di Marco Travaglio
Il Fatto Quotidiano del 7 Febbraio
Se qualcuno ci domanda a bruciapelo il nome di un incapace che sbaglia a scegliersi i collaboratori, la nostra risposta è scontata, automatica: Virginia Raggi. La Muraro indagata, Minenna fuggito, Raffaele Marra arrestato, Carla Raineri e Renato Marra bocciati dall’Anac, Romeo e le polizze a sua insaputa. Giusto, e anche normale: da sette mesi tv e giornali parlano più del Campidoglio che di Palazzo Chigi (non parliamo dei sindaci delle altre metropoli, infatti non ne parla nessuno) e si sono specializzati in dettagli minuziosissimi sulle pratiche di smaltimento rifiuti, sui regolamenti comunali e sulle procedure assicurative.
Ma solo su Roma: non, per dire, su Milano. Altrimenti tutti sapremmo che il sindaco Beppe Sala ha nominato assessore al Bilancio Roberto Tasca, suo socio in affari, e assessora alla Trasformazione digitale Roberta Cocco, top manager in aspettativa della Microsoft che è fornitrice del Comune: un doppio conflitto d’interessi (il primo direttamente del sindaco, non altrui come per la Raggi sui fratelli Marra) che l’Anac non ha denunciato alla Procura perché non può sindacare i conflitti d’interessi nelle nomine politiche (gli assessori), ma solo in quelle amministrative (dirigenti e funzionari). Perciò la Raggi è indagata per abuso d’ufficio e Sala no: per un buco nella legge sull’Anac.
L’Anac ha però aperto una pratica sulla Cocco perché rifiuta di pubblicare l’ultima dichiarazione dei redditi (2015), come impone la legge del 2013 sulla trasparenza. Sala, anziché imporle di rispettarla, la giustifica con supercazzole del tipo: “Lascio alla Cocco la libertà di agire”, “è un suo problema personale”, “capisco che è un obbligo di legge, ma in generale l’amministratore pubblico è sottoposto a un’attenzione che a volte non è logica”. Come se le leggi fossero un optional da applicare o disattendere a seconda di quanto paiono “logiche” al primo Sala che passa per la strada. Del resto, il concetto di legalità e trasparenza del sindaco milanese è piuttosto elastico, come dimostrano le decine di appalti senza gara per Expo, le indagini a suo carico per falsa dichiarazione (nascose una villa in Svizzera e una in Liguria, una società in Romania e una in Italia) e per falso materiale e falso ideologico (avrebbe retrodatato i documenti della gara per il più grande appalto di Expo per favorire un concorrente a discapito di un altro).
Ancor più misterioso è il motivo per cui la Raggi è indagata a Roma per il conflitto dei fratelli Marra e l’ad della Rai Antonio Campo Dall’Orto non lo è per la nomina del capo della Security, il gendarme francese Genséric Cantournet.
La Rai lo fece selezionare da un’agenzia di cacciatori di teste di provata indipendenza: la Salvia, Cantournet &Partners casualmente amministrata da suo padre Bernard. Eppure Cantone ritiene illegittima pure quella nomina, come quelle di altri 10 dirigenti esterni: nel Codice Anticorruzione 2016, la Rai s’è impegnata a selezionare i dirigenti col job posting, cioè per concorso interno, raccogliendo le candidature e confrontando i curricula, cosa che Dall’Orto si guardò bene dal fare per Cantournet &C. Salvo poi scoprire che il suo ispettore Clouseau non dispone del Nos, il nullaosta sicurezza. E riassumere il suo predecessore Alfonso D’Alfonso, alla modica cifra di 160 mila euro l’anno.
Prendi uno, paghi due. Invece il job posting non è previsto, anzi è escluso dal Regolamento del Campidoglio per i vertici delle direzioni, ragion per cui la Raggi non lo adottò per nominare Renato Marra al Turismo.
Per carità, noi non pretendiamo che Dall’Orto venga torchiato per otto ore da due pm in un ufficio periferico della Polizia: questi sono trattamenti che vanno riservati ai veri criminali, come la Raggi. Però un paio di domandine veloci veloci, un’oretta non di più, tipo gli interrogatori di Lotti e Del Sette per la bazzecola della fuga di notizie sulle indagini e le microspie alla Consip sul più grande appalto d’Europa, ovviamente truccato, ecco, magari gliele si potrebbe rivolgere. Anche perché è paradossale che Dall’Orto e Sala se ne infischino dell’Anac e non succeda niente, mentre l’unico amministratore che interpella Cantone e poi ne segue le indicazioni (la putribonda Raggi) diventa peggio di Al Capone.
