di Maurizio Blondet
E’ bello vedere che i creatori dell’euro, i suoi veri credenti dell’europeismo, difensori ed ideologi più dogmatici, finalmente vedono che la moneta unica ha dei difetti. Il fenomeno è così palese che Il Fatto Quotidiano ci ha scritto un pezzo: Romano Prodi e Francesco Giavazzi, e financo l’ex commissario Frits Bolkenstein sono critici. Persino Carlo Azeglio Ciampi, si è schiodato dal ricco sepolcro dei 50 mila euro mensili che gli paghiamo per i suoi vari emolumenti cumulati, ha esalato che ci vorranno due euro, ormai. Sono tempi di revisioni, di resipiscenze, di prese di coscienza.
Anche su Repubblica escono articoli che discutono l’egemonia germanica sulla moneta unica; qualche giornale comincia a pubblicare i pezzi di Jacques Sapir, prima ignorato; e articoli di Roberto Bagnai, prima proscritto, a cui vien consentito spiegare – audacia inaudita – che monetizzare il deficit si può, anzi che s’è sempre fatto quando le banche centrali erano soggette alla sovranità monetaria del Tesoro.
Magari si sarebbe tentati di ritorcere a costoro: arrivate tardi. A danni già fatti. Dopo milioni di disoccupati in più , centinaia di industrie e chiuse o vendute a stranieri, di competenze perdute. Un decennio e più in cui avete negato il problema, bollato a chi ve lo prospettava con un vero e proprio ostracismo. Fra cui un gentiluomo e vero competente (uno dei pochi) come l’ex ministro Paolo Savona – ancor oggi non intervistato da nessuno in Italia, ma dal Deutsche Wirtschaft Nachrichten. Coloro “che chiedevano di esaminare in modo più accurato vantaggi e svantaggi di questo progetto europeo sono stati marchiati all’interno del sistema politico, accusati di incompetenza, e di mancata comprensione della necessità di una moneta unica per creare un mercato unico”, ha detto Savona, certo parlando di sé.
Persino uno qualunque c’era arrivato prima di Ciampi e Prodi. “Fuori Berlino dall’Euro! E presto!”, titolava un tal Maurizio Blondet in un articolo, di cui in fondo la sola cosa interessante è la data: 11 luglio 2011. Pensate: 2011. Altri cinque anni di declino economico e sociale, accettato senza fiatare, credendo in Monti, Letta, Amato, Draghi…
http://www.effedieffe.com/index.php?option=com_content&view=article&id=50922:fuori-berlino-dalleuro-e-presto&catid=83:free&Itemid=100021
La differenza non è che ero più intelligente; è che non avevo, né ho, il potere che hanno questi resipiscenti. E’ questo che rallenta e ritarda le idee dei potenti: il potere. Il potere burocratico è lento come fu l’Urss ai tempi di Breznev e per gli stessi motivi: sclerosi ideologica.
Maastricht è la Dottrina Breznev UE
Il Brexit ha scosso gli sclerotici potenti e la loro “dottrina Breznev” (Maastricht); rallegriamoci. D’altra parte, coscienti del perché siano resipiscenti: è che adesso possono dirlo. Se Ciampi diventa critico dell’euro, state certi che è “autorizzato”. Stanno cercando di salvare il massimo del sistema radicalmente sbagliato che hanno messo in piedi; l’euro a due velocità, uno per i nordici l’altro per gli straccioni meridionali, è probabilmente parte del piano B: che non tocca l’istituto di emissione, e il mercato collusivo delle vacche che avviene a Bruxelles, lontano da noi che non capiamo le lingue.
Sono disposti a darci qualcosa. Purché sia poco. Angela Merkel torna in Italia due volte in una settimana circa e approva le flessibilità di Renzi. Il fatto è che noi possiamo avere molto, molto di più.
Il motivo, l’ha detto chiaro Theo Weigel, che fu già ministro delle Finanze di Helmuth Kohl, a Ticino Live:
“Se la Germania oggi uscisse dall’unione monetaria, allora avremmo immediatamente, il giorno dopo, un apprezzamento tra il 20% e il 30% del marco tedesco — che tornerebbe nuovamente in circolazione —. Chiunque si può immaginare che cosa significherebbe per il nostro export, per il nostro mercato del lavoro, o per il nostro bilancio federale. L’euro conviene alla Germania, ecco perché ci restiamo dentro. Va da sé che se il marco diventasse sconveniente, la lira diventerebbe conveniente per i mercati, per gli investitori e per i consumatori. Queste cose i commentatori nazionali non ve lo dicono. Queste notizie ai telegiornali non passano. Per chi lavora la stampa italiana? Per chi lavora la politica italiana? Per l’Italia o per Berlino? “.
