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martedì 24 maggio 2016

Uno Stato, l'Italia, in cui 10 Milioni di cittadini non riescono più a curarsi

di Salvo Fanara

Quando nel 1978, con la legge n. 833 lo Stato Italiano inserì nel proprio Ordinamento giuridico il S.S.N., il Governo in carica non fu ossessionato dal problema del reperimento delle risorse, essendoci stata alla base una precisa scelta Politico-Costituzionale che stabiliva che fosse lo Stato stesso a finanziare la Sanità, quale settore strategico, attraverso la fiscalità generale e le entrate dirette percepite dalle aziende sanitarie locali attraverso ticket sanitari e prestazioni a pagamento.





Eppure l’emanazione della legge 833, rappresentò una svolta epocale in quanto dava attuazione a quella tutela o salvaguardia della salute dei cittadini, quale diritto fondamentale dell’individuo ed interesse della collettività, nel rispetto della dignità e della libertà della persona.
E ciò avveniva identificando il complesso delle funzioni, delle attività e dei servizi assistenziali svolti dallo Stato e volte a garantire quindi l’assistenza sanitaria. Attraverso il S.S.N. viene data dunque attuazione all’art. 32 della Costituzione italiana che sancisce il “diritto alla salute” di tutti gli individui. Si pone come un sistema pubblico di carattere “universalistico”, tipico di uno stato sociale, rimuovendo tutte le disuguaglianze presenti nel sistema assistenziale-sanitario, fino ad allora basato su numerosi enti o “casse mutue”, di cui il più importante era l’INAM, seguito dall’ENPAS, l’ENPDEP, Cassa Mutua Artigiani, Cassa Mutua Commercianti ed altri enti minori. 

Ciascun ente era competente per una determinata categoria di lavoratori che, con i familiari a carico, erano obbligatoriamente iscritti allo stesso e, in questo modo, fruivano dell’assicurazione sanitaria per provvedere alle cure mediche e ospedaliere, finanziata con i contributi versati dagli stessi lavoratori e dai loro datori di lavoro.
Il diritto alla tutela della salute era quindi correlato non all’essere cittadino ma all’essere lavoratore (o suo familiare) con conseguenti casi di mancata copertura; vi erano, inoltre, sperequazioni tra gli stessi assistiti, vista la disomogeneità delle prestazioni assicurate dalle varie casse mutue. Neanche le fasi precedenti alla emanazione della legge furono caratterizzate dalla ossessione della copertura fiscale, quando nel 1958, con la legge n. 259, il Governo Fanfani per la prima volta istituì in Italia il Ministero della Sanità, scorporandolo dal Ministero dell’ Interno e quando nel 1968, con la legge n. 132 (cosiddetta “legge Mariotti”), fu riformato il sistema degli ospedali, fino ad allora per lo più gestiti da enti di assistenza e beneficenza, trasformandoli in enti pubblici (“enti ospedalieri”) ed ancora quando nel 1974 con la legge n. 386 estinse i debiti accumulati dagli enti mutualistici nei confronti degli enti ospedalieri, e ne sciolse i consigli di amministrazione, disponendone il commissariamento e trasferendo i compiti in materia di assistenza ospedaliera alle regioni.

Secondo una ricerca dell’ OMS del 2.000, questo Sistema, con le sue eccellenze ed in termini di efficienza di spesa e accesso alle cure pubbliche per i cittadini, era il secondo sistema sanitario migliore del mondo dopo la Francia.
Quale è oggi la situazione e quali sono le criticità che impediscono al S.S.N. di mantenere quei livelli di eccellenza che il mondo intero ci invidiava ?
Da vari studi condotti dall’OCSE e da altre istituzioni governative e non, emerge che le maggiori e più evidenti criticità osservate dal punto di vista delle aspettative del cittadino paziente-utente, riguardano:
1 ) Non uniformità dell’assistenza sanitaria su tutto il territorio nazionale: esistono infatti macroscopiche sperequazioni fra le diverse aree del territorio nazionale, in cui strutture di eccellenza sia dal punto di vista di edilizia sanitaria sia come qualità e capacità di rispondere alle esigenze del paziente-utente, convivono insieme a strutture non adeguate a erogare prestazioni sanitarie accettabili.
2) Una inadeguata offerta di servizi conseguente alla crescente domanda di assistenza sanitaria dovuta all’invecchiamento della popolazione ed all’aumento esponenziale di alcune malattie tipo le patologie cardio-vascolari, allergiche o oncologiche.