Preveniamo il solito ritornello: ma i 5Stelle dicono di essere migliori degli altri, dunque vanno giudicati più severamente. Vero, anche se ci resta il sospetto che stampa, Anac e magistrati debbano riservare a tutti parità di trattamento a parità di comportamento. Ma siamo proprio sicuri che il comportamento della Raggi sia almeno pari a quello dei partiti che l’accusano di essere peggio di loro?
Da giorni si discute sulla nomina “non meritocratica” del funzionario comunale Salvatore Romeo, promosso dalla Raggi a suo capo-segreteria con stipendio triplicato (solo amici? o amanti? o complici di polizza?). E nessuno spiega che Romeo è un laureato in Economia esperto di bilanci e di società partecipate, non proprio uno trovato per strada; e che inizialmente il suo nuovo stipendio era il 20% in meno di quello della capo-segreteria di Marino, dopodiché gli fu ulteriormente tagliato.
Immaginate se la stessa attenzione fosse mai stata dedicata agli staff degli altri pubblici amministratori, tutti molto più nutriti e costosi di quello della Raggi.
Il governatore campano Vincenzo De Luca sta stracciando il record di tutti i tempi per stanziamenti in “comunicazione”: 1,4 milioni, contro i 34 mila euro del 2014 e i 40 mila del 2015. Cifra che parrebbe eccessiva anche se il personaggetto si facesse erigere un monumento equestre d’oro zecchino in piazza Plebiscito.
Poi c’è lo staff renziano a Palazzo Chigi, che fa impallidire la Casa Bianca e il Cremlino messi insieme. La Verità racconta che, due giorni dopo aver perso il referendum e annunciato l’addio al governo, cioè mentre faceva le valigie per Pontassieve, Renzi ingaggiava sei nuovi consulenti “digitali” e un architetto, mentre Lotti ne arruolava altri cinque: roba da 3 milioni l’anno. Ma queste sono assunzioni meritocratiche. Come quella di Antonella Manzione, vigilessa di Pietrasanta e sorella del sottosegretario renziano Domenico (niente conflitto d’interessi, ci mancherebbe).
Lo so che siamo tutti concentrati sul vigile Renato Marra: ma facciamo uno sforzettino e andiamo sulla vigilessa. La Manzione fu promossa dal sindaco Renzi comandante dei Vigili di Firenze e poi dal premier Renzi nientemeno che capo dell’ufficio legislativo di Palazzo Chigi, al modico stipendio di 207.461 euro l’anno (forse il quadruplo del precedente), con i risultati ben noti: una raffica di leggi, scritte coi piedi e regolarmente fulminate da Consulta e Consiglio di Stato. Siccome però l’ex vigilessa pestava i piedi alla Boschi, Renzi la promosse-rimosse al Consiglio di Stato (quello che bocciava le sue leggi), aggirando il limite minimo di età previsto dalla legge (che sarà mai), e per giunta lasciandola come fuori ruolo a Palazzo Chigi.
Poi, con Gentiloni, la sottosegretaria Boschi le ha subito dato gli otto giorni, per sistemare al suo posto il fedelissimo Roberto Cerreto, laureato in Filosofia. Ora immaginate se questa giostra indiana a spese nostre portasse la firma della Raggi: scandalo, familismo, caos, bufera, rivolta, vergogna, omertà-omertà! Bad news.
Invece porta il sigillo della Madonna di Laterina. Good news. Sentite La Stampa com’è felice: “Boschi vince la guerra tra donne: Manzione lascia Palazzo Chigi” e “prenderà servizio come giudice al Consiglio di Stato con funzione consultiva”, sostituita dal “quarantenne Cerreto, generalmente considerato preparato e brillante”. Non è meraviglioso? È vero che, “secondo taluni puristi, Manzione difetta dei requisiti per curriculum e anzianità”. Ma che saranno mai taluni puristi di fronte al “capolavoro della Boschi”: fanculo i taluni, e pure i puristi. La vigilessa che scriveva le leggi diventa giudice in barba alla legge per far posto al giovane filosofo preparato e brillante. Poi volti pagina e ti ritrovi in pieno “caos Raggi”: fine della meritocrazia, niente più capolavori.
