Innanzitutto deve essere chiara una cosa. Qualunque analista politico, non importa quanto serio, anche della categoria dei dilettanti allo sbaraglio, anche se di politica non capisce nulla, almeno una cosa la sa e la sa per certo. È una verità incontrovertibile, un dogma insuperabile, come è vero che due più due fa quattro. La verità è questa: l’unico raffronto che si può fare tra le diverse tornate di elezioni politiche è quello tra categorie territorialmente uniformi.
Questo significa che le elezioni comunali le puoi confrontare solo con le elezioni comunali precedenti; le regionali solo con altre regionali; le politiche con le politiche e le europee con le europee. Non puoi usare il dato delle elezioni amministrative (cioè comunali e regionali) per argomentare un qualunque nesso propedeutico o predittivo sulle future elezioni politiche e quindi sulla tenuta delle rispettive rappresentanze politiche.
Il motivo è semplice, e se avete mai provato a partecipare ad una riunione di condominio potete intuirlo. In una riunione di condominio non valgono i massimi sistemi: lì si decide di numeri, millesimi, di tubi rotti, di ascensori che non vanno, di gente che stende i panni sul balcone e ti sgocciola sul davanzale, di gente che litiga per il posto auto. E soprattutto, si decide in base a simpatie o antipatie molto nette e radicate nel tempo: “mai con il vicino del piano di sotto che quella volta ha fatto una battutaccia sul fatto che eri in ritardo col pagamento di una rata“, oppure “mai con la pettegola che racconta alla portinaia a che ora rincasa tuo figlio“, mentre, al contrario, “sempre con il tuo dirimpettaio da cui bevi il caffè tutti i pomeriggi da anni e che ti spiffera tutti i pettegolezzi e le maldicenze che si dicono su di te“.
Le elezioni comunali sono un fatto fisico. Le famiglie storiche del paese hanno figli, parenti, vicini, il dottore di famiglia, il negoziante che gli vende la fettina, il parroco che fa la predica. Difficile svincolarsi facilmente da questi legami così stretti. I candidati sono tantissimi e hanno una conoscenza diretta con gli elettori. Anche perché poi i rappresentanti di lista vanno in sezione a contare i voti. E se i conti non tornano, inevitabile poi – anche se il voto è segreto – che i rapporti personali si facciano meno cordiali e che si sviluppino risentimenti da gestire.
Diversamente, più le istituzioni per le quali si vota sono distanti dalla vita quotidiana degli elettori, come ad esempio le elezioni politiche per il Parlamento, più i rapporti tra i candidati e i cittadini si fanno più radi, perché le parentele, le amicizie e i rapporti di lavoro in essere diventano meno vincolanti, e più si è liberi di votare non secondo una convenienza spicciola ma secondo un’idea o un principio astratto. Il massimo grado di libertà che si può raggiungere è ad esempio quello delle elezioni europee, dove i pochi candidati coprono aree vastissime, come “tutto il nord-est“, e quindi si vota innanzitutto per questioni e finalità che si percepiscono lontane, cioè con poche ricadute sulla vita quotidiana, e secondariamente per persone che con tutta probabilità nessuno ha quasi mai sentito nominare, e verso le quali difficilmente si sono sviluppate simpatie o antipatie personali. E poi nessuno può venire a farti le pulci e a controllare, grossolanamente, come hai votato. Questo è il motivo che, ad esempio, ha portato l’Italia dei Valori di Antonio Di Pietro, nel 2009, a prendere l’8% alle elezioni politiche europee, quando su base nazionale, alle politiche dell’anno precedente, aveva la metà secca dei voti.
Tutta questa lunga premessa serve a farvi capire la dimensione cosmica delle balle che i media, da ieri sera, ci riversano addosso sul presunto tracollo del Movimento 5 Stelle. “Presunto” non soltanto perché, come abbiamo visto, paragonare i risultati percentuali delle comunali ai risultati percentuali delle nazionali è un atto di falsificazione volontaria, come se un fisico venisse a raccontarvi che la velocità della luce si può calcolare a partire da quella di una capra che corre in salita su un pendio roccioso quasi verticale, e ogni tanto scivola giù di qualche metro per via dei sassi che franano. Ma anche perché danno una lettura dei dati completamente manipolata.
Chi vi scrive, a differenza di tanti esimi commentatori che si affrettano a spiegarvi chi ha vinto e chi ha perso, non ha nessun rapporto in essere con il Movimento 5 Stelle e nessun interesse in un suo possibile successo o insuccesso futuro, quindi può permettersi di guardare i dati nudi e crudi e leggerli senza per forza di cose interpretarli piegandoli a un secondo fine.
