Un’intervista per molti versi sorprendente a Michele Marsiglia, presidente FederPetroli Italia, con un ruolo importante su ricerca ed estrazione di idrocarburi nazionali. Marsiglia spiega perché si sbaglia a non dialogare con le comunità locali, che l’eccesso di trivelle in Basilicata va imputato alle aziende, ma anche a chi le ha autorizzate e perché non c’è stato sviluppo locale alla luce delle risorse estratte.
In pochi sanno che da Padova partono molte delle azioni di lobbying in materia di energia, ricerca ed estrazioni di idrocarburi in Italia. Nel capoluogo veneto, infatti, ha sede FederPetroli Italia, la Federazione internazionale del settore petrolifero. Per capire come il sistema dell’upstream ha accolto il varo della legge Sblocca Italia e conoscere il punto di vista delle compagnie petrolifere sul futuro fossile del nostro Paese, abbiamo incontrato il suo presidente. Il tempo di una tazzina di caffè con piattino marchiato Eni e Michele Marsiglia mi accoglie nel suo ufficio. Alla sua sinistra un’ampolla contenente il greggio di Ombrina Mare, a destra, invece, un monitor sul quale scorrono le notizie Ansa in merito all’arresto di Antonio Gozzi, presidente di Federacciai, che Michele Marsiglia non commenta, limitandosi a fare spallucce e pronunciare la parola “tangenti”.
Ci sediamo e dopo avermi mostrato, da fiero democristiano, l’immagine dello scudo crociato sul suo smartphone è iniziata la nostra intervista. Temi trattati: sostenibilità, trasparenza, strategie energetiche e quella tutela dell’ambiente che, in Basilicata, continua ad essere a rischio. Nelle ultime ore, infatti, è trapelata la notizia che l’Arpa regionale ha riscontrato la presenza di idrocarburi, metalli pesanti e sostanze non meglio specificate nei terreni e nelle acque prelevate da 3 piezometri in prossimità dell’area del pozzo esplorativo “Pergola 1”, dove fervono i lavori da parte di Eni.
Negli ultimi anni parlare di petrolio, indipendenza energetica, compensazioni ambientali ha assunto una valenza strategica. Temi entrati prepotentemente nell’agenda della politica e dei comitati di cittadini. In Italia, dal suo punto di vista, cosa si intende per sfruttamento petrolifero ed energia?
In questo momento riscontriamo molta ignoranza. Quando, circa un anno e mezzo fa, abbiamo lanciato “Operazione Trasparenza” ci ponevamo l’obiettivo di spiegare proprio cos’è il petrolio, cos’è il gas e anche cosa sono le fonti rinnovabili. Ovvero quel mix energetico di cui parla la Strategia Energetica Nazionale (SEN, ndr). E, prima di tutto, spiegare cosa sono petrolio ed energia in Italia e non in Europa o in Medio Oriente, quali le possibilità, i benefici e anche i rischi. Devo constatare però che, ad oggi, nonostante la centralità del nostro Paese nel bacino del Mediterraneo e con delle risorse di greggio e gas ancora da sfruttare, la risposta resta riservata a noi del settore. Pertanto, dal punto di vista della comunicazione c’è molto da fare.
A proposito di comunicazione, lei ha più volte lamentato la poca dedizione da parte di indotto e compagnie all’interlocuzione con i territori. Insomma, la categoria non parla con le comunità. Perfettamente in linea con le misure introdotte dalla legge Sblocca Italia che i territori li esclude totalmente.
La linea di FederPetroli Italia, spesso accusata di eccessiva mediaticità, è sempre stata quella di stare sul binario parallelo alla politica. Ovvero, sui nostri progetti, informiamo le Camere, il Parlamento, le Amministrazioni locali, il sindaco, i consiglieri, la Regione, perché in questo modo gli Enti citati possano informare la popolazione. Far nascere dei progetti su un territorio come se fosse una palestra comunale, e avere un confronto costruttivo con tutti, è per noi fondamentale.
E come la mettiamo con la legge Sblocca Italia, rispetto alla quale fin da subito avete espresso apprezzamenti per alcune norme in essa contenute?
