Mettere in sicurezza l’Italia costa la metà dell'abolizione delle tasse sulla prima casa, un terzo di quanto abbiamo speso per ricostruire dopo sismi distruttivi negli ultimi 48 anni. In un Paese in cui ancora tre case su quattro sono fuori norma sarebbe la prima cosa da fare. E invece
di Francesco Cancellato
Sicilia, Friuli-Venezia Giulia, Campania, Basilicata, Marche, Umbria, Puglia, Molise, Abruzzo, Emilia-Romagna, Lombardia, Lazio. Sono ledodici regioni italiane (su venti) colpite da un terremoto a carattere distruttivo tra il 14 gennaio del 1968, data in cui tremò la terra del Belice e il 24 agosto del 2016, in cui i sommovimenti del sottosuolo hanno fatto morti e macerie tra il Lazio e le Marche.
Dodici su venti. Otto terremoti in quarantotto anni, uno ogni sei. Trenta negli ultimi centocinquant’anni, uno ogni cinque.
E non finisce qui: perché tornando indietro nella storia si trovano terremoti distruttivi in Piemonte e Liguria (1564, circa mille morti), in Toscana (1920, 300 morti), in Calabria (1905, 557 morti), Tutte tranne Valle d’Aosta, Veneto - che comunque le sue scosse le ha avute - Trentino Alto Adige e Sardegna.
Dove non arriva la natura ci pensa l’uomo, peraltro. In Italia, fino al 1980, solo il 25% del territorio era considerato a rischio sismico. Oggi, siamo arrivati a più del 70%. Giocoforza, buona parte degli edifici sorti prima di quella data sono stati costruiti senza nemmeno temere che un giorno la terra potesse tremare di nuovo. Le normative non obbligavano a farlo. Risultato? Oggi solo poco più di un edificio su quattro, in Italia, rispetta le vigenti normative antisismiche. Lo diciamo meglio: tre su quattro di voi che leggete abitano probabilmente in un casa che non lo protegge dal rischio di un sisma.
Secondo i dati dell’Ufficio Studi della Camera dei Deputati, abbiamo speso per ricostruire, in quarantotto anni, una cifra pari a 121 miliardi di euro. 2,5 miliardi all’anno, più o meno. A cui bisogna aggiungere le imprese che chiudono, gli ammortizzatori sociali per chi perde il lavoro, gli sgravi fiscali, le esenzioni dalle imposte, il welfare dedicato, i costi burocratico-amministrativi aggiuntivi
Vogliamo reagire col fatalismo? Prego, mettetevi in fila. Lo hanno fatto tutti, più o meno, dal 1968 a oggi. Nessuno in Friuli pensava potesse toccare a lui, dopo il Belice. Nessuno in Irpinia e Basilicata, dopo il Friuli. Nessuno tra Marche e Umbria, dopo l’Irpinia. Eccetera. I terremoti sono più puntuali dei treni pendolari, ma per noi appartengono ancora alle categorie del casuale e dell’imponderabile.
Risultato? Secondo i dati dell’Ufficio Studi della Camera dei Deputati,abbiamo speso per ricostruire, in quarantotto anni, una cifra pari a 121 miliardi di euro. 2,5 miliardi all’anno, più o meno, senza contare quanto costerà il sisma dello scorso 24 agosto. A cui bisogna aggiungere - solo rimanendo nell’alveo di ciò che è quantificabile - le imprese che chiudono, gli ammortizzatori sociali per chi perde il lavoro, gli sgravi fiscali, le esenzioni dalle imposte, il welfare dedicato, i costi burocratico-amministrativi aggiuntivi.
La cosa curiosa è che con 2,5 miliardi all’anno - per quindici anni, non per quarantotto - potremmo ridurre al minimo il rischio sismico tutto il territorio italiano, tra investimenti diretti e credito d’imposta. Tanto ma non troppo: perché - sorpresa! - avere una casa sicura costa solo il 10% in più. L’ha detto a Linkiesta l’ex ministro Corrado Clini a poche ore dal sisma che ha colpito Amatrice, Accumoli, Pescara del Tronto. Lo ribadiamo ancora oggi con forza, ventiquattr’ore dopo. Prevenire costa meno che ricostruire. Mette in moto l’economia, anziché deprimerla. Dà lavoro, anziché toglierne.