E allora vediamoli, questi dati. Come dicevamo, l’unico raffronto di un qualche valore che si può fare per le elezioni comunali del 2017 è con le precedenti elezioni comunali. E siccome abbiamo appena votato per oltre mille comuni, per una questione di praticità ci limitiamo a considerare solo i 25 comuni presi in considerazione anche dal Corriere della Sera nel suo riassunto generale, che pure da ieri sera, con ancora meno dati disponibili di questi, non ha esitato a scrivere di un M5S sconfitto, mentre altrove sui media si è parlato a cuor leggero di débâcle, di “Movimento che si sgonfia” e così via.
Il motivo è semplice, e se avete mai provato a partecipare ad una riunione di condominio potete intuirlo. In una riunione di condominio non valgono i massimi sistemi: lì si decide di numeri, millesimi, di tubi rotti, di ascensori che non vanno, di gente che stende i panni sul balcone e ti sgocciola sul davanzale, di gente che litiga per il posto auto. E soprattutto, si decide in base a simpatie o antipatie molto nette e radicate nel tempo: “mai con il vicino del piano di sotto che quella volta ha fatto una battutaccia sul fatto che eri in ritardo col pagamento di una rata“, oppure “mai con la pettegola che racconta alla portinaia a che ora rincasa tuo figlio“, mentre, al contrario, “sempre con il tuo dirimpettaio da cui bevi il caffè tutti i pomeriggi da anni e che ti spiffera tutti i pettegolezzi e le maldicenze che si dicono su di te“.
Le elezioni comunali sono un fatto fisico. Le famiglie storiche del paese hanno figli, parenti, vicini, il dottore di famiglia, il negoziante che gli vende la fettina, il parroco che fa la predica. Difficile svincolarsi facilmente da questi legami così stretti. I candidati sono tantissimi e hanno una conoscenza diretta con gli elettori. Anche perché poi i rappresentanti di lista vanno in sezione a contare i voti. E se i conti non tornano, inevitabile poi – anche se il voto è segreto – che i rapporti personali si facciano meno cordiali e che si sviluppino risentimenti da gestire.
Diversamente, più le istituzioni per le quali si vota sono distanti dalla vita quotidiana degli elettori, come ad esempio le elezioni politiche per il Parlamento, più i rapporti tra i candidati e i cittadini si fanno più radi, perché le parentele, le amicizie e i rapporti di lavoro in essere diventano meno vincolanti, e più si è liberi di votare non secondo una convenienza spicciola ma secondo un’idea o un principio astratto. Il massimo grado di libertà che si può raggiungere è ad esempio quello delle elezioni europee, dove i pochi candidati coprono aree vastissime, come “tutto il nord-est“, e quindi si vota innanzitutto per questioni e finalità che si percepiscono lontane, cioè con poche ricadute sulla vita quotidiana, e secondariamente per persone che con tutta probabilità nessuno ha quasi mai sentito nominare, e verso le quali difficilmente si sono sviluppate simpatie o antipatie personali. E poi nessuno può venire a farti le pulci e a controllare, grossolanamente, come hai votato. Questo è il motivo che, ad esempio, ha portato l’Italia dei Valori di Antonio Di Pietro, nel 2009, a prendere l’8% alle elezioni politiche europee, quando su base nazionale, alle politiche dell’anno precedente, aveva la metà secca dei voti.
Tutta questa lunga premessa serve a farvi capire la dimensione cosmica delle balle che i media, da ieri sera, ci riversano addosso sul presunto tracollo del Movimento 5 Stelle. “Presunto” non soltanto perché, come abbiamo visto, paragonare i risultati percentuali delle comunali ai risultati percentuali delle nazionali è un atto di falsificazione volontaria, come se un fisico venisse a raccontarvi che la velocità della luce si può calcolare a partire da quella di una capra che corre in salita su un pendio roccioso quasi verticale, e ogni tanto scivola giù di qualche metro per via dei sassi che franano. Ma anche perché danno una lettura dei dati completamente manipolata.
Chi vi scrive, a differenza di tanti esimi commentatori che si affrettano a spiegarvi chi ha vinto e chi ha perso, non ha nessun rapporto in essere con il Movimento 5 Stelle e nessun interesse in un suo possibile successo o insuccesso futuro, quindi può permettersi di guardare i dati nudi e crudi e leggerli senza per forza di cose interpretarli piegandoli a un secondo fine.
E allora vediamoli, questi dati. Come dicevamo, l’unico raffronto di un qualche valore che si può fare per le elezioni comunali del 2017 è con le precedenti elezioni comunali. E siccome abbiamo appena votato per oltre mille comuni, per una questione di praticità ci limitiamo a considerare solo i 25 comuni presi in considerazione anche dal Corriere della Sera nel suo riassunto generale, che pure da ieri sera, con ancora meno dati disponibili di questi, non ha esitato a scrivere di un M5S sconfitto, mentre altrove sui media si è parlato a cuor leggero di débâcle, di “Movimento che si sgonfia” e così via.