Quando è stato scritto il decreto, poi convertito in legge – che avrebbe dovuto sbloccare alcune opere magari ferme da 10 anni, al fine di salvaguardare posti di lavoro e indotto economico di aziende quotate in borsa – abbiamo fin da subito appoggiato le norme di snellimento, sburocratizzazione e titolo concessorio unico. Allo stesso tempo, però, siamo titubanti sulla configurazione che la legge Sblocca Italia ha dato al rapporto tra Amministrazioni locale e centrale in quanto non riteniamo giusto – come del resto fa la riforma del Titolo V della Costituzione – depotenziare gli Enti locali e spostare la competenza a Roma, dove operano quei parlamentari che vengono votati dalle popolazioni locali. Si crea, pertanto, un controsenso.
A me sembra, invece, che centralizzare le competenze, anche in un contesto come quello configurato dalla SEN che citava all’inizio, rappresenti solo un vantaggio per le compagnie petrolifere.
Premettiamo col dire che la SEN non esiste, in quanto dal punto di vista del mix energetico siamo dei veri e propri dilettanti allo sbaraglio. Per quanto concerne il vantaggio che la nostra categoria potrebbe avere dalla legge Sblocca Italia posso confermare solo i vantaggi sotto il profilo dello snellimento delle procedure. Per il resto, ribadisco, dopo che Roma ha deciso saranno le aziende a confrontarsi con la popolazione locale.
Mi faccia un esempio …
Ad esempio Ombrina Mare, che ha da poco ottenuto il parere favorevole dalla Commissione VIA. Anche se ha deciso Roma con qualche esponente delle Amministrazioni locali, sarà il territorio ad ospitare il progetto, saranno i pescatori, i dipendenti delle aziende dell’indotto a confrontarsi. Il rapporto con chi ha deciso finisce. In ogni caso dal Ministero dell’Ambiente mi hanno confermato che le Amministrazioni locali vengono coinvolte. Finora la nuova legge non ha sbloccato niente per il nostro settore.
Presidente, in realtà presso il Ministero dell’Ambiente sono stati depositati alcuni progetti petroliferi, e di opere accessorie – dalle Marche all’Abruzzo e dalla Lombardia all’Emilia Romagna – proprio con la nuova legge. Inoltre, agli Enti locali viene richiesta un’intesa entro 180 giorni. Se viene data si va avanti, se non viene data la competenza passa allo Stato. E poi ci sono i ricorsi alla Corte costituzionale di 7 Regioni che hanno impugnato le leggi Sblocca Italia e Stabilità. Non mi sembra poco.
Il territorio non tutto può essere espropriato ad una competenza romana. Le leggi sono buone quando danno una regolamentazione a chi se ne approfitta. La politica se ne approfitta, l’imprenditoria se ne approfitta, anche sui tempi. Lo Stato non può dire ad una Amministrazione locale: io faccio il pozzo perché tu non hai risposto. Ci sono situazioni in cui i pozzi o altri tipi di progetti sorgono in condizioni di ricatto, ad esempio in prossimità di abitazioni o altre aree sensibili. In questi casi ci vuole tempo per far capire alle popolazioni la bontà del progetto e non si deve farlo recepire solo al sindaco, ma anche alla casalinga. Non esiste politica industriale, o non può esistere politica industriale, senza dialogo con le comunità.
Quindi per FederPetroli Italia è un problema che a decidere sia lo Stato?
Sì, lo è, nella misura in cui non vengono coinvolti gli Enti locali, perché si crea un clima di tensione che vorremmo evitare per garantire fluidità allo sviluppo delle opere e del settore energetico italiano. Con più comunicazione si poteva arrivare ad uno Sblocca Italia condiviso con le Regioni. Senza comunicazione, invece, si è arrivati alle impugnative.
E passiamo al capitolo Basilicata, che rappresenta il nodo cruciale della politica fossile del nostro Paese. In una recente intervista da lei rilasciata alla Gazzetta di Salerno ha paragonato il territorio lucano ad un “eldorado petrolifero”, un “gruviera”, un “pozzo nero irreversibile”. Ha affermato che in Basilicata si è oltrepassato il limite e che si rischia di fare la fine del Nord Dakota. Cosa intende?