Il Fatto Quotidiano del 7 Febbraio
Se qualcuno ci domanda a bruciapelo il nome di un incapace che sbaglia a scegliersi i collaboratori, la nostra risposta è scontata, automatica: Virginia Raggi. La Muraro indagata, Minenna fuggito, Raffaele Marra arrestato, Carla Raineri e Renato Marra bocciati dall’Anac, Romeo e le polizze a sua insaputa. Giusto, e anche normale: da sette mesi tv e giornali parlano più del Campidoglio che di Palazzo Chigi (non parliamo dei sindaci delle altre metropoli, infatti non ne parla nessuno) e si sono specializzati in dettagli minuziosissimi sulle pratiche di smaltimento rifiuti, sui regolamenti comunali e sulle procedure assicurative.
Ma solo su Roma: non, per dire, su Milano. Altrimenti tutti sapremmo che il sindaco Beppe Sala ha nominato assessore al Bilancio Roberto Tasca, suo socio in affari, e assessora alla Trasformazione digitale Roberta Cocco, top manager in aspettativa della Microsoft che è fornitrice del Comune: un doppio conflitto d’interessi (il primo direttamente del sindaco, non altrui come per la Raggi sui fratelli Marra) che l’Anac non ha denunciato alla Procura perché non può sindacare i conflitti d’interessi nelle nomine politiche (gli assessori), ma solo in quelle amministrative (dirigenti e funzionari). Perciò la Raggi è indagata per abuso d’ufficio e Sala no: per un buco nella legge sull’Anac.
L’Anac ha però aperto una pratica sulla Cocco perché rifiuta di pubblicare l’ultima dichiarazione dei redditi (2015), come impone la legge del 2013 sulla trasparenza. Sala, anziché imporle di rispettarla, la giustifica con supercazzole del tipo: “Lascio alla Cocco la libertà di agire”, “è un suo problema personale”, “capisco che è un obbligo di legge, ma in generale l’amministratore pubblico è sottoposto a un’attenzione che a volte non è logica”. Come se le leggi fossero un optional da applicare o disattendere a seconda di quanto paiono “logiche” al primo Sala che passa per la strada. Del resto, il concetto di legalità e trasparenza del sindaco milanese è piuttosto elastico, come dimostrano le decine di appalti senza gara per Expo, le indagini a suo carico per falsa dichiarazione (nascose una villa in Svizzera e una in Liguria, una società in Romania e una in Italia) e per falso materiale e falso ideologico (avrebbe retrodatato i documenti della gara per il più grande appalto di Expo per favorire un concorrente a discapito di un altro).
Ancor più misterioso è il motivo per cui la Raggi è indagata a Roma per il conflitto dei fratelli Marra e l’ad della Rai Antonio Campo Dall’Orto non lo è per la nomina del capo della Security, il gendarme francese Genséric Cantournet.
La Rai lo fece selezionare da un’agenzia di cacciatori di teste di provata indipendenza: la Salvia, Cantournet &Partners casualmente amministrata da suo padre Bernard. Eppure Cantone ritiene illegittima pure quella nomina, come quelle di altri 10 dirigenti esterni: nel Codice Anticorruzione 2016, la Rai s’è impegnata a selezionare i dirigenti col job posting, cioè per concorso interno, raccogliendo le candidature e confrontando i curricula, cosa che Dall’Orto si guardò bene dal fare per Cantournet &C. Salvo poi scoprire che il suo ispettore Clouseau non dispone del Nos, il nullaosta sicurezza. E riassumere il suo predecessore Alfonso D’Alfonso, alla modica cifra di 160 mila euro l’anno.
Prendi uno, paghi due. Invece il job posting non è previsto, anzi è escluso dal Regolamento del Campidoglio per i vertici delle direzioni, ragion per cui la Raggi non lo adottò per nominare Renato Marra al Turismo.
Per carità, noi non pretendiamo che Dall’Orto venga torchiato per otto ore da due pm in un ufficio periferico della Polizia: questi sono trattamenti che vanno riservati ai veri criminali, come la Raggi. Però un paio di domandine veloci veloci, un’oretta non di più, tipo gli interrogatori di Lotti e Del Sette per la bazzecola della fuga di notizie sulle indagini e le microspie alla Consip sul più grande appalto d’Europa, ovviamente truccato, ecco, magari gliele si potrebbe rivolgere. Anche perché è paradossale che Dall’Orto e Sala se ne infischino dell’Anac e non succeda niente, mentre l’unico amministratore che interpella Cantone e poi ne segue le indicazioni (la putribonda Raggi) diventa peggio di Al Capone.