Nella seconda e terza colonna, tranne Lodi che ha votato nel 2013, avete i risultati in percentuale del M5S e del PD, affiancato giusto per fare un raffronto, nelle elezioni comunali del 2012. Nella quarta e quinta colonna avete i dati delle elezioni comunali di ieri, e nelle ultime due colonne il differenziale. Dove c’è un segno meno, c’è una perdita percentuale di consenso elettorale. Dove non c’è il segno (in realtà c’è un più ma non si vede), si apprezza un aumento del consenso. In tre casi (Trapani, Oristano e Rieti) il M5S non si era presentato alle scorse elezioni comunali, e dunque la percentuale di voti che ha preso è tutta differenza positiva.
Innanzitutto balza all’occhio che a Genova, rispetto alla tornata del 2012, il M5S ha guadagnato 4 punti percentuali, mentre il PD ne ha persi 4. E questo nonostante il 4,87 del fuoriuscito Paolo Putti e l’1,08 di Marika Cassimatis che, insieme, si può ben ritenere abbiano portato via un buon 6% dai risultati dei Cinque Stelle, che senza tutti i mal di pancia avrebbero avuto dunque un potenziale di crescita del 10%, e non solo del 4%, che comunque rappresenta pur sempre una crescita, in una situazione di oggettiva difficoltà. I giornali avrebbero dovuto titolare dunque “M5S tiene a Genova, nonostante le divisioni“, invece di inventarsi che Grillo aveva perso Genova, quando non l’aveva mai avuta.
A Palermo, altra città portata ad esempio come catastrofe generale, in realtà il Movimento 5 Stelle aumenta i propri consensi del 12%, mentre il Pd si è dovuto sciogliere in un’altra formazione che complessivamente ha preso l’8,41%, dunque singolarmente ha sicuramente preso ancora meno! A Trapani realizza un più 16,75% secco, visto che alla tornata precedente manco si era presentato. Anche a Taranto va oltre il 10% di crescita. E poi via via, Oristano, Asti, Catanzaro, Frosinone… La realtà è che quello che i numeri dicono è che in 20 grandi comuni su 25 M5S ha fatto o “strepitosamente” meglio, o “molto” meglio, o comunque sempre meglio del PD. Eppure nessuno parla del disastro del Partito Democratico, che in molti dei grandi comuni subisce emorragie di voti del 10% e oltre, fino all’11,45% di Padova e all’11,90% di La Spezia.
La situazione complessiva è quella mostrata dal grafico qui sotto.
Elezioni Comunali 2017 – Disfatta del M5S o del PD? (Click sull’immagine per ingrandirla)
Le barre verticali rappresentano le variazioni in percentuale sui consensi del M5S e del PD in ognuno dei 25 comuni presi in esame nella sintesi del Corriere. Quelle blu rappresentano il M5S, quelle arancioni il PD. Se la barra si estende sopra lo zero, c’è una crescita di consensi, se si estende al di sotto, c’è una perdita (click sull’immagine per allargarla). Come vedete, in tutte le città dove il M5S perde consensi (9 su 25) li perde anche il PD, tranne Cuneo e Monza, dove il differenziale del PD rispetto al M5S, nel confronto con il 2012, sale al 12,68% e al 7,50%. Poi c’è Parma, l’unica grande débâcle del Movimento 5 Stelle in senso assoluto, anche se largamente annunciata: il M5S perde il 16,72% dei consensi ma anche il PD ne perde il 10,32%, che non sono bruscolini. In tutte le altre città (tutte) il Movimento 5 Stelle cresce, e solo in due delle venti città rimanenti cresce leggermente meno del PD, mentre nelle altre lo distrugge in senso letterale, arrivando a differenziali di oltre il 16%.
Questo è quello che dicono i dati, letti con il distacco di chi non ha interessi di parte. Resta quindi da chiedersi dove i giornali, le televisioni e i commentatori terzi (“diversamente” terzi) vedano il crollo del Movimento 5 Stelle, e perché non vedano invece, a maggior ragione data la sua scintillante evidenza, il crollo del Pd. Certo, si potrebbe argomentare che il Movimento 5 Stelle non è entrato nei ballottaggi delle grandi città. Ma per il solo il fatto che non sia riuscito a costruire un razzo che raggiunga la luna alla velocità della luce, cioè in 1,28 secondi, non si può trascurare con disprezzo il fatto che abbia costruito un razzo dalle prestazioni molto superiori a quelli che costruiva nel passato. Ovvero che nel complesso sia cresciuto moltissimo.
Questo vale, appunto, per le comunali. Le elezioni politiche nazionali, come si diceva, sono davvero tutta un’altra cosa e qualunque raffronto è un azzardo senza né capo né coda. Se li fanno, potete immaginare il motivo.
fonte: Byoblu
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