È una provocazione. Quando penso alla Basilicata – ancor prima dell’Abruzzo, della Sardegna, della Toscana, della Sicilia e del mar Adriatico – penso ad un mondo a sé. Penso ad una terra in cui si assiste ad continuo contraddittorio con il tema del petrolio, ma una terra che ha sempre autorizzato questo petrolio. Continua a lamentarsi di questo petrolio ma autorizza questo petrolio. C’è, pertanto, una contraddizione di fondo.
Ma la Basilicata che si lamenta è quella dei cittadini o delle istituzioni?
Io direi la politica. Ovvero chi ha autorizzato e autorizza.
Quindi, proprio chi ha consentito di superare i limiti di cui lei parla …
L’espressione di “pozzo nero irreversibile” nasce da una considerazione fatta tra di noi del settore. Pensiamo che in Basilicata non ci sia più spazio nemmeno di operare perché è diventata un pozzo da tutte le parti. Quello che è successo con il Nord Dakota per lo shale oil, dove è stato detto trivellate in qualunque posto. In Basilicata è successo, e rischia di accadere ancora. Adesso tornare indietro è impossibile. Diciamo difficile. A meno di una correzione.
A quale correzione sta pensando?
Fermarsi. Fare un breakeven dei pozzi, un resoconto del rapporto tra paesaggio, sostenibilità, territorio e industria, altrimenti fra poco avremo una condizione in cui partiranno i nuovi progetti e ci troveremo col “pozzo nero irreversibile”. Credo – visto che la legge Sblocca Italia darebbe una mano – si potrebbe raddoppiare la produzione nazionale passando anche per altre regioni e non solo dalla Basilicata, per la quale invochiamo moderazione.
Anche se gli accordi tra Stato e Regione già incassati parlano di raddoppiare la produzione e con l’Eni che addirittura contratta un ulteriore …
Innalzamento della soglia.
Ulteriori 25mila barili da estrarre ogni giorno rispetto ai 104mila già autorizzati. A rischio le sorgenti, i bacini idrici strategici, l’ambiente. Presidente, abbiamo pozzi petroliferi nel Parco nazionale Val d’Agri-Lagonegrese, in prossimità di SIC e ZPS, vicino case, ospedali e aziende, che dimostrano come il famoso “limite” sia stato già oltrepassato.
Chi ha fatto questo – sia le aziende, sia chi ha autorizzato – deve assumersi le proprie responsabilità. Non si può chiedere ad una famiglia, ad un’azienda di allevamento locale di vivere vicino ai pozzi o al Centro olio, oppure non si può espropriare dando dei soldi comprando i terreni, perché questa non è sostenibilità ambientale né tanto meno sostenibilità industriale. Va trovata una soluzione per il futuro. Per il passato andrebbe chiesto conto a chi ha autorizzato, e non solo all’Eni.
Il pozzo Alli 2 di Villa d’Agri è recente. Si trova nelle vicinanze di un ospedale e vicino le case, proprio come il progetto presentato per la perforazione del pozzo “Gesualdo 1” in Irpinia. Come la mettiamo?
I nuovi progetti sono maggiormente valutati a livello di impatti ambientali. In questi casi è una questione deontologica, perché vicino ad un ospedale mi sembra eccessivo.
Al di là dell’aspetto deontologico, avere un pozzo vicino ad un ospedale o all’interno di un parco fa cadere il concetto di sostenibilità ambientale di cui parlate tanto. Anche in questo caso è solo un problema di autorizzazioni regionali e di contraddizioni? Da una parte la promozione del territorio e dall’altra la promozione del petrolio. Sostenere entrambi è impossibile.
Se in Val d’Agri dovesse venire un politico straniero se ne andrebbe con le mani nei capelli. Adesso anche noi in Italia stiamo avendo accortezza di dove andiamo a fare delle cose. Prima si trivellava da qualunque parte, poi le leggi europee di sicurezza ci hanno messo un freno.
