di Francesca Scoleri
Non sappiamo ancora come andrà a finire il travagliato processo sulla trattativa Stato-mafia ma alcune cose, sono di facile comprensione. Sappiamo per certo che l’uomo che ha dato il volto al processo, Nino Di Matteo, ha dimostrato un grandissimo coraggio nel portare fino in fondo un lavoro che ha infastidito la più alta carica dello Stato, l’ex Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano
Immaginiamo più di un semplice fastidio dal momento che si è spinto a sollevare un conflitto d’attribuzione ai pm che si occupano del processo, per coprire quello che avevano scoperto nel corso delle loro indagini; alcune intercettazioni in cui Napolitano si metteva a disposizione dell’imputato per falsa testimonianza Nicola Mancino. Un fatto gravissimo.
Il contrasto operato da Napolitano al processo trattativa è risultato perfettamente allineato con quello del pluri pregiudicato Silvio Berlusconi che, dall’inizio dello stesso, non ha fatto altro che offendere e ridicolizzare il gruppo di magistrati che lo ha istruito.
Inoltre, grazie ai potenti mezzi di comunicazione in suo possesso, (oggi più pericolosi che mai grazie al Partito democratico che, benchè ne abbia avuto modo, ha rinunciato a risolvere il vergognoso conflitto d’interesse di un soggetto politico che manipola l’informazione a suo uso e consumo), ha potuto portare avanti una vera e propria campagna pro-mafia sotto gli occhi inconsapevoli di cittadini sempre meno preoccupati della presenza mafiosa all’interno delle istituzioni.
Mai una parola da parte di Napolitano sulle minacce di morte ricevute da Nino Di Matteo, una in particolare, direttamente dalla viva voce di Totò Riina documentata in una videoregistrazione. Una posizione, quella dell’ex Presidente della Repubblica, che non lascia spazio a considerazioni “morbide”.
Quando la mafia minaccia un giudice, che peraltro lavora nella stessa Procura in cui Falcone e Borsellino hanno combattuto Cosa nostra, la più alta carica dello Stato ha il dovere di intervenire e affermare il principio che la mafia è un orrore sempre e comunque.
Non essendo questo avvenuto, è facile dedurre che per quel Presidente della Repubblica, l’orrore è rappresentato dai giudici che hanno processato alcuni degli uomini dello Stato che con la mafia hanno trattato. Ognuno tragga le proprie conclusioni.
Altra cosa che abbiamo compreso con estrema facilità; il fulcro della trattativa, sta in una serie di richieste da parte della mafia, l’ormai noto “papello” che qui riproponiamo aggiungendo una serie di “incredibili coincidenze” con quanto avvenuto nell’attività legislativa in Parlamento. Buon lavoro al gruppo di magistrati degni, davvero degni, di esprimersi in nome del popolo italiano e sovrano ( a sua insaputa ) e buona “consapevole” lettura.
RICHIESTE CONTENUTE NEL PAPELLO:
1)Revisione della sentenza del maxi-processo.
2) Annullamento del decreto 41bis (che ha esteso il carcere duro destinato ai terroristi anche agli esponenti della criminalità organizzata).
3) Revisione della legge Rognoni – La Torre (che intoduceva il 416 bis, il reato di associazione mafiosa).
4) Riforma della legge sui pentiti
5) Riconoscimento ai “dissociati” mafiosi degli stessi benefici concessi ai dissociati delle Brigate Rosse
6) Niente carcere dopo i 70 anni ( solo arresti domiciliari)
7) Chiusura delle supercarceri (Asinara e Pianosa)
8) Carcerazione vicino alle case dei familiari
9) Niente censura per la posta dei familiari
10) Esclusione delle misure di prevenzione per mogli e figli dei mafiosi
11) Arresto solo in flagranza di reato (nel papello viene scritto “fragranza”)
12) Levare tasse carburanti, come Aosta.
I DESIDERI ESAUDITI
Nel 1997 il governo di centrosinistra guidato da Romano Prodi (ministro della Giustizia Flick) chiude le supercarceri di Pianosa e l’Asinara (voto bipartisan in Parlamento): è il punto numero sette del Papello.
Nel 2001 il governo Amato (ancora centrosinistra, ministro della Giustizia Piero Fassino) modifica la legge sui pentiti. E’ il punto numero 4. Una legge contestata da molti magistrati antimafia perchè impone al collaboratore di giustizia di raccontare tutto quello che sa in appena sei mesi. Un lasso di tempo ridicolo per un boss che deve ricordare decenni di vita criminale. “Con questa legge – commenterà l’allora procuratore di Palermo Piero Grasso – al posto di un mafioso, non mi pentirei più”. Infatti il numero di nuovi collaboratori calerà drasticamente nel corso degli anni successivi.