3 ) Tagli alla spesa sanitaria pubblica con conseguente aumento dei costi e dei ticket a carico del cittadino in un contesto caratterizzato da una situazione economica particolarmente grave, correlata con la precarietà del lavoro, con una sempre crescente disoccupazione, con una sempre più elevata tassazione e con l’impoverimento generale della popolazione. Tutti elementi che impediscono ad un numero considerevole di cittadini, di sostenere i costi di quei servizi e di quelle prestazioni sanitarie che lo Stato non è più in grado di erogare. Il risultato di tutto ciò è che oggi 10 milioni di Italiani non hanno la possibilità di curarsi per mancanza di risorse.
4 ) Lunghe liste di attesa dovuta alla Carenza di personale medico ed infermieristico a causa di mancate nuove assunzioni e blocco del turn-over.
5) Assenza di programmi di prevenzione e di educazione sanitaria mirata ad assicurare condizioni di benessere a tutti i cittadini.
Nell’ analisi mirata all’individuazione delle motivazioni che sono all’origine di tali disfunzioni, non può non emergere, quale causa dominante, le politiche governative di austerity, caratterizzate dai tagli alla spesa pubblica e quindi alla spesa sanitaria, all’interno della quale la componente amministrativa assorbe ben il 33% del totale. E ciò nonostante l’ Italia abbia una spesa sanitaria pubblica rispetto al Pil, in linea con i Paesi dell’Eurozona e addirittura inferiore rispetto a Paesi come l’Austria, Olanda, Regno Unito, Finlandia e Belgio

Quale futuro, allora, ipotizzare per la Sanità in Italia ? Siamo consapevoli che solo lo Stato può esercitare la funzione di garanzia e di tutela della salute dei propri cittadini; solo lo Stato può assicurare cure gratuite agli indigenti e per svolgere il suo ruolo può avvalersi anche delle professionalità di privati operatori sanitari che guardino, come obiettivo prioritario, esclusivamente al benessere del paziente. In ogni caso tutti gli interventi che riguardano lo stato di salute dei cittadini devono essere subordinati sempre all’interesse pubblico e non al perseguimento del lucro e del profitto. Siamo per una inversione di tendenza, partendo dal presupposto che la Sanità venga considerata un settore d’investimento fondamentale per la crescita del Paese e non una spesa pubblica improduttiva da tagliare, e che l’ossessione della disperata ricerca delle coperture dei costi e la falsità delle virtù del pareggio di bilancio sono in netto contrasto con il diritto alla salute, sancito dalla Costituzione Italiana e dalla Carta dei Diritti fondamentali della persona. Ma bisogna anche ribadire con forza che le disfunzioni e gli sprechi presenti in molte aree del Paese, debbono essere affrontati ed eliminati attraverso riforme organizzative e gestionali, esercitando inoltre gli opportuni controlli; ma anche ottimizzando e razionalizzando la Spesa, avendo come obiettivo primario la qualità delle prestazioni erogate ed il benessere dei cittadini.
Potranno servire allo scopo, ad esempio, una serie di interventi, finora mal realizzati, quali una seria programmazione da effettuarsi sulla ricognizione delle patologie presenti sul territorio, in modo da erogare un’offerta adeguata all’effettiva domanda; una moralizzazione dell’intero sistema si rende necessaria ed urgente, come pure una razionalizzazione della pianta organica delle varie unità operative dei vari Presidi Sanitari con eliminazione della precarizzazione su principi di meritocrazia. 

Una particolare attenzione va data all’aspetto della prevenzione e della informazione: dedicare ad essi adeguati investimenti produrrebbe vantaggi per i bilanci e per la salute dei cittadini. A conferma di ciò riportiamo il risultato di varie ricerche che dimostrano come ogni miliardo destinato alla prevenzione ne fa risparmiare tre in cure minori ed in riabilitazione. Ma siamo anche consapevoli che il tutto non può non prescindere dal recupero dei valori e dei principi della Costituzione del ’48, e soprattutto dal recupero della condizione di Stato a Moneta Sovrana, che la classe politica ha svenduto in cambio del mantenimento del suo potere e dei suoi privilegi. Non può non prescindere dal ripudio di quelle teorie neo-liberiste che mettono al centro del sistema la libera concorrenza e la competizione sfrenata e senza regole non solo fra le persone e fra le imprese, ma anche fra interi Stati, teorie di cui è impregnata una società che obbedisce solo al richiamo del Dio-denaro. Non può non prescindere dal rinnovamento radicale della classe dirigente e da una nuova lettura del concetto di politica e di democrazia, mirata a riscoprirne i valori originari.

Fonte: Scenarieconomici