Preveniamo il solito ritornello: ma i 5Stelle dicono di essere migliori degli altri, dunque vanno giudicati più severamente. Vero, anche se ci resta il sospetto che stampa, Anac e magistrati debbano riservare a tutti parità di trattamento a parità di comportamento. Ma siamo proprio sicuri che il comportamento della Raggi sia almeno pari a quello dei partiti che l’accusano di essere peggio di loro?
Da giorni si discute sulla nomina “non meritocratica” del funzionario comunale Salvatore Romeo, promosso dalla Raggi a suo capo-segreteria con stipendio triplicato (solo amici? o amanti? o complici di polizza?). E nessuno spiega che Romeo è un laureato in Economia esperto di bilanci e di società partecipate, non proprio uno trovato per strada; e che inizialmente il suo nuovo stipendio era il 20% in meno di quello della capo-segreteria di Marino, dopodiché gli fu ulteriormente tagliato.
Immaginate se la stessa attenzione fosse mai stata dedicata agli staff degli altri pubblici amministratori, tutti molto più nutriti e costosi di quello della Raggi.
Il governatore campano Vincenzo De Luca sta stracciando il record di tutti i tempi per stanziamenti in “comunicazione”: 1,4 milioni, contro i 34 mila euro del 2014 e i 40 mila del 2015. Cifra che parrebbe eccessiva anche se il personaggetto si facesse erigere un monumento equestre d’oro zecchino in piazza Plebiscito.
Poi c’è lo staff renziano a Palazzo Chigi, che fa impallidire la Casa Bianca e il Cremlino messi insieme. La Verità racconta che, due giorni dopo aver perso il referendum e annunciato l’addio al governo, cioè mentre faceva le valigie per Pontassieve, Renzi ingaggiava sei nuovi consulenti “digitali” e un architetto, mentre Lotti ne arruolava altri cinque: roba da 3 milioni l’anno. Ma queste sono assunzioni meritocratiche. Come quella di Antonella Manzione, vigilessa di Pietrasanta e sorella del sottosegretario renziano Domenico (niente conflitto d’interessi, ci mancherebbe).
Lo so che siamo tutti concentrati sul vigile Renato Marra: ma facciamo uno sforzettino e andiamo sulla vigilessa. La Manzione fu promossa dal sindaco Renzi comandante dei Vigili di Firenze e poi dal premier Renzi nientemeno che capo dell’ufficio legislativo di Palazzo Chigi, al modico stipendio di 207.461 euro l’anno (forse il quadruplo del precedente), con i risultati ben noti: una raffica di leggi, scritte coi piedi e regolarmente fulminate da Consulta e Consiglio di Stato. Siccome però l’ex vigilessa pestava i piedi alla Boschi, Renzi la promosse-rimosse al Consiglio di Stato (quello che bocciava le sue leggi), aggirando il limite minimo di età previsto dalla legge (che sarà mai), e per giunta lasciandola come fuori ruolo a Palazzo Chigi.
Poi, con Gentiloni, la sottosegretaria Boschi le ha subito dato gli otto giorni, per sistemare al suo posto il fedelissimo Roberto Cerreto, laureato in Filosofia. Ora immaginate se questa giostra indiana a spese nostre portasse la firma della Raggi: scandalo, familismo, caos, bufera, rivolta, vergogna, omertà-omertà! Bad news.
Invece porta il sigillo della Madonna di Laterina. Good news. Sentite La Stampa com’è felice: “Boschi vince la guerra tra donne: Manzione lascia Palazzo Chigi” e “prenderà servizio come giudice al Consiglio di Stato con funzione consultiva”, sostituita dal “quarantenne Cerreto, generalmente considerato preparato e brillante”. Non è meraviglioso? È vero che, “secondo taluni puristi, Manzione difetta dei requisiti per curriculum e anzianità”. Ma che saranno mai taluni puristi di fronte al “capolavoro della Boschi”: fanculo i taluni, e pure i puristi. La vigilessa che scriveva le leggi diventa giudice in barba alla legge per far posto al giovane filosofo preparato e brillante. Poi volti pagina e ti ritrovi in pieno “caos Raggi”: fine della meritocrazia, niente più capolavori.
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