Ho letto e riletto la lettera di Michele, il giovane friulano che il 31 gennaio si è tolto la vita ad Udine e sono sempre più convinto che il suo non è stato l’atto insano di un folle depresso, bensì un gesto di lucida ed implacabile protesta.
Non ho conosciuto direttamente Michele, ma non mi è difficile capire chi fosse.
Sono un insegnante ed in più di trent’ anni di professione ho visto tanti giovani di buona volontà affannarsi a cercare la propria strada, una qualche sistemazione economica, che consentisse loro anche una pianificazione della propria vita affettiva.
Questi nostri ragazzi studiano, sovente conseguono anche più di una laurea, hanno master, fanno colloqui, tirocinii, conoscono le lingue straniere, ma oggi in realtà sono solamente sfruttati e sottoposti ad inutili tribolazioni.
Non ho conosciuto direttamente Michele, ma non mi è difficile capire chi fosse.
Sono un insegnante ed in più di trent’ anni di professione ho visto tanti giovani di buona volontà affannarsi a cercare la propria strada, una qualche sistemazione economica, che consentisse loro anche una pianificazione della propria vita affettiva.
Questi nostri ragazzi studiano, sovente conseguono anche più di una laurea, hanno master, fanno colloqui, tirocinii, conoscono le lingue straniere, ma oggi in realtà sono solamente sfruttati e sottoposti ad inutili tribolazioni.
Vorrebbero avere una vita normale come quella che hanno avuto i genitori, però quasi mai ciò è possibile e sono spesso costretti a vivere con la loro famiglia d’origine, privi di autonomia e di indipendenza economica.
Questi ragazzi sono i nostri figli, intere generazioni che finiscono per non avere più la speranza nel futuro , mentre vedono i figli di diversi potenti personaggi che arrivano, senza alcun merito, dove loro non osano neanche più sognare di essere un giorno.
Quello di Michele è un vero e proprio “j’accuse”, pari a quello che il giovane ceco Jan Palach pose in essere a Praga il giorno 19 gennaio del lontano 1969, dandosi fuoco nel mezzo della Piazza dell’Armata Rossa .
Entrambi sono martiri, in greco μάρτυρες, entrambi testimoni del proprio tempo.
Testimoni della violenza che la società praticava su di essi.
Jan Palach viveva oltre la “cortina di ferro”, espressione retorica creata dal satanico Goebels, che la pronunciò in uno dei suoi ultimi discorsi, quelli che incitavano i tedeschi alla guerra totale, per descrivere cosa sarebbe successo ai popoli occupati dai sovietici: sarebbero stati chiusi in una cortina di ferro.
Così fu.
Jan Palach studiava in una Cecoslovacchia ancora basita dalle politiche staliniste ed ingessata nel socialismo reale.
In uno stato che garantiva il lavoro a tutti, ma ingrigiva gli spiriti e le menti dei cittadini nel conformismo del partito unico e reprimeva qualsiasi anelito di libertà con la delazione, la censura, il carcere ed i carri armati, questo giovane studente con la sua testimonianza cercò di scuotere la società di fronte alla fine di quel timido esperimento di apertura politica che fu la “primavera di Praga”. Non ci riuscì, almeno non nell’immediato.
Michele è invece nato nell’Europa occidentale, in Italia.
Anche il nostro paese,però, si trova racchiuso in una in una “cortina di ferro”, che è l’Unione Europea. Viene spacciata per una specie di eden terrestre, ma tale non è.
Qui non ci sono né i carri armati per le strade , né la polizia politica, ma anche qui c’è un partito unico, quello della globalizzazione.
Questo partito unico, a differenza di quelli che esistevano nei paesi del blocco sovietico, non garantisce il lavoro a nessuno e men che meno ai giovani. Deve solo garantire la stabilità dei prezzi ed il libero mercato.
Queste finalità sono ottenute conculcando i diritti, creando incertezze e precarietà e nei confronti dei giovani e dei più deboli, esercitando anche una sottile e malcelata violenza.
Violenza verbale e violenza psicologica.
Non c’è bisogno dei manganelli e delle cariche della polizia per essere violenti.
A volte sono sufficienti solo le parole, parole taglienti come lame di coltello.
Infatti, i nostri giovani sono stati definiti di volta in volta da politicanti di turno bamboccioni, schizzinosi ( choosy).
Di recente, con la stessa sensibilità che può avere la cotenna di un porco di più di due anni, sono stati invitati anche a “togliersi dai piedi” dal ministro ( con la m minuscola) Poletti.
I nostri giovani invece non hanno colpe e così Michele, che non aveva nessuna demerito.
Ciononostante vengono relegati nel “ghetto degli inutili”, indotti a sentirsi inadeguati e in colpa da certi slogans diffusi ad arte .
“Non pensate al posto fisso è da cialtroni!”
“Non avrete la pensione, è solo per i parassiti.”
“La formazione deve essere continua (perché siete inadeguati) e dovete cambiare più volte lavoro.”
“Siate imprenditori di voi stessi!”
Ma le cose non stanno così, sono ben diverse.
I nostri giovani, i nostri figli, sono costretti a subire uno scenario di privazione e di austerità permanente, sono vittime del progetto politico che, pur di mantenere la stabilità dei prezzi, accetta una disoccupazione elevata e Michele è solamente un danno collaterale.
Noi adulti, quindi, dobbiamo chiedere perdono a Michele ed a tanti altri come lui, che hanno detto basta a questo stato di cose, rinunciando per sempre ai loro sogni, alle loro speranze, perché abbiamo impedito loro di vivere.
E dobbiamo chiedere perdono anche alle loro famiglie, per aver inutilmente creduto di poter preparare per i propri figli un futuro giusto in un mondo migliore e per essersi impegnate con fiducia e fatica a realizzarlo.
A queste famiglie purtroppo non resta che la consapevolezza di non aver potuto proteggere col loro amore i loro figli da un destino infame, un dolore senza fine .
Anch’ io, di fronte alla perdita inaccettabile di giovani come Michele, da insegnante, provo grande indignazione e sincero dolore, perché i nostri allievi ci appartengono quasi come figli: li vediamo crescere, ne conosciamo i sentimenti, alimentiamo i loro sogni, siamo parte del loro quotidiano;
dobbiamo contribuire alla loro formazione intellettuale e morale, perché un domani siano persone e cittadini, siano donne e uomini liberi dal bisogno e dall’ignoranza.
Malgrado tutto, non mi sento sconfitto, anzi resto convinto che noi docenti ai nostri allievi dobbiamo continuare a dare fiducia in se stessi, a credere nell’isola che non c’è da cercare con coraggio e determinazione.
Intanto, chiediamo perdono a tutti gli uomini di buona volontà, non perché avremmo prodotto il debito pubblico italiano, come vanno dicendo da tempo dei vili politicanti da strapazzo, cercando persino di creare conflitti intergenerazionali, ma perché abbiamo consegnato l’Italia in mano ad essi , cerretani e ciurmatori.
Tutti i patrioti, i liberi pensatori, affinché un giorno non debbano chiedere scusa alle future generazioni per le parole che dovevano dire e non hanno detto e per le cose che dovevano fare e non hanno fatto e per non rendere vana la morte di Michele e di tanti altri, si devono impegnare affinché l’Italia recuperi la propria sovranità e sia data finalmente attuazione alla Carta Costituzionale, anteponendo al rigore dei conti per la creazione di una distopica Europa la difesa dei valori dell’uomo, per realizzare la felicità dei propri cittadini.
fonte: Scenari Economici
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