Nel 2002 il governo Berlusconi modifica il 41bis (nel punto 2 del papello si parla di annullamento del regime di carcere duro per i mafiosi). Fino ad allora il carcere duro veniva prorogato di sei mesi in mesi. Con la modifica diventa ‘permanente’: un passo in avanti, almeno in apparenza. Non è così secondo quanto spiega Marco Travaglio: “Quando un provvedimento viene rinnovato di sei mesi in sei mesi i tempi burocratici necessari per il mafioso recluso per chiedere la revoca dell’isolamento, sono talmente lunghi che di solito la risposta alla domanda non arriva in tempo, e quando arriva la risposta, c’è già stato un nuovo provvedimento semestrale, contro il quale si deve di nuovo ricorrere. I ricorsi non venivano quasi mai accolti perché non si faceva in tempo. ..Ora conta la discrezionalità del singolo magistrato, il quale ogni volta che riceve il ricorso deve valutare se la persona sia ancora socialmente pericolosa, collegata con l’organizzazione mafiosa. E come fai a saperlo? Come fai a sapere se una persona è potenzialmente pericolosa? Come fai a sapere se ha ancora legami dopo anni che è in carcere? Lo puoi presumere ma se non lo puoi dimostrare, spesso puoi concedere la revoca del 41bis senza alcun rischio e senza alcuna formale irregolarità”.
Nel 2000 c’è un tentativo di riconoscere i mafiosi ‘dissociati’ ma non pentiti. E’ il punto numero 5 del Papello. “Un giorno – ha raccontato al Fatto Quotidiano il magistrato Alfonso Sabella, all’epoca dei fatti al Dap (Dipartimento Amministrazione Penitenziara) – mi chiama il direttore Caselli e mi mostra una lettera firmata dal ministro della Giustizia Piero Fassino. E’ una richiesta di parere sui colloqui investigativi intrattenuti dal procuratore nazionale antimafia Piero Luigi Vigna con i boss detenuti: Pietro Aglieri, Piddu Madonia, Salvatore Buscemi e Giuseppe Farinella, che si sono detti disponibili a dissociarsi pubblicamente da Cosa Nostra a costo zero: ammetterebbero le loro responsabilità, per le quali peraltro sono già stati condannati a numerosi ergastoli, e non accuserebbero nessuno…. Faccio poi notare a Caselli che gli aspiranti dissociati sono tutti dell’area Provenzano. Il quale aveva tutto da guadagnare dalla dissociazione, sia per i suoi uomini, sia per quelli di Riina, che marcivano tutti quanti all’ergastolo e per giunta ristretti al 41 bis senz’alcuna speranza di uscirne se non da morti… Con la dissociazione, chiunque avesse aderito avrebbe ottenuto la revoca del 41-bis, sconti di pena con la possibilità addirittura di vedersi trasformare l’ergastolo in una pena di 30 anni (che poi diventano 20 grazie alla ‘liberazione anticipata’), permessi premio, e così via. Una pacchia, in cambio di nulla… Decidemmo così di opporci alla dissociazione. Fassino sposò la nostra linea e la comunicò a Vigna”.
Nel 1996 l’associazione Libera raccolse oltre un milione di firme per una legge sull’uso sociale dei beni confiscati alle mafie, che rendeva concreto un principio espresso nella legge Rognoni-La Torre del 1982, il punto numero 3 del Papello. Nel 2009 il governo Berlusconi presenta un emendamento alla manovra finanziaria in cui viene prevista la vendita dei beni confiscati alla mafia che non si riescono a destinare entro sei mesi. Una follia, specie in periodo di crisi quando la criminalità organizzata è l’unica ad avere liquidità sufficiente da investire grosse cifre in beni immobili. Fortunatamente la norma non viene approvata.
Nel 2005 il governo Berlusconi approva la famigerata legge ex-Cirielli sulla prescrizione. Tra le norme inserite nel provvedimento gli arresti domiciliari per chi ha compiuto 70 anni, tranne per i recidivi o chi viene dichiarato “delinquente abituale, professionale o per tendenza”. E’ il punto numero 6 del Papello.
Nella lista dei provvedimenti legislativi che ‘strizzano l’occhio’ a Cosa Nostra c’è il tentativo del governo d’Alema (1999) di abolire l’ergastolo, o gli scudi fiscali approvati dal secondo e quarto governo Berlusconi.
( Non abbiamo modo di citare la fonte in quanto, il materiale è stato recuperato da un sito che oggi risulta fuori uso http://it.ibtimes.com/il-papello-le-richieste-di-cosa-nostra-allo-stato-1334354 )
fonte: Themisemetis
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