia slovacca è cresciuta a tassi del 10%, ma sono aumentate anche le differenze di reddito. Con la crisi tra i cittadini slovacchi, ha spiegato Andrea Peichl, ricercatore dell’istituto per il Lavoro di Bonn, è aumentata la richiesta di una maggiore ridistribuzione del reddito che, in assenza di altri interventi, non si può ottenere tramite questa tassazione.

«La flat tax aiuta i ricchi? Sono contento» ha detto Matteo Salvini, a margine di una sua visita al mercato di via Pagano a Milano. E poi «Noi non tradiremo mai, non andremo mai al governo con Renzi, la Boldrini, i grillini, con Gentiloni» ha replicato a chi gli ha chiesto che cosa farebbe la Lega in caso il centrodestra non ottenesse la maggioranza dei seggi in Parlamento.

Ma i benefici della tassa piatta non si ridurrebbero alla crescita economica, perché troncando le imposte si stimolerebbe il lavoro così come l’emersione dei redditi in «nero», in quanto tutti i contribuenti sarebbero più disponibili a pagare le tasse, con una magica riduzione dell’evasione fiscale.

Le ultime dichiarazione dei redditi in Italia ci dicono che su 40 milioni di contribuenti solo 31.000 dichiarano più di 300.000 euro l’anno di reddito lordo, arrivano invece a 400.000 quelli che sfiorano i 100.000 euro. Quindi i redditi sono principalmente sotto questa soglia. In più come sostiene il centro di ricerca della Cgia di Mestre la tassazione delle imprese tra imposte dirette e indirette raggiunge anche il 64,8% sui profitti, percentuale che mette il nostro Paese al primo posto fra tutti quelli dell’area euro (affaritaliani.it).

Di conseguenza gli investitori sono più propensi ad investire altrove, dove la tassazione è più bassa. Quindi il sistema sistema burocratico fiscale necessita di riforme urgenti, però la tassa piatta appare troppo iniqua per risolvere il problema.

Perché applica la teoria liberista di Margaret Thatcher «Non ci può essere libertà se non c’è libertà economica», confermando la fede nella «mano invisibile» di Adam Smith e dando la definitiva mazzata turbo liberista al sistema.

Intanto la partitocrazia, assolutamente incapace di smentirsi, ha prodotto una legge elettorale che non può dar luogo a nessuna maggioranza, per avere piena disponibilità di fare scempio del voto degli elettori, attraverso consociazioni, lottizzazioni e inciuci vari, e per poter dar vita all’unico governo possibile delle larghe intese, sempre alle dipendenze della finanza nazionale ed estera.

Al mercato delle promesse e dei voti della campagna elettorale, le propagande partitocratiche sono vuote millanterie, perché i guai del Paese possono essere risolti solo da forze politiche oneste, coerenti e credibili.

Ebbene la tassa piatta, nonostante un sistema di deduzioni fisse che la renderebbe progressiva nelle fasce medio basse di reddito, è un regalo alla finanza nazionale e internazionale.

Una riduzione del carico fiscale sarebbe fondamentale per la crescita, dato che lo Stato italiano tassa più di quanto spende, quindi sarebbe necessario riportare il carico fiscale a livelli normali, però attraverso un deficit da finanziare sovranamente.

Le affermazioni di Salvini, secondo le quali ci sarebbe un sistema di deduzione fortemente progressiva, non reggono, perché questa progressività riguarderebbe soltanto le fasce di reddito inferiori e sfumerebbero fino ad azzerarsi man mano che le entrate aumentano.

L’attuale sistema tributario nazionale non ha voluto impedire l’accentramento costante di capitali nelle mani di poche persone, e la tassa piatta è l’ennesima truffa neoliberista, mascherata da fata turchina, risolutrice dei problemi e vendicatrice degli oppressi, in realtà continuerebbe a garantire i privilegi dei soliti noti.

In definitiva un’eventuale politica espansiva finirebbe per accrescere i patrimoni di pochi, mantenendo l’oligarchia finanziaria al timone del Paese a danno del resto della popolazione.

Come ha notato Luigi Marattin dell’Università di Bologna: «Il ragionamento (comunque sbagliato) dell’emersione del sommerso vale per le imposte dove è concentrata evasione e elusione. In Italia si tratta soprattutto dell’Iva, che secondo molte stime nasconde più di 100 miliardi di evasione. La “flat tax” riguarda invece l’Irpef, un’imposta la cui platea di contribuenti è per circa il 90% è costituita da lavoratori dipendenti e pensionati. Vale a dire, contribuenti che non possono evadere, visto che hanno le trattenute direttamente in busta paga. Quindi la “magia” dell’emersione del sommerso sarebbe comunque assolutamente marginale».

Alla fine insomma perché il leader della Lega ha stretto questo patto di belzebù con il Berlu? Forse perché l’ex carcerato deve risparmiare sulle tasse, ed ha pensato bene di scaricarle sul groppone degli italiani, usando uno dei soliti giochetti illusionistici?


Fonte: ComeDonChisciotte

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