A proposito di limiti e concorso delle parti. Sia per le attività di Eni, sia per quelle di Total non esiste un punto zero. Mancanza di monitoraggi sistemici, mancato rispetto degli accordi. Secondo lei è questo l’atteggiamento giusto?
Devo fare lo scaricabarile. Per le autorizzazioni nel parco o in aree sensibili è necessario chiedere conto a chi quelle autorizzazioni le ha date. Il concorso delle parti è ben evidente. Bisognerebbe chiedere a compagnie petrolifere ed Enti. Le prime – per legge – devono segnalare anomalie, i secondi controllare. Questo evidentemente non avviene. Bisognerebbe tutelare l’ambiente.
Ambiente e problemi connessi. L’aumento delle attività estrattive comportano un aumento di rifiuti petroliferi ed acque di produzione. È in atto una guerra sulla reiniezione, dal pozzo “Costa Molina 2” al pozzo “Monte Alpi 9 OR”, da Viggiano ai miasmi di Pisticci …
Mi perdoni ma non entro nel merito. Dico solo che Eni dovrebbe comunicare meglio e non solo con la sabbia. Ci vuole trasparenza e vicinanza. Perché io penso che la Basilicata abbia una rabbia contro questo petrolio perché non c’è stato sviluppo in relazione alle risorse estratte. Il bonus idrocarburi e i nuovi accordi che si stanno contrattando con il Governo sono palliativi. Piuttosto che chiedere royalties ci sarebbe bisogno di altro.
Anche perché la Corte dei conti sulle royalties ci ha detto che sono servite solo per la spesa corrente.
Senza dubbio, in questo, c’è responsabilità da parte delle Amministrazioni locali. E ritorniamo al discorso già fatto dell’”eldorado petrolifero” e dei limiti. Gli amministratori lucani non fanno ben capire al resto dell’Italia quali sono gli orientamenti sull’indotto petrolifero ed energetico della Basilicata, che è diventata un’altra Italia. Noi sblocchiamo l’Italia e poi facciamo lo Sblocca Italia per la Basilicata. Noi facciamo i cantieri in Italia e poi li facciamo anche in Basilicata. Bisognerebbe avere una regolamentazione.
La regolamentazione di cui parla riguarda anche le royalties?
Bisogna definire un nuovo sistema di versamento delle royalties sull’indotto petrolifero. Come si sa per ogni barile estratto o metro cubo di gas estratto si versano delle aliquote. Ma ci sono pozzi che non versano tasse per effetto delle franchigie. È importante che il territorio veda subito gli introiti.
Quindi eliminazione delle franchigie?
Sì, abbattimento delle franchigie. Portare qualcosa a piccoli paesi non è ricatto, ma la distribuzione della ricchezza è fondamentale.
Aumento delle royalties?
Nessun aumento, ma che vengano date direttamente ai Comuni e che non facciano più giri tra Stato, Regioni e Uffici perché come succede per l’olio negli oleodotti, c’è il rischio che girando troppo i soldi si perdano. Il 70% della forza lavoro deve essere ridistribuita sul territorio. Questo l’indotto petrolifero non lo fa.
Indotto al quale fanno parte anche quelli che lei ha definito “petrolieri da corso accelerato”. Tra questi ci sono anche quelle aziende con bilanci poco chiari o capitale sociale da 10mila euro?
Chi intende sfruttare idrocarburi deve avere capacità finanziaria indubbia. Quando parlo di petrolieri da corso accelerato mi riferisco anche a quelle aziende che sparano stime sulle risorse da estratte che confondono l’opinione pubblica. Mi riferisco anche ad alcune situazioni che negli ultimi mesi hanno portato alla ribalta persone che di petrolio non ne sanno niente. E non parlo dell’indotto petrolifero.
Si riferisce a Romano Prodi?
Sì, mi riferisco a lui. Il presidente Prodi o parla sempre di petrolio o non ne può parlare solo attraverso un lancio stampa e poi bloccarsi. Perché le cose dette da lui hanno un certo impatto. Avremmo preferito un suo impegno quando ha avuto la possibilità di operare in Europa e in Italia. Ognuno deve ricoprire il proprio ruolo secondo le proprie competenze.
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