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sabato 24 settembre 2016

I dati degli studi Eni-Ingv sulla sismicità in Basilicata? Restano segreti.

Quando si chiedono a Ingv i risultati dello studio conclusivo, la risposta è che i dati e i documenti sono di proprietà di Eni. «È il controllato che paga il controllore», dicono dall’associazione Cova Contro

di Lidia Baratta

Lo studio lo paga Eni, e i risultati scientifici sono di proprietà di Eni. Punto. È questo quello che si sono visti rispondere dall’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia (Ingv) i cittadini lucani dell’Associazione “Cova Contro” a proposito degli studi sulla sismicità nella Val d’Agri, Basilicata, affidati dal cane a sei zampe all’istituto che in Italia monitora i terremoti.




Il 30 luglio del 2013, Eni ha commissionato a Ingv uno studio “in campo geofisico, sismologico e geochimico” nella Val d’Agri. Per un corrispettivo di 1.113.078,67 milioni di euro.

Responsabile scientifico della commessa è Fedora Quattrocchi, dirigente dell’Ingv, simpatizzante del Partito democratico, come lei stessa si definisce. Dal lato Eni, invece, il progetto è firmato da Vincenzo Lisandrelli e Roberta Angelini, entrambi arrestati nella nota inchiesta sul centro Oli di Viggiano (Cova), la cosiddetta Trivellopoli lucana, accusati di aver alterato i dati sullo smaltimento dei rifiuti.

«Di questo protocollo non è stato reso noto né il testo del contratto, né i dati che ne derivano, né abbiamo un rendiconto dei costi dell’Ingv», dice Giorgio Santoriello, portavoce dell’associazione Cova Contro. Grazie ad alcuni politici locali, l’associazione – che da anni monitora lo stato di salute della valle, meglio nota come Texas d’Italia, per via delle numerose estrazioni petrolifere – è riuscita a ottenere solo un abstract del protocollo e due relazioni. Circa 60 pagine. «Ma il corpo dei dati è molto più ampio», dice Santoriello. «C’è uno studio conclusivo di un centinaio di pagine sui tre anni di studio. Ma, dopo tre richieste andate a vuoto, ora dall’Ingv ci hanno risposto che non possono renderlo pubblico». Nell’email di risposta, dall’Ingv spiegano che in una nota della specifica tecnica allegata al contratto è scritto che ogni documento o pubblicazione contenente dati di proprietà di Eni, e che afferiscono a studi riguardanti Eni sono di “esclusiva titolarietà” del committente. Cioè, Eni. E dovrà essere Eni ad autorizzarne la pubblicazione. «Così è come se il controllato comprasse il silenzio del controllore», dicono dall’associazione. Tant’è che essendo l’Ingv un istituto pubblico, Cova Contro ha segnalato il caso all’Anac di Raffaele Cantone per mancanza di trasparenza.

«Lo studio prevede anche un’analisi dei corpi idrici sotterranei per capire se sono stati contaminati dall’attività di Eni», spiega Santoriello. «È per questo che siamo preoccupati. Questa parte dello studio ancora non si conosce, ma sappiamo che è una parte della ricerca». E per quanto riguarda l’analisi della sismicità provocata dalle re-iniezioni nel suolo delle acque risultanti dall’attività estrattiva, spiega Santoriello, «tra la prima relazione dell’Ingv e la seconda ci sono differenze notevoli». Nella prima, l’Ingv scriveva che nel 65% dei casi tra il 2001 e il 2013 la rete Eni rilevava un ipocentro più profondo rispetto a quello individuato dall’Ingv, che sottolinea come “la sismicità era praticamente assente prima della re-iniezione”. L’Istituto scrive anche che l’Ingv ha riportato circa il doppio degli eventi sismici registrati invece dalla rete Eni. La situazione, dunque, sembrava grave, soprattutto per una zona ad alto rischio sismico come la Basilicata.

La seconda relazione, però, notificata ad agosto 2016 al comune di Montemurro (dove sorge il pozzo di reiniezione Costa Molina 2, sequestrato dalla procura di Potenza), ha tutt’altro contenuto. «L’Ingv rivede la conformazione delle faglie rispetto l’ultima relazione ed esclude che la re-iniezione petrolifera possa causare terremoti in profondità», spiega Santoriello. «Si è passati da centinaia di micro-terremoti causati dalla re-iniezione a poche decine». Lo studio prevede anche la mappatura geochimica della zona. «È quello che forse più spaventa Eni, perché terremoti piccoli e grandi potrebbero far migrare i liquidi. Compresi quelli di Eni». ​Ma dei risultati dello studio i cittadini lucani non possono sapere nulla. A meno che non lo voglia Eni.


Fonte: Linkiesta

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