Dite che non ci sono, quei soldi? Prego, di nuovo. Ma converrete pure che è surreale che un Paese che ha messo in Legge di Stabilità 2015 4,5 miliardi per abolire un anno di tasse sulla casa, non riesca a trovarne 2,5 per metterla in sicurezza, quella casa. Per evitare che un rischio sistemico, strutturale, calcolabile, possa farne macerie. Ennesimo paradosso nella terra dei cachi. E anche questa volta c’è chi l’ha pagato caro.
Dodici su venti. Otto terremoti in quarantotto anni, uno ogni sei. Trenta negli ultimi centocinquant’anni, uno ogni cinque.
E non finisce qui: perché tornando indietro nella storia si trovano terremoti distruttivi in Piemonte e Liguria (1564, circa mille morti), in Toscana (1920, 300 morti), in Calabria (1905, 557 morti), Tutte tranne Valle d’Aosta, Veneto - che comunque le sue scosse le ha avute - Trentino Alto Adige e Sardegna.
Dove non arriva la natura ci pensa l’uomo, peraltro. In Italia, fino al 1980, solo il 25% del territorio era considerato a rischio sismico. Oggi, siamo arrivati a più del 70%. Giocoforza, buona parte degli edifici sorti prima di quella data sono stati costruiti senza nemmeno temere che un giorno la terra potesse tremare di nuovo. Le normative non obbligavano a farlo. Risultato? Oggi solo poco più di un edificio su quattro, in Italia, rispetta le vigenti normative antisismiche. Lo diciamo meglio: tre su quattro di voi che leggete abitano probabilmente in un casa che non lo protegge dal rischio di un sisma.
Secondo i dati dell’Ufficio Studi della Camera dei Deputati, abbiamo speso per ricostruire, in quarantotto anni, una cifra pari a 121 miliardi di euro. 2,5 miliardi all’anno, più o meno. A cui bisogna aggiungere le imprese che chiudono, gli ammortizzatori sociali per chi perde il lavoro, gli sgravi fiscali, le esenzioni dalle imposte, il welfare dedicato, i costi burocratico-amministrativi aggiuntivi
Vogliamo reagire col fatalismo? Prego, mettetevi in fila. Lo hanno fatto tutti, più o meno, dal 1968 a oggi. Nessuno in Friuli pensava potesse toccare a lui, dopo il Belice. Nessuno in Irpinia e Basilicata, dopo il Friuli. Nessuno tra Marche e Umbria, dopo l’Irpinia. Eccetera. I terremoti sono più puntuali dei treni pendolari, ma per noi appartengono ancora alle categorie del casuale e dell’imponderabile.
Risultato? Secondo i dati dell’Ufficio Studi della Camera dei Deputati,abbiamo speso per ricostruire, in quarantotto anni, una cifra pari a 121 miliardi di euro. 2,5 miliardi all’anno, più o meno, senza contare quanto costerà il sisma dello scorso 24 agosto. A cui bisogna aggiungere - solo rimanendo nell’alveo di ciò che è quantificabile - le imprese che chiudono, gli ammortizzatori sociali per chi perde il lavoro, gli sgravi fiscali, le esenzioni dalle imposte, il welfare dedicato, i costi burocratico-amministrativi aggiuntivi.
La cosa curiosa è che con 2,5 miliardi all’anno - per quindici anni, non per quarantotto - potremmo ridurre al minimo il rischio sismico tutto il territorio italiano, tra investimenti diretti e credito d’imposta. Tanto ma non troppo: perché - sorpresa! - avere una casa sicura costa solo il 10% in più. L’ha detto a Linkiesta l’ex ministro Corrado Clini a poche ore dal sisma che ha colpito Amatrice, Accumoli, Pescara del Tronto. Lo ribadiamo ancora oggi con forza, ventiquattr’ore dopo. Prevenire costa meno che ricostruire. Mette in moto l’economia, anziché deprimerla. Dà lavoro, anziché toglierne.
Dite che non ci sono, quei soldi? Prego, di nuovo. Ma converrete pure che è surreale che un Paese che ha messo in Legge di Stabilità 2015 4,5 miliardi per abolire un anno di tasse sulla casa, non riesca a trovarne 2,5 per metterla in sicurezza, quella casa. Per evitare che un rischio sistemico, strutturale, calcolabile, possa farne macerie. Ennesimo paradosso nella terra dei cachi. E anche questa volta c’è chi l’ha pagato caro.
Fonte: LinKiesta
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