Bella domanda. Continua l’ex ministro:
“Con un’uscita dall’Euro e un taglio netto dei debiti la crisi interna italiana finirebbe di colpo. La nostra invece inizierebbe proprio allora. Una gran parte del settore bancario europeo si troverebbe a collassare immediatamente. Il debito pubblico tedesco aumenterebbe massicciamente perché si dovrebbe ricapitalizzare il settore bancario e investire ancora centinaia di miliardi per le perdite dovute al sistema dei pagamenti Target 2 intraeuropei.
Un’uscita dall’euro da parte dell’Italia danneggerebbe probabilmente molto più noi che non l’Italia stessa e questo indebolisce indubbiamente la posizione della Germania nelle trattative”.
Bisogna proprio che sia un tedesco a dircelo: siamo noi ad avere in mano l’opzione nucleare. Occorre audacia. E sapere quel che si vuole.
Poi, naturalmente, uno vede la faccia di Renzi. Che vuol fare l’europeo, quello che salverà la Ue. Vede il ministro che s’è lasciato accollare come controllore dai poteri globalizza tori, Gian Carlo Padoan, ex Fondo Monetario, incarnazione della “dottrina Breznev” mondialista.
Ma dietro e più a fondo, la debolezza di Renzi è quella più fondamentale: per un grande ed audace progetto, non ha dietro nemmeno il suo partito; figurarsi l’opinione pubblica italiana. La burocrazia gli rema contro – rema contro qualunque potere esecutivo, qualunque cambiamento – ed ha vanificato le riformette. Banca Etruria, la Boschi, Montepaschi, le sue “riforme” finite nel nulla, il referendum su una riforma costituzionale malfatta, hanno eroso quel che aveva di seguito. Non ha dietro qualcosa che possa esser chiamato il popolo italiano. Questa assenza di “forza sociale” è in fondo comune a qualunque governante, buono o cattivo; è colpa meno del governante, che del cosiddetto “popolo”: quel popolo che nelle riunioni di condominio come nel parlamento o alle feste dell’Unità, “si divide”, litiga, si dissocia, prende le distanze in frammenti e schegge minime, e non riesce mai a trovare unità su nulla. Figurarsi sulla “opzione nucleare”.
Siccome per lunga disabitudine il lettore può non capire cosa intendo per “forza sociale” che la società dà a un politico, si pensi a quella che i tedeschi diedero a Kohl per la riunificazione delle due Germanie; o anche la recentissima velocità con cui, dopo un referendum con il “leave” a maggioranza non schiacciante, gli inglesi hanno cessato di litigare e la serena forza con cui Theresa May ha preso il timone del Brexit. Noi saremmo ancora lì a scontraci, fra manifestazioni di piazza, pretesi riconteggi, richieste di rifare le votazioni, ricorsi al TAR e alla Corte Costituzionale – non popolo ma una granata di schegge. Un politico mediocre può fare cose grandi se ha dietro a sé la forza sociale; un genio fallirà, senza. Con così poca forza sociale, un governante può solo fare del clientelismo e la normale amministrazione, meglio se suggerita dai poteri forti transnazionali, dalla BCE, da “Bruxelles”, da Washington; uscire dal seminato, non si può.
Peccato per l’occasione che perderemo. Perché in Meklemburgo-Pomerania anteriore dove si vota domenica, l’AfD (“razzista, xenofobo”), dato al 20-23 per cento, sta per diventare il primo partito, il CDU della Merkel il secondo; a Berlino la coalizione si dilania sulle sanzioni alla Russia; la Bremer Landesbank in fallimento viene assorbita dalla Nord Landesbank: e forse non basterà, visto che la Bremer è rovinata dai noli navali in calo storico da Grande Depressione, ed è appena stata annunciata la bancarotta del primo armatore sud-coreano, la Hanjin Shipping, che è anche la settima compagnia portacontainer del mondo. Quasi sicuramente il primo di una serie di fallimenti a catena dei trasporti navali, settore con eccesso di capacità (come tutto, nella Depressione da Debito), ma peggio ancora, gravissima interruzione dei commerci mondiali. Il ministero sudcoreano competente ha annunciato “tre mesi di ritardo nelle consegne di merci coreane”, essendo i cargo della Hanjin impediti di entrare nei porti di Usa, Spagna, Cina perché non hanno i soldi per pagare le spese portuali.
Il costo umano del Nuovo Umanesimo
Non è solo l’egemonia della Merkel, né solo la UE come oligarchia oscura ad essere in fase di decomposizione: è il globalismo, come ideologia e come economia, che è il tempo di mettere in discussione.
Il globalismo non solo ha promesso l’aumento esponenziale degli scambi e quindi dell’abbondanza; ci ha predicato che l’immigrazione di massa, la perdita di radici e la mobilità planetaria, il multiculturalismo e il nomadismo, erano segni di superiorità etica. Il consumatore indifferenziato, desiderante ciò che il marketing-standard è pronto a dargli, è stato illuso di essere anche progressista, anti-razzista, sofisticato; perdevamo industrie, ma la Cina si sviluppava; la dimenticanza della propria identità culturale, gli è stata presentata come l’universalismo umanistico del ventunesimo secolo. Il mondialismo è dunque la forma compiuta dell’Umanesimo! Chi gli si oppone è retrivo, sorpassato ed egoista e ovviamente razzista.
Ma il bilancio ‘umano’ del trentennio dell’Umanesimo Globale è, francamente, devastante. In Gran Bretagna, nel 2014, i dirigenti delle prime cento imprese quotate (FTSE 100) guadagnano 148 volte più della paga media dei loro dipendenti; il triplo rispetto al 1998, quando era 47 volte di più.
Cresce l’iniquità e cala la coscienza dell’ingiustizia sociale
La globalizzazione ha accresciuto le più scandalose disparità e iniquità sociali (qui è il capitale che “ha rubato” al lavoro), e nello stesso tempo attutito, se non fatto sparire, la coscienza politica dell’ingiustizia, la capacità di indignarsene e di unirsi per contrastarla. Nel Nuovo Umanesimo, l’uomo comune ha acquisito la passività e rassegnazione dello schiavo nelle plantations, più che la dignità del lavoratore sfruttato.
In Usa, dove ovviamente la dogmatica è stata applicata con più rigore ideologico e smantellate le poche residue provenienze sociali (“costi” per il capitale), gli americani comuni hanno cessato di crescere di statura. In Usa , i maschi che fan parte dell’1% più ricco vivono in media 15 anni di più dell’1 per cento più povero.
Gli europei? Qualche mese fa abbiamo scoperto che la speranza di vita degli italiani è calata, per la prima volta, con la mortalità tornata ai tempi della seconda guerra mondiale. “La speranza di vita in Francia arretra per la prima volta dal 1969”, titolava Le Monde il 19 gennaio 2016.
Secondo Eurostat, nel 2015 il numero dei morti ha superato quello dei nati: 5,2 milioni contro 5,1 nati. E se la popolazione è aumentata (di poco: da 508,3 a 510,1 milioni) è esclusivamente dovuto all’immigrazione. Il tasso di fecondità in Europa è 1,6 (quello che occorre per l rinnovo generazionale è 2,1) contro il 4,7 (figli per donna) in Africa.
L’idea di essere presso a morire “abita, in modo diffuso ma insistente, i cristiani bianchi dell’Europa Occidentale, il cui effimero dominio non è che un ricordo”, g ha scritto Roger-Pol Droit, filosofo e sociologo, in un’inchiesta su “come muoiono le civiltà” su Le Point. Che importa, nel nuovo Umanesimo? Ci sostituiranno negri e arabi. Intanto, negli europei cala il livello d’intelligenza in modo rapidissimo (QI): quello medio dei francesi è calato collettivamente di 3,8 punti fra il 1999 e il 2009, oggi è a 97,3, perdendo la media 100. Ma la stessa tendenza si nota nei paesi nordici, in Olanda e in Gran Bretagna: scadimento dell’istruzione, perdita di interesse per la lettura e la cultura in generale (corollario della perdita di identità), disagio sociale. Gli immigrati del Nordafrica non saranno di grande aiuto: il loro QI medio è fra 85 e 90.
Invecchiamento irreversibile, infertilità, estinzione della civiltà che è stata per eccellenza dell’ “intelligenza”, del pensiero e della scienza; aumento allarmante di obesità e anoressia; precarietà e frammentazione del lavoro e della vita, che tocca nei paesi ‘sviluppati’ il 40% dei giovani. E non basta: “La pornografia distrugge i nostri bambini e adolescenti”, ha lanciato il ginecologo Israel Nisand, accusando una “industria” di così grandi dimensioni, che “nessun responsabile politico ha il coraggio di affrontare”.
Se questo è il Nuovo Umanesimo globale, il bilancio umano è agghiacciante. C’era una volta una sinistra che urlava: “Il sistema si abbatte e non si cambia”. Dove sarà finita. Non c’è nulla da riformare e da sanare, Renzi & Co.
fonte: Maurizio Blondet
Nessun commento:
